Il codice civile contempla due figure, distinte tra loro seppur complementari, cui è demandata la gestione e conservazione del condominio negli edifici: l’amministratore e l’assemblea.
L’amministratore è organo obbligatorio solamente se il numero dei comproprietari è superiore a quattro (art. 1129, primo comma, c.c.); ad esso la legge demanda una serie di compiti (riscossione contributi condominiali, osservanza regolamento di condominio, ecc. art. 1130 c.c.) che possono essere estesi, ed in certi casi limitati dalle delibere assembleari e dal regolamento di condominio.
Il rapporto giuridico che s’instaura con il condominio è riportato, per costante giurisprudenza, nell’alveo del contratto di mandato.
L’assemblea, a differenza del mandatario dei condomini, è definito come organo indefettibile del condominio (cfr. Branca, Comunione e condominio degli edifici, Zanichelli, 1982).
Ciò vuol dire che essa è sempre convocabile, indipendentemente dal numero dei condomini, ossia anche nel caso del c.d. condominio minimo e nessuna disposizione contenuta negli atti d’acquisto o nel regolamento di condominio può prevederne la soppressione.
L’adunanza dei comproprietari ha dei poteri di valutazione e ratifica dell’operato dell’amministratore (approvazione rendiconto preventivo e consuntivo, approvazione spese straordinarie urgenti e non, ecc.) oltre che d’indirizzo dello stesso, essendo il mandatario tenuto ad eseguire le deliberazioni assembleari (cfr. artt. 1130 e 1135 c.c.).
Al fianco di questi due organi la prassi ne ha proposto un terzo: si tratta del così detto consiglio di condominio.
La legge non disciplina il consiglio di condominio. Ciò vuol dire che a differenza di amministratore ed assemblea esso non è obbligatorio in nessun caso.
A livello definitorio, è possibile affermare che esso è costituito da un numero di condomini scelti dall’assemblea e la sua funzione è quella di ausilio e controllo dell’operato dell’amministratore.
A quali norme fare riferimento per verificare specificamente quali siano i compiti attributi al consiglio?
Il quesito è di facile soluzione: non essendo menzionato nel codice civile né tanto meno in altre disposizioni di legge, il consiglio del condominio troverà la propria disciplina o nel regolamento di condominio o in una delibera istitutiva.
Tale organo, infatti, può essere costituito sia in modo permanente, sia per affiancare l’amministratore solamente in particolari occasioni (si pensi ai lavori di manutenzione straordinaria di notevole entità).
Le regole dettate dal regolamento e/o dalla delibera, per la certezza del miglior funzionamento del consiglio, dovranno contenere tutte le indicazioni utili a ciò. In sostanza è sempre consigliabile che con l’istituzione dell’organo, oltre alla sua composizione si prevedano altresì le modalità di convocazione.
Che cosa accade se sorta la necessità di convocare il consiglio, nulla è disposto in merito a ciò?
A quale norme si dovrà far riferimento?
Al riguardo è possibile affermare che a differenza dell’assemblea – la cui convocazione è sottoposta a particolare formalismo, visto anche ciò che una deliberazione comporta (essa è obbligatoria per tutti i condomini pure i dissenzienti, art. 1137, primo comma, c.c.) – l’indizione e la comunicazione dell’avviso di svolgimento del consiglio non sono vincolati al rispetto di particolari vincoli formali e temporali.
Ciò non vuol dire che non esistano delle regole di carattere generale che possono essere desunte dalla stessa materia condominiale e dalla stessa ragione per la quale il consiglio è istituito.
In definitiva, sarà buona norma per l’amministratore di condominio, convocare il consiglio in modo che rimanga traccia della consegna dell’avviso di convocazione, il quale dovrà essere comunicato in un termine tale da consentire ai consiglieri la partecipazione: in sostanza, quindi, a seguendo le regole dettate per la convocazione dell’assemblea è sicuro che non si sbaglia.