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Verso la natura giuridica del condominio. In anteprima il testo della nuova proposta di legge

La proposta di legge sarà presentata all'evento Condominio in Fiera e tenta di risolvere radicalmente il problema.
Avv. Peter Lewis Geti - Centro Studi GS 

Affrontare la questione circa la "natura giuridica" del condominio, dopo 76 anni dall'entrata in vigore del Codice civile e, in particolare, dopo 5 anni dall'entrata in vigore della riforma del 2012, potrebbe sembrare fuori luogo.

Molto è stato detto in ordine alla qualificazione giuridica del condominio, tracciando un sentiero molto chiaro e univoco, che non esime dal porsi domande e interrogativi di estrema attualità.

Cosa significa "natura giuridica"? Cercando di semplificare, significa comprendere se e in quali termini il condominio assume qualificazione autonoma, sussumibile in base ai principi consolidati nel Codice civile e nelle legislazioni settoriali.

Interessanti novità legislative per il settore condominiale.

Detto in altre parole, analizzando la "natura giuridica del condominio" non facciamo altro che interrogarci sul "se" il condominio, nelle variegate sfaccettature che lo compongono, rientri in una categoria giuridica ovvero in altra.

In tal senso, una delle prime domande che vengono poste agli aspiranti amministratori all'inizio dei corsi di formazione riguarda proprio la comprensione su "cosa" rientri nella nozione di condominio e per quali motivazioni.

Sotto un primo profilo, che definirei "strutturale", vi è poco da dire. Gli articoli del Codice civile dedicati al condominio (Libro III, Titolo VII, Capo II) sono chiari nel definire che il condominio "esiste" laddove nel medesimo edificio si registri la contemporanea esistenza di proprietà individuali ed esclusive (le proprietà dei singoli condomini) e di parti strutturalmente a comune e poste al servizio (necessario o eventuale) delle proprietà esclusive.

Non vi è, tendenzialmente, autonomia funzionale e strutturale delle parti comuni rispetto a quelle esclusive, essendo le prime asservite alle seconde (il collegamento funzionale tra la scala e l'unità immobiliare è evidente); allo stesso tempo, le seconde non potrebbero esistere in assenza delle prime (riusciamo a immaginare un'unità immobiliare posta a piani alti senza una scala che consenta di accedervi?).

Pertanto, prescindendo dalla configurazione ingegneristico-architettonica del condominio, questo esiste laddove si rinvenga il descritto rapporto funzionale e strutturale tra proprietà esclusiva e parti a comune.

Tale definizione ricomprende agevolmente anche le figure condominiali "anomale" quali il condominio orizzontale o il supercondominio, che la riforma del 2012 inserisce espressamente all'interno della disciplina.

Riformare la riforma del condominio? Adesso si può, forse.

Il profilo tributario. Posta l'esistenza di un condominio "strutturale", come testè definito, per espressa volontà del legislatore, le parti comuni potrebbero comportare la necessità di interventi manutentivi e della fornitura di servizi quali energia elettrica, gas o acqua.

Le parti comuni divengono quindi centro di imputazione di interessi fiscalmente rilevanti (fatture dei fornitori e bollette per utenze) che comportano la necessaria richiesta e conseguente utilizzo di un "codice fiscale".

Com'è noto, questo è un codice utilizzato ai fini fiscali ed amministrativi per identificare in modo univoco i soggetti (persone fisiche o giuridiche) che intrattengono rapporti economici all'interno dello Stato italiano.

L'attribuzione di un codice fiscale per assicurare una "tracciabilità" dei rapporti economici e fiscali, con la conseguente qualificazione di "sostituto d'imposta", discendono da una specifica volontà del legislatore, prescindendo da ulteriori considerazioni circa la natura giuridica.

Quanto sin qui ricostruito, dimostra agevolmente come il condominio abbia indubbiamente una "soggettività giuridica", ovverosia la capacità di essere titolare di diritti e destinatario di obblighi.

Il vero nodo della questione era, però, il rapporto tra condominio e singoli condomini, sia in termini di gestione che di titolarità dei singoli condomini ad agire a tutela anche degli interessi comuni.

La giurisprudenza costantemente rilevava la dicotomia, aggirandola sapientemente attribuendo al condominio una soggettività fortemente limitata e fortemente compressa dalla possibile (forse auspicata?) ingerenza dei singoli condomini.

In tale ottica, l'amministratore veniva relegato al ruolo di mero esecutore delle deliberazioni assembleari, con una rappresentanza mandataria derivante esclusivamente dalla previsione di legge, ma che non privava i singoli condomini del potere di agire personalmente a difesa dei propri diritti (anche) comuni (in tal senso Cass. civ., sez. II, n. 7891 del 9 giugno 2000).

Il condominio, tanto dalla giurisprudenza quanto dalla dottrina, viene ridotto ad "ente di gestione", mitologica persona giuridica pubblica che opera nel settore imprenditoriale attraverso partecipazioni in altre società giungendo alla formazione di gruppi di società controllate dall'ente stesso.

