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Rivendica della proprietà: percorso a ostacoli

L'amministratore deve essere incaricato da ciascun condomino ove si tratti di rivendicare la proprietà di un'area privata adiacente al fabbricato condominiale.
Avv. Gianfranco Di Rago - Foro di Milano 

L'amministratore è legittimato a svolgere azioni reali nell'interesse del condominio ma, ove non si tratti di semplici atti conservativi delle parti comuni, è necessaria la previa autorizzazione assembleare.

Diversamente, nel caso in cui si proceda per la tutela di diritti esclusivi dei condomini, è necessario che venga conferito all'amministratore uno specifico mandato da ognuno di essi o che venga adottata una deliberazione unanime da parte dell'intera compagine condominiale.

Questo il chiarimento contenuto nella recente sentenza n. 21533 dello scorso 7 ottobre con la quale la seconda sezione della Suprema Corte si è occupata della questione della legittimazione processuale attiva dell'amministratore condominiale nel caso di un'azione di rivendica per usucapione di un'area privata adiacente al fabbricato condominiale.

La rappresentanza processuale, attiva e passiva, dell'amministratore di condominio

L'art. 1131 c.c. dispone che, nei limiti delle attribuzioni stabilite dall'art. 1130 c.c. o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall'assemblea, l'amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condomini sia contro i terzi.

L'amministratore può essere altresì convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell'edificio e al medesimo sono notificati gli atti giudiziari e i provvedimenti della pubblica amministrazione indirizzati al condominio.

Qualora la citazione o il provvedimento abbia un contenuto che esorbita dalle attribuzioni dell'amministratore, questi è tenuto a darne senza indugio notizia all'assemblea dei condomini.

L'amministratore che non adempie a quest'obbligo può essere revocato ed è tenuto al risarcimento dei danni.

La rappresentanza attribuita dalla legge all'amministratore nel rapporto con il condominio è quindi anche di tipo processuale, nel senso che il primo può agire in giudizio, sia contro i terzi che contro gli stessi condomini, in nome e per conto del condominio (rappresentanza processuale attiva).

Qualora la controversia riguardi una delle materie attribuite alla sua competenza, questi può agire in giudizio senza che sia necessaria un'apposita autorizzazione da parte dell'assemblea condominiale.

Di contro, per le controversie che esulino dall'ambito delle sue attribuzioni, così come delineate dall'art. 1130 c.c., la rappresentanza processuale attiva dell'amministratore sarà sempre subordinata all'esistenza di un'espressa manifestazione di volontà in tal senso da parte dei condomini o contenuta nel regolamento di condominio o formalizzata in un'apposita deliberazione assembleare (che, ai sensi dell'art. 1136, commi 2 e 4, c.c., dovrà essere approvata con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio).

Quando un condomino si appropria di una parte comune, come deve comportarsi l'amministratore?

L'amministratore, inoltre, può essere citato in giudizio per rispondere in nome e per conto del condominio nelle cause riguardanti le parti comuni dell'edificio (rappresentanza processuale passiva).

La giurisprudenza ha per lungo tempo ritenuto che, rispetto alla rappresentanza processuale attiva, l'ambito di quella passiva fosse notevolmente più ampio, in quanto si sarebbe potuto prescindere dalle attribuzioni specifiche di cui all'art. 1130 c.c. e fare quindi riferimento a "qualunque azione concernente le parti comuni dell'edificio" (art. 1131, comma 2, c.c.).

Di conseguenza l'amministratore non avrebbe avuto bisogno di alcuna autorizzazione dell'assemblea per resistere in giudizio e per proporre le impugnazioni che si rendessero necessarie.

L'eventuale inosservanza dell'obbligo di informare i condomini dell'esistenza di un procedimento contro il condominio avrebbe avuto rilevanza puramente interna, senza incidere sui poteri di rappresentanza processuale dell'amministratore.

A questo indirizzo maggioritario se ne contrapponeva comunque un altro che ridimensionava il significato generalmente attribuito al disposto di cui all'art. 1131 c.c., comma 2 - che consente di convenire in giudizio l'amministratore del condominio per qualunque azione concernente le parti comuni dell'edificio - nel senso che detta norma avrebbe avuto come unico scopo quello di favorire il soggetto terzo che avesse dovuto avviare un giudizio nei confronti del condominio, consentendogli di poter notificare la citazione al solo amministratore, anziché a tutti i condomini.

A comporre tale contrasto sono intervenute le Sezioni Unite della Suprema Corte, con due sentenze del 2010, le quali hanno sostanzialmente parificato gli effetti della rappresentanza processuale passiva dell'amministratore a quella attiva, stabilendo quindi che anche nelle liti passive quest'ultimo può costituirsi in giudizio e impugnare la sentenza eventualmente sfavorevole, senza necessità di autorizzazione da parte dell'assemblea, soltanto se l'oggetto della controversia sia compreso nei limiti delle sue attribuzioni, come indicato dal predetto art. 1130 c.c.. In Cass. civ., sez. un., 6 agosto 2010, n. 18331, si legge infatti che "l'amministratore del condominio, potendo essere convenuto nei giudizi relativi alle parti comuni ma essendo tenuto a dare senza indugio notizia all'assemblea della citazione e del provvedimento che esorbiti dai suoi poteri, ai sensi dell'art. 1131 secondo e terzo comma c.c., può costituirsi in giudizio e impugnare la sentenza sfavorevole senza la preventiva autorizzazione dell'assemblea, ma deve, in tale ipotesi, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte dell'assemblea stessa, per evitare la pronuncia di inammissibilità dell'atto di costituzione ovvero di impugnazione".

Il principio in questione, pur con qualche sentenza di segno contrario, è stato poi in seguito osservato nelle successive decisioni della Suprema Corte (Cass. civ., n. 2179 del 2011; Cass. civ., n. 12525 del 2018; Cass. civ., n. 8774 del 2020).

Supercondominio: rappresentanza e ripartizione spese

La rappresentanza processuale dell'amministratore di condominio in caso di azioni reali.

Qualche specificazione ulteriore occorre nel caso di svolgimento di azioni reali, ossia di procedimenti giudiziari volti alla tutela della proprietà o di altro diritto reale.

Qualora detta azione debba essere avviata contro i singoli condomini o contro terzi, sia diretta a ottenere una decisione relativa alla titolarità, al contenuto o alla tutela dei diritti reali dei condomini su parti dell'edificio condominiale e non si tratti di un atto meramente conservativo (al cui compimento l'amministratore è viceversa autonomamente legittimato ex art. 1130, n. 4, c.c.), è infatti necessaria la previa autorizzazione dell'assemblea, da adottarsi con la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136 c.c.

Ove si tratti, invece, di azioni a tutela dei diritti esclusivi dei singoli condomini, la legittimazione dell'amministratore trova addirittura il suo fondamento soltanto nel mandato conferitogli direttamente da ciascun condomino, a nulla rilevando eventuali deliberazioni assembleari (tranne l'ipotesi scolastica della decisione adottata dall'intera compagine condominiale).

E questo perché il potere di estendere il dominio spettante ai singoli condomini in forza degli atti di acquisto delle singole proprietà è del tutto estraneo al meccanismo deliberativo dell'assemblea condominiale e può essere conferito solo in virtù di un mandato speciale rilasciato da ciascuno dei condomini interessati (Cass. civ., n. 5147 del 2003; Cass. civ., n. 80 del 2015; Cass. civ., n. 14797 del 2014).

Sentenza
Scarica Cass. 7 ottobre 2020 n. 21533
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