Si fa presto a dire "… lo prevede il regolamento condominiale!". Dietro tale semplice affermazione, apparentemente priva di poderosi misteri e per di più di frequentissimo uso nella quotidianità dei rapporti condominiali, tuttavia, si cela un vero e proprio microcosmo all'interno del quale possono coesistere ed interagire tre tipi di regolamenti tra loro sideralmente diversi per natura, caratteristiche e finalità: il regolamento condominiale di natura contrattuale, quello di natura assembleare e quello promulgato dall'amministratore.
Trovandoci dinanzi ad una affermazione analoga a quella riportata nell'incipit, quindi, la reazione più coerente sarà quella di chiedere al nostro interlocutore dettagli su " che tipo di regolamento parliamo?".
Il regolamento condominiale di natura contrattuale.
In condominio il regolamento di natura contrattuale può considerarsi, per larghi tratti, la fonte prevalente nel disciplinare i rapporti interni trai comproprietari, ovviamente purché sia conforme alle norme generali inderogabili di rango primario.
La sua preponderanza può facilmente ricavarsi da una considerazione elementare: il nostro codice civile regolamenta il condominio con 43 articoli, inclusi quelli delle disposizione di attuazione.
Di essi, ai sensi dell'art. 1138 c.c. e dell'art. 72 d.a.c.c., soltanto 12 sono dotati del crisma dell'inderogabilità (recte, 11 e il secondo comma dell'art. 1118 c.c.), sicché la stragrande maggioranza possono essere derogati dalle norme di un regolamento di natura contrattuale.
Pertanto il regolamento di natura contrattuale prevale, per lo più, perfino sulle norme del codice civile.
La ragione di tale tratto è condensata nel nomen che identifica questo tipo di regolamento: si tratta, difatti, di un vero e proprio contratto plurisoggettivo che, in quanto tale, soggiace alle regole generali dettate in materia di contratto, vincolando al rispetto delle sue clausole tutti i contraenti (solitamente è il costruttore che lo redige prima di procedere alla prima vendita) e i successivi acquirenti in virtù della sua pubblica trascrizione che impone anche al notaio di richiamarlo negli atti di passaggio di proprietà.
Per questo motivo i regolamenti di natura contrattuale si caratterizzano per due tratti fondamentali che li contraddistinguono: (a) la loro emanazione/modifica/cessazione può essere operata soltanto con l'unanimità dei consensi (il c.d. "mutuo consenso" di tutte le parti contrattuali) e (b) i loro contenuti possono incidere sulle modalità di esercizio dei diritti di proprietà di ciascun comproprietario non solo sui beni comuni ma anche sulle proprietà esclusive.
È il caso, ad esempio, di un divieto di variazione delle destinazioni delle unità immobiliari.
Il regolamento condominiale di natura assembleare.
Ben diverso è il patrimonio genetico che segna le caratteristiche del regolamento di natura assembleare la cui obbligatoria assunzione, ai sensi dell'art. 1138 c.c., è prevista dalla legge per tutti i condominii con più di 10 comproprietari ad opera dell'assemblea con i quorum di cui al comma 2 dell'art. 1136 c.c. (maggioranza dei presenti che rappresenti almeno la metà del valore totale dell'edificio).
Il regolamento assembleare, quindi, non comporta il sorgere di un vincolo contrattuale in senso stretto trai comproprietari e, sebbene le regole che lo compongono siano pur sempre obbligatorie da rispettare, ha però soltanto la funzione di disciplinare l'uso generale delle cose comuni e la misura della contribuzione pro quota alle spese di conservazione e fruizione di beni e servizi comuni.
Tant'è che lo stesso art. 1138 c.c. dispone al comma 4 che le sue norme " non possono menomare i diritti di ciascun condomino quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni".
Proprio in virtù di tale portata generale e meramente regolatoria ma priva di forza contrattuale verso tutti e ciascuno dei condomini, quindi, i regolamenti di natura assembleare hanno il limite di non poter incidere, comprimendoli o estendendoli, sui diritti del singolo comproprietario nel godimento del proprio bene esclusivo o del bene comune.
Alla luce delle considerazioni suddette, tralasciando di esaminare la meno frequente fattispecie del regolamento emesso dall'amministratore, è interessante quanto recentemente statuito ed argomentato dal Tribunale di La Spezia con Sentenza n.198 del 9 aprile 2020.
Il caso deciso dal Tribunale di La Spezia con Sentenza n.198/2020.
Il Giudice Spezzino veniva adito da un condominio che citava il proprietario di un'unità in esso ricompresa la cui originaria destinazione di cantina era poi stata legittimamente variata ad abitativa in virtù di regolare concessione edilizia in sanatoria, chiedendo di pronunciare nei suoi confronti ordine di ripristino alla precedente categoria.
A fondamento della propria domanda l'attore richiamava l'art. 2 del vigente regolamento di natura assembleare a norma del quale la variazione della destinazione degli appartamenti e delle cantine ad uso diverso dall'abitazione avrebbe dovuto essere preventivamente autorizzata dall'assemblea, per di più con maggioranze qualificate.
All'esito, tuttavia, il Tribunale, focalizzando sulla natura assembleare del regolamento e in particolare sul contenuto illegittimamente restrittivo del richiamato art. 2, rigettava la domanda e motivava la propria decisione ribadendo, conformemente a quanto più volte statuito anche dalla Corte di Cassazione, che la possibilità di prevedere attraverso un regolamento di condominio particolari limitazioni al contenuto dei diritti di proprietà esclusiva dei singoli comproprietari sia praticabile unicamente e soltanto se approvata all'unanimità.
Viceversa, nel caso di specie, con il regolamento approvato con le semplici maggioranze di cui all'art. 1136 c.c., l'assemblea aveva introdotto un limite pregnante al pieno godimento da parte del proprietario dell'unità abitativa ex cantina, inserendo in maniera del tutto illegittima un divieto incidente nella sfera dei diritti del condomino convenuto.