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Conto corrente condominiale: come vengono ripartiti gli interessi maturati?

La ripartizione degli interessi maturati sul conto corrente condominiale.
Avv. Michele Orefice - Foro di Catanzaro 

Com'è noto l'art. 1129 comma 7 c.c. impone all'amministratore di utilizzare un conto corrente intestato al condominio, sul quale movimentare le somme ricevute o erogate per conto del medesimo condominio, con possibilità per i condòmini di controllare e tracciare i flussi finanziari, attraverso l'attività dello stesso amministratore.

La ratio di tale “inderogabile” norma è quella di evitare una possibile confusione tra il patrimonio del condominio e quello dell'amministratore, oppure tra i patrimoni dei diversi condomini gestiti dallo stesso amministratore, che non può essere svincolato dall'obbligo di utilizzare il conto corrente dedicato del condominio, neanche in presenza di una delibera, approvata all'unanimità, da parte dell'assemblea condominiale.

Nel contempo la mancata apertura o l'utilizzo non corretto del conto corrente condominiale si configura come una grave irregolarità dell'amministratore, tale da giustificare la revoca del mandato ad amministrare, ai sensi dell'art. 1129 comma 12 punto 3 del codice civile.

Pertanto è bene che l'amministratore, dopo aver comunicato all'Agenzia delle Entrate i propri dati, ai fini dell'intestazione del codice fiscale attribuito al condominio, proceda immediatamente alla variazione dei poteri di firma relativi al conto corrente condominiale, gestito dal precedente amministratore, o all'apertura del nuovo conto intestato al condominio.

Per l'apertura del nuovo conto corrente intestato al condominio e chiusura del precedente conto, non è richiesta alcuna autorizzazione da parte dell'assemblea condominiale, trattandosi di un obbligo insito nel mandato dell'amministratore che, casomai, sarà chiamato a giustificare ai condòmini le eventuali ulteriori spese non preventivate per tale sostituzione.

In ogni caso non si potrebbero disconoscere gli obiettivi problemi organizzativi di un amministratore professionista, che gestisce più conti correnti, radicati in diversi istituti di credito della città, forse “ereditati” dai precedenti amministratori “danti causa”, con i vari passaggi di consegne.

A questo proposito si evidenzia come prima dell'entrata in vigore della Riforma del condominio (L. 220/12), in assenza di una specifica disposizione giuridica, che prevedesse l'obbligatorietà del conto corrente condominiale, l'amministratore era obbligato ad aprire il conto intestato al condominio soltanto nel caso di una espressa previsione del regolamento condominiale, ovvero in presenza di una specifica delibera assembleare.

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Di conseguenza, adducendo l'inesistenza di una disposizione giuridica specifica, molti amministratori usavano versare e far transitare le somme percepite, a titolo di quote condominiali, sul loro conto corrente personale, anziché depositarle su un conto corrente intestato al condominio.

È chiaro che, così facendo, l'amministratore di più condomini, poteva appropriarsi, indebitamente, degli interessi attivi maturati sulle giacenze condominiali, depositate sul proprio conto corrente, in contrasto con le pronunce, ante riforma, della giurisprudenza, che aveva già riconosciuto in capo all'amministratore, “l'obbligo” di aprire un conto corrente intestato al condominio, seppure in assenza di una espressa previsione normativa (Ex multis: Trib. Milano 9.9.91; Trib. Torino 3.11.00; Trib. di S.Maria Capua Vetere 17.7.97; Trib. Genova 16.9.93).

Tale prassi, comunque, è stata definitivamente scongiurata con l'entrata in vigore del comma 7 dell'art. 1129 c.c., che rispondendo ad esigenze di trasparenza ed informazione e recependo gli orientamenti giurisprudenziali cennati, di fatto consente ai condòmini di poter beneficiare degli interessi maturati sul conto corrente del proprio condominio, in ragione delle giacenze di denaro depositate.

In tale prospettiva ci si domanda: con quali criteri l'amministratore deve ripartire gli interessi del conto corrente tra i condòmini? Sotto tale profilo occorre evidenziare che gli interessi sui conti correnti possono essere attivi, ovvero quelli che l'istituto di credito riconosce al cliente in misura percentuale, ma anche passivi, cioè quelli che il cliente deve corrispondere all'istituto di credito in caso di scoperto, solitamente in caso di conti con fido.

In assenza di fido, qualora il conto corrente del condominio vada “in rosso”, la banca, in genere, fa pagare una “commissione di istruttoria veloce (Civ)”, per una sorta di piccolo credito istantaneo, che concede al cliente.

Ciò posto, premesso che le spese di gestione del conto corrente condominiale devono essere ripartite ai sensi dell'art. 1123 comma 1 c.c., in quanto sono da intendersi come necessarie e di interesse comune, così anche gli interessi seguono la stessa logica degli oneri finanziari addebitati al condominio.

Conto corrente condominiale, una situazione paradossale

Più precisamente gli interessi attivi e passivi vanno accreditati e addebitati ai condòmini utilizzando la tabella millesimale di proprietà, in quanto rientrano nelle spese c.d. generali, salvo diverso accordo tra tutti i comproprietari, assunto con una delibera votata all'unanimità, che potrebbe individuare un diverso criterio di attribuzione.

Si osserva, comunque, che la questione è di scarsa rilevanza in condominio, se si considera che i tassi di interessi praticati dalle banche sui saldi attivi dei conti correnti condominiali, sono sempre più irrisori, anzi sussistono istituti di credito che, per contratto, non riconoscono al condominio alcun interesse attivo.

L'unico dato certo, invece, è rappresentato dai costi di gestione del conto corrente condominiale, tra i quali spicca l'imposta di bollo fissa, per un importo pari a 100,00 euro l'anno, che grava sui condòmini grazie all'interpretazione dell'amministrazione finanziaria, che ha preferito assimilare conti correnti condominiali e conti correnti aziendali, considerando il condominio come una persona giuridica, nonostante il parere contrario espresso, in numerose sentenze, dalla Corte di Cassazione.

Avv. Michele Orefice

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