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Videosorveglianza, comune o privata?

Quando la privacy precede il diritto.
Avv. Caterina Tosatti - Foro di Roma 

La sentenza del Tribunale di Roma (sent. 8678 19 maggio 2021) che esamineremo oggi tocca, sebbene solamente in modo tangenziale, l'annoso problema della videosorveglianza degli spazi comuni condominiali e della valutazione di questa tipologia di trattamento dal punto di vista privacy.

Vediamo da dove trae origine la vicenda e come è stata risolta dal Giudice.

Videosorveglianza, comune o privata: la pronuncia

Due condòmini impugnano la delibera del proprio Condominio che così dispone:

«con la maggioranza di 511,75, approva il preventivo della ditta... per l'installazione del sistema di videosorveglianza con l'illuminazione per un importo totale di euro 9.000,00 oltre IVA».

Secondo i condòmini attori, detta delibera sarebbe viziata sotto molteplici profili:

  • sostengono gli attori che la videosorveglianza di cui alla delibera sarebbe stata esercitata su parti private e non comuni, così da violare il diritto dei singoli e le proprietà solitarie, sui quali l'Assemblea non ha potere di decidere, nemmeno ai sensi dell'art. 1135 c.c. - quindi, delibera nulla per eccesso di potere;
  • per il medesimo motivo, si eccepisce che la spesa deliberata non possa essere imputata in via generale all'intero Condominio, bensì che vada attribuita a coloro che usufruiscono della videosorveglianza, ai sensi dell'art. 1123, 3° comma, c.c.;
  • ritengono ancora gli attori che l'opera deliberata sia da qualificare come innovazione voluttuaria, pertanto ne eccepiscono l'adozione in assenza del doppio quorum richiesto per legge e per Regolamento per le innovazioni (art. 1120 c.c., maggioranza degli intervenuti e almeno 2/3 del valore dell'edificio).

Il Condominio, nelle proprie difese, spiega come la delibera adottata ed impugnata non abbia deciso in realtà sull'adozione del sistema di videosorveglianza, bensì unicamente sul completamento di quello già tempo addietro deliberato e realizzato su tutti i lati dell'edificio, tranne quello oggetto di delibera.

In virtù della documentazione, anche fotografica prodotta dalle parti in sede di costituzione in giudizio, il Giudice ha potuto apprezzare la situazione fattuale che il Condominio intendeva creare con la videosorveglianza come deliberata nell'Assemblea impugnata: si trattava di n. 5 telecamere e di n. 5 fari di illuminazione, tutti da installare sul muro perimetrale condominiale.

Sempre dalla documentazione fotografica si deduce che l'angolo di visuale delle telecamere (cioè, la zona inquadrata e ripresa dalle stesse) sarebbe stato, oltre al muro perimetrale stesso, anche parte dei giardini privati di proprietà dei condòmini del piano terreno dell'edificio B (il Condominio è composto da due edifici) nonché parte del parco pubblico adiacente, siccome queste sono le zone da cui è potenzialmente possibile l'accesso abusivo e furtivo di terzi provenienti dall'esterno che il Condominio intendeva scongiurare/rilevare con la videosorveglianza.

Il Giudice non accoglie la domanda dei condòmini attori e ciò per le seguenti ragioni.

Innanzitutto, è dirimente la circostanza relativa al reale oggetto della delibera; infatti, a ben vedere, l'installazione del sistema di videosorveglianza non è stata decisa con la delibera impugnata, bensì con altra delibera precedente, alla quale i condòmini attori non si sono opposti tramite l'apposita impugnativa.

Pertanto, la delibera impugnata si limita a seguire il progetto già approvato, completandolo.

Peraltro, sottolinea il Giudice, non è nemmeno possibile sostenere l'annullabilità/nullità del riparto spese, poiché la delibera non ha deciso come ripartire la spesa pure approvata.

