L'amministratore di condominio è il mandatario dei partecipanti alla compagine. Egli viene nominato dall'assemblea e rappresenta tutti i condomini, tanto quelli che hanno votato per la sua nomina, quanto gli astenuti, gli assenti ed i dissenzienti.
Il mandato conferito all'amministratore comprende la legale rappresentanza dei condomini rispetto ai rapporti giuridici riguardanti la gestione e conservazione delle parti comuni dell'edificio.
Insomma, è cosa nota, l'amministratore può qualificarsi tale e quindi rappresentare la collettività condominiale nei rapporti con i singoli condomini ed in quelli con soggetti estranei al condominio.
In questo contesto va letto l'art. 1131, primo comma, c.c., a mente del quale:
Nei limiti delle attribuzioni stabilite dall'articolo 1130 o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall'assemblea, l'amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condomini sia contro i terzi.
Per riassumere la norma coordinandola con quanto stabilito dall'art. 1130 c.c., si può affermare quanto segue: le attribuzioni dell'amministratore condominiale comprendono il potere del medesimo di agire in giudizio al fine di adempiere correttamente all'incarico assunto.
Classico, in tal senso, l'esempio della possibilità per l'amministratore di agire in giudizio per recuperare il credito del condominio chiedendo l'emissione di un decreto ingiuntivo di pagamento (provvisoriamente esecutivo) ex art. 63 disp. att. c.c.
Alla facoltà d'agire giudizialmente, corrisponde il dovere di resistere alle azioni giudiziali portate contro il condominio.
In tal senso il secondo comma dell'art. 1131 c.c. specifica che l'amministratore di condominio “può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell'edificio; a lui sono notificati i provvedimenti dell'autorità amministrativa che si riferiscono allo stesso oggetto.”
Nel 2010 le Sezioni Unite della Cassazione (sentt. nn. 18331-2) hanno cercato di risolvere l'annosa querelle dei limiti della legittimazione passiva dell'amministratore. Il principio di diritto espresso nella sentenza, a dire il vero, non è stato letto in maniera univoca.
In questo contesto è utile dare una risposta chiara al quesito posto nel titolo di questo articolo.
Supponiamo che l'amministratore, il fatto è ricorrente, riceva la notifica dell'atto d'impugnazione di una delibera assembleare.
Che cosa può/deve fare il mandatario? Fino a prima della reintroduzione del tentativo obbligatorio di mediazione (cfr. d.lgs. n. 28/2010 e art. 71-quater disp. att. c.c.), la risposta era univoca: l'amministratore deve difendere il condominio e può farlo anche autonomamente, vale a dire nominando di sua iniziativa un legale che segua la pratica, firmandogli il mandato e quindi costituendosi in giudizio.
Delibera assembleare annullata? L'amministratore può impugnare autonomamente la sentenza
Con l'obbligatorietà della mediazione la situazione è differente. L'impugnazione, infatti, dovrà essere preceduta da un tentativo di conciliazione davanti ad un organismo accreditato presso il ministero.
Rispetto a questa procedura l'amministratore ha il mero potere di rappresentante della volontà assembleare; in poche parole egli non ha alcun margine di scelta e deve limitarsi ad eseguire quanto stabilito dall'assemblea.
In buona sostanza ricevuta la comunicazione di convocazione davanti ad un organismo di mediazione in relazione alla contestazione di una delibera assembleare, l'amministratore dovrà convocare l'assemblea per farsi dare istruzioni in merito al da farsi, per poi riconvocarla, qualora si arrivasse ad una proposta di mediazione, per ottenere indicazioni sull'accettazione o meno.
Chiaramente se il tentativo fallisse e l'assemblea non avesse disposto nulla in merito al giudizio d'impugnazione, i poteri dell'amministratore, rispetto al contenzioso tribunalizio, tornerebbero ad essere quelli sopra delineati.