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Effettuare lo “spurgo” dei radiatori prima di chiedere il risarcimento dei danni.

Attenzione a modificare l'impianto comune di riscaldamento senza la preventiva autorizzazione assembleare.
Avv. Leonarda Colucci 

Non può essere modificato l'impianto di riscaldamento, anche se un condomino subisce danni dal cattivo funzionamento dell'impianto, senza la preventiva autorizzazione dell'assemblea.

Modifiche dannose. Il proprietario cita in giudizio il condominio addebitandogli il cattivo funzionamento dei radiatori. Dagli accertamenti era emerso che il cattivo funzionamento dell'impianto era l'effetto del mancato spurgo dell'aria, che a sua volta era da attribuire ad una modifica apportata all'impianto in precedenza.

Il proprietario al fine di evitare infiltrazioni d'acqua dal lastrico solare determinate dallo scolo del tubo di spurgo dell'impianto di riscaldamento provvedeva alla rimozione di tale tubo ed alla contestuale installazione di due valvole nel suo appartamento che avrebbero determinato come effetto il cattivo funzionamento dell'impianto.

Il condominio dal canto suo ha puntualizzato, nel giudizio in questione, che la causa del cattivo funzionamento dell'impianto era da attribuire esclusivamente alle modifiche apportate allo stesso da parte del ricorrente, che aveva di sua iniziativa provveduto alla rimozione del tubo di spurgo dell'aria ed alla installazione nel suo appartamento di due valvole che avrebbero dovuto avere la stessa funzione.

La decisione. Dagli accertamenti effettuati è emerso che il cattivo funzionamento dell'impianto di riscaldamento del condomino ricorrente era attribuibile esclusivamente all'assenza di un valido sistema di scarico dell'aria e che, dopo la rimozione del tubo di scarico, la collocazione delle due valvole nell'ambito della parte di impianto di proprietà esclusiva del condomino non assicurava lo stesso effetto e comprometteva seriamente il regolare funzionamento dell'impianto.

Quindi considerando che il ricorrente per risolvere il problema delle infiltrazioni d'acqua nel suo appartamento derivanti dallo scolo delle acque del tubo di scarico dell'aria dell'impianto di riscaldamento aveva provveduto alla rimozione di tale tubo; intervenendo senza alcuna autorizzazione dell'assemblea su un bene comune ritenendo che l'unica soluzione praticabile fosse quella dell'installazione delle valvole nel controsoffitto del suo appartamento.

Nessuna autorizzazione assembleare. È d'obbligo sottolineare che, nel caso in questione, un intervento sui beni comuni avrebbe dovuto essere autorizzato esclusivamente dall'assemblea condominiale "non essendo nella mera disponibilità dell'amministratore il quale non può certamente decidere autonomamente in ordine alla modifica di un bene comune suscettibile di incedere sul funzionamento del servizio". (Tribunale di Roma sentenza n. 789 del 2014). (Da non perdere: Anche se è semplice l'intervento, spetta al condominio l'intervento di sfiato dei termosifoni.)

Dunque questo vuol dire che non essendo stato autorizzato dall'assemblea, e non avendo la stessa ratificato le modifiche apportate all'impianto di riscaldamento dal ricorrente, ne deriva che la causa del cattivo funzionamento dello stesso è addebitabile esclusivamente all'attività posta in essere, e questo implica il mancato accoglimento della domanda di risarcimento del danno formulata dal condomino che, nel contestare il pagamento delle somme per il riscaldamento, ritenendo le stesse eccessive per non aver potuto usufruire di un servizio adeguato a fronte del cattivo funzionamento dell'impianto, avrebbe dovuto impugnare le delibere di riparto delle spese di riscaldamento nel rispetto dei termini previsti dall'articolo 