Di fatto, l'ente di gestione rappresenta un centro di coordinamento e comune gestione di interessi (in termini di indirizzo, principalmente), senza per questo gestire direttamente le attività economiche dei soggetti controllati.

In poche parole, ciascun condomino sarebbe di per sé autonomo nella gestione e cura delle cose comuni, salvo il coordinamento promosso dall'ente sovraordinato, che rappresenta una semplificazione gestionale, priva di ogni risvolto operativo concreto ed autonomo.

Appare evidente che tale ricostruzione rappresenti una forzatura interpretativa, connessa più alla volontà di non dire nulla sul punto, che all'effettiva analisi della situazione.

L'amministratore, infatti, si vede riconosciuta una forte autonomia nella tutela dei diritti e degli interessi comuni, basti pensare all'autonomo potere di rappresentanza (attiva o passiva) in giudizio (ma non in mediazione…) prevista dall'art. 1131 del Codice civile e dei poteri provvedimentali autonomi che gli sono riconosciuti (art. 1133 c.c.).

Tali circostanze sono, invero, mal conciliabili con l'attuale configurazione giuridica del condominio.

La giurisprudenza ha cercato di fornire un'interpretazione evolutiva, ma ha dovuto fronteggiare una riforma (quella del 2012) che non è intervenuta sul punto, lasciando intendere - nonostante il progetto iniziale - che fosse opportuno continuare a mantenere il condominio quale "ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini" (Cass. 17 febbraio 2012 n. 2363).

Tale circostanza si apprezza soprattutto analizzando la controversa questione della "solidarietà" condominiale di cui all'art. 63 delle Disposizioni di Attuazione del Codice civile.

Eppure non è detto che sia corretto proseguire lungo questo percorso.

Non spetta alla giurisprudenza superare l'empasse nella quale siamo - nuovamente - ricaduti. Al contrario, la magistratura ha l'ingrato compito di recepire il problema, evidenziarlo e individuare una soluzione consenta di procedere con la gestione, a carte invariate.

È quindi auspicabile un intervento incisivo del legislatore che sia finalizzato a risolvere i dubbi rilevati e colmare il vuoto.

Ad oggi, infatti, il condominio ha una sua (limitata) capacità giuridica, in quanto titolare di diritti e destinatario di obblighi, anche fiscali. Possiamo dire che è un soggetto di diritto a pieno titolo, sia pure affetto da un evidente "disturbo dissociativo dell'identità", posto che vive nella perenne incertezza tra sé, la collettività condominale e i singoli partecipanti al condominio che lo compongono.

La proposta di legge presentata all'evento Condominio in fiera cerca di risolvere radicalmente il problema. Il condominio, nella bozza di progetto, acquista l'autonomia patrimoniale perfetta che, accompagnata alla soggettività già posseduta (e rinforzata), diviene il centro unico di imputazione di tutti gli interessi che ruotano intorno al condominio.

Si risolve il problema della solidarietà, escludendo la possibilità di rivalersi sui condomini morosi, introducendo, al contrario, la possibilità agire nei loro confronti in via esecutiva (quali terzi debitori del condominio) nei limiti delle quote da loro dovute.

Si risolve l'annosa questione dell'autonomia dell'amministratore e dei suoi rapporti di sudditanza verso le decisioni assembleari, attraverso la fissazione di un "indirizzo di gestione" fissato dall'assemblea al rappresentante, che dovrà rispondere per le inefficienze conseguenti la sua attività.

L'introduzione di un'autonomia patrimoniale ha l'evidente funzione di garanzia a favore dei creditori dell'ente, in quanto permette di isolare le vicende del suo patrimonio da quelle del patrimonio personale dei suoi membri, con funzione di "compartimentazione dei rischi" delle diverse attività e dei patrimoni dei singoli.

Tale inquadramento, verosimilmente, potrà portare un'ulteriore evoluzione nei rapporti finanziari e commerciali, introducendo specifiche forme di valorizzazione del patrimonio comune (es. introduzione di un registro dei beni e degli impianti) e il diretto coinvolgimento dei condomini nelle operazioni finanziarie (es. prevedendo espressamente la garanzia fideiussoria pro quota).

Peraltro, la proposta consentirà di avviare un percorso virtuoso che assimilerebbe il condominio alle aziende di erogazione, per le quali - così come il condominio - l'azione gestoria dell'amministratore non è finalizzata al raggiungimento di un profitto, ma ad assicurare l'erogazione di servizi mirando al pareggio di bilancio, chiudendo il cerchio in continuità con la precedente interpretazione secondo cui il condominio fosse un ente di gestione.

Un piccolo passo in avanti, quindi, per il rafforzamento del condominio quale soggetto di diritto, con diritti e obblighi specifici.

Testo proposta disegno di legge

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