Il Giudice conclude poi escludendo anche l'ipotesi che la delibera impugnata abbia deciso un'innovazione voluttuaria, rammentando che detta categoria si applica a beni o servizi suscettibili di utilizzazione separata oppure che siano privi di utilità o gravosi con riferimento oggettivo alle condizioni ed all'importanza dell'edificio.

Ma ciò su cui dobbiamo soffermare la nostra attenzione è l'ambito della tutela della riservatezza.

In merito, il Giudice liquida la questione affermando che ovviamente, nella pratica installazione delle telecamere (quelle di cui alla delibera impugnata), vanno rispettate le prescrizioni dettate dal Garante per la protezione dei dati personali ed i limiti posti a tutela della sfera personale dei singoli proprietari dal Codice Penale, elementi che, sostiene il Giudice, siccome i condòmini attori hanno solamente ipotizzato, ma non provato, non vanno ad inficiare la validità della delibera.

La videosorveglianza nell'era del GDPR

Abbiamo già diffusamente spiegato, in vari contributi, di come il trattamento dei dati personali (dei condòmini e dei terzi) svolto tramite la videosorveglianza delle parti comuni dell'edificio condominiale debba oggi, nell'era del GDPR (Regolamento (UE) 2016/679) sottostare a valutazioni e ponderazioni molto più rigorose rispetto al passato.

Infatti, sappiamo ormai che ogni Titolare di trattamento (quale è il Condominio, rispetto ai dati dei condòmini e dei terzi che entrano nell'angolo di visuale della videosorveglianza) ha il dovere di valutare, prima di avviare il trattamento, la finalità dello stesso e di individuare la Base Giuridica; in assenza di queste, il trattamento sarà illecito, per violazione dell'art. 5 GDPR.

Una volta individuate finalità e Base Giuridica, il Titolare deve porre in essere il trattamento secondo i principi della privacy per progettazione e impostazione predefinita (privacy by design e by default), il ché significa, in particolare, che egli dovrà mettere in atto misure tecniche ed organizzative adeguate per attuare i principi del trattamento e tutelare i diritti degli Interessati (nel nostro caso, i condòmini ed i terzi), curando che il trattamento coinvolga solamente i dati strettamente necessari a raggiungere la finalità che egli ha individuato.

Grazie alle Guidelines on processing of personal data through video devices n. 03/2019, cioè le Linee - guida sulla videosorveglianza emesse dallo European Data Protection Board (il Comitato, formato dai Garanti Privacy degli Stati membri UE), adottate in versione finale il 29 gennaio 2020, sappiamo anche che la videosorveglianza realizzata per la finalità di protezione della proprietà privata da furti, accessi o atti di vandalismo ha come Base Giuridica l'Interesse Legittimo e che essa deve essere ritenuta come un'extrema ratio che il Titolare adotta per difendere la sua proprietà, dopo aver valutato (ed essere in grado di provare) che non sussistono altri mezzi per realizzare tale difesa in modo altrettanto efficace.

Videosorveglianza, il Garante risponde

Nelle Linee - guida, viene peraltro fornita una serie di esempi di videosorveglianza 'lecita' e 'illecita', lato privacy, tra i quali il seguente ci sembra azzeccato:

Esempio: Una libreria intende proteggere i propri spazi contro il vandalismo. In via generale, le telecamere dovrebbe riprendere solamente gli spazi della libreria stessa, perché non è necessario includere anche gli spazi vicini o le aree pubbliche limitrofi al negozio per realizzare quello scopo.

Sappiamo anche che, dall'avvento del GDPR in poi, ciascun Titolare risponde appieno di ciò che fa: nel senso che, a prescindere dalle raccomandazioni dell'Autorità di Controllo cui egli è sottoposto (per l'Italia, il Garante privacy) o del Comitato europeo, il Titolare può decidere come realizzare il trattamento dei dati personali.

Tuttavia, deve altrettanto essere pronto, in caso di controllo o di reclamo, ad argomentare le sue scelte.

