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Condominio, non è reato offendere l'incapace ditta edile.

Sacro il diritto di critica per chi commissiona e paga i lavori . Una mail, inviata ad un solo individuo, non integra diffamazione.
Avv. Mauro Blonda 

Criticare la ditta che effettua i lavori è reato. Anzi: no. Aver inviato una mail contenente vibranti proteste (e minaccia di azioni legali) all'amministratore di una ditta cui aveva affidato dei lavori di ristrutturazione: per queste ragioni il Giudice di Pace di Roma ha condannato un soggetto reo a suo dire, appunto, di aver contestato l'operato della ditta che aveva lui stesso incaricato di compiere dei lavori edili.

La sua colpa sarebbe stata quella di aver offeso il destinatario della missiva, contenente secondo il Giudice frasi diffamatorie.

L'imputato non ci sta a subire una condanna, oltre a ritrovarsi anche con dei lavori mal fatti: quelle 400 euro di multa non gli vanno proprio giù e per questo decide di ricorrere in Cassazione. E fa bene: il Supremo Collegio, infatti, ribaltando completamente il verdetto espresso in primo grado, lo assolve con formula piena.

Una mail, inviata ad un solo individuo, non integra diffamazione. Innanzitutto gli Ermellini bacchettano il frettoloso Giudice di Pace per aver ritenuto configurabile il reato di diffamazione in un'ipotesi in cui tale delitto non può assolutamente sussistere.

Infatti “le espressioni offensive, per quanto percepibili anche da soggetti ulteriori, erano contenute in una comunicazione inviata all'indirizzo di posta elettronica della società cui l'imputato intendeva rivolgere il proprio disappunto, e dunque - almeno in prima battuta - a chi era preposto alla gestione della stessa.

In tale fattispecie sarebbe al più ravvisabile una ingiuria e non già una diffamazione” (Cass. Pen., sent. n. 46458 dell'11/11/2014).

La diffamazione, come noto, consiste in un'offesa pronunciata divulgata a più persone (o in modo tale che più persone l'ascoltino) e dunque richiede, per la sua sussistenza, che il soggetto agente voglia in effetti ingiuriare qualcuno in modo che altri lo sappiano.

È necessario cioè l'intento di screditare l'onorabilità di qualcuno presso più persone. (All'amministratore di condominio è consentito offendere?)

Nel caso di specie, invece, poiché la lettera era indirizzata direttamente (e solo) al soggetto cui erano rivolte le offese, l'eventuale reato commesso sarebbe quello di cui all'art. 594 cod. pen. (appunto di ingiuria), al massimo aggravato secondo quanto previsto dall'ultimo comma di tale norma.

L'ingiuria non è ingiuria se si esercita il diritto di critica. Ma al di là di tale motivo di nullità della sentenza impugnata, al di là cioè dell'errata qualificazione giuridica dei fatti compiuta dal Giudice di Pace, la Cassazione entra anche nel merito delle affermazioni incriminate e ne determina la liceità, dichiarandole espressamente non costituenti reato.

A parere degli Ermellini, infatti, poiché l'imputato aveva commissionato dei lavori alla ditta, aveva anche il diritto di esprimere il suo parere e muovere eventuali censure nei confronti dell'appaltatrice ove, come accaduto, i lavori non fossero stati effettuati a regola d'arte. Almeno secondo lui.

Egli, quindi, ben poteva esprimere disappunto per dei lavori non realizzati secondo quanto promesso, trovandosi al cospetto così di aspettative del tutto tradite.

Al committente, in sostanza, è garantito il diritto di critica, ossia di esprimere censurare anche con formule non certo lievi e non propriamente cordiali.

Ma la critica dev'essere contenuta e continente. Diritto di critica, anche colorita, ma non di offesa gratuita però.

E secondo i Giudici di Piazza Cavour nel caso di specie l'imputato, pur avendo utilizzato “espressioni di forte censura, invocando la grossolanità delle imperizie che egli aveva ritenuto di riscontrare e parlando di incapacità e millanterie rispetto alla professionalità che gli era stata garantita” tuttavia “non ha valicato i limiti della continenza, da intendere superati solo al cospetto di “espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato” (Cass. Pen., sent. n. 46458 dell'11/11/2014).

Per questo le sue censure, pur forti e disprezzanti, non possono integrare gli estremi del reato di ingiuria poiché provenienti da un soggetto che ha il diritto di esprimere disappunto purché senza trascendere in offese gratuite ed eccessive. L'amministratore ruba i miei soldi, se lo dici davanti almeno a due persone allora è diffamazione

Certo non è sempre semplice capire quando l'ingiuria è scusabile e quando invece il limite è oltrepassato: il buon senso dovrebbe bastare a consentire di comprendere quando la censura diventa offesa e quando invece la contestazione resta solo critica.

In linea di massima può affermarsi che se la contestazione riguarda le opere e non gli operatori sarà sempre difficile vedervi una lesione all'onore ed al decoro (e quindi il reato): diversamente, laddove si offenda la persona anziché denigrare l'opera, il passo verso l'ingiuria sarà brevissimo.

Sentenza
Scarica Corte di Cassazione Sez. V pen., sent. 11.11.2014, n. 46458
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