Ora, nel caso di specie, sottoposto all'attenzione del Tribunale capitolino, ci sembra che la valutazione del sistema di videosorveglianza sia verosimilmente mancata del tutto nel momento precedente l'installazione delle prime telecamere, cioè nel momento in cui il progetto iniziale, che, da quanto ci è dato comprendere dalla sentenza, includeva già le 5 telecamere incriminate, è stato sottoposto all'Assemblea, valutato ed approvato.

Insomma, manca la valutazione sulla finalità e sulla minimizzazione dei dati, la quale avrebbe dovuto condurre ad un'attenta ponderazione circa la necessità di riprendere (come leggiamo in sentenza) anche i giardini dei condòmini del piano terreno e, ciò che è più preoccupante, un'area pubblica come il parco adiacente.

Privacy e Condominio: un rapporto complicato

Ciò si spiega evidentemente con il fatto che il sistema di videosorveglianza fu deliberato in epoca antecedente l'applicazione del GDPR, tuttavia anche i provvedimenti del Garante Privacy pre 2018 hanno sempre indicato la massima prudenza nella decisione se sia necessario riprendere o meno un'area pubblica o privata.

Citiamo il c.d. Vademecum del palazzo del 10 ottobre 2013: «Le telecamere devono riprendere solo le aree comuni da controllare possibilmente evitando la ripresa di luoghi circostanti e di particolari che non risultino rilevanti (strade, edifici, esercizi commerciali, ecc.)».

Inoltre, la valutazione (precedente l'installazione) dell'impianto di videosorveglianza deve essere documentata, perché il Titolare deve essere in grado di provare la liceità del proprio operato, all'Interessato come all'Autorità di Controllo; pertanto, si dovrà produrre documentazione relativa all'insufficienza di altri mezzi, diversi dalla videosorveglianza, a raggiungere lo scopo prefissato di tutela dalle intrusioni di terzi e si dovrà anche provare l'impossibilità di installare le telecamere diversamente, qualora si intenda procedere sulla linea dell'inclusione dei giardini privati e del parco pubblico nell'angolo di visuale delle telecamere condominiali.

Ancora il Comitato, nelle Linee - guida citate, ha sottolineato come la valutazione dell'interesse legittimo del Titolare ed eseguire la videosorveglianza debba cedere rispetto ai diritti dell'Interessato ogniqualvolta costui venga ripreso in un contesto ed uno spazio dedicati alle attività ricreative e di svago - come certamente sono il giardino privato o il parco pubblico.

Il Condominio de quo, avvertito anche dal magistrato estensore, potrebbe correre ai ripari ora, prima che sia troppo tardi, eseguendo un'attenta valutazione della videosorveglianza che intende realizzare, degli scopi prefissi, ferma la Base Giuridica dell'Interesse Legittimo, valutando altresì se i medesimi scopi possono essere raggiunti senza la ripresa, anche parziale, del giardino dei condòmini del piano terreno e del parco pubblico adiacente.

Ove si individui dette riprese come necessarie, probabilmente, a seconda del caso concreto, si verserà in ipotesi di trattamento soggetto alla Valutazione d'Impatto Privacy obbligatoria (art. 35 (3), lett. c) GDPR, «sorveglianza sistematica su larga scala di una zona accessibile al pubblico») e, forse, alla necessità di una Consultazione Preventiva presso il Garante Privacy (art. 36 GDPR).

In ogni caso, i due condòmini attori, anch'essi messi sull'avviso dal magistrato estensore della sentenza in commento, potrebbero, a fronte di elementi probatori forti, impugnare anche oggi la delibera che ha deciso la videosorveglianza - incluse le 5 telecamere incriminate - affermandone la nullità per violazione dello spazio privato e dello spazio pubblico.

Sentenza
Scarica Trib. Roma 19 maggio 2021 n. 8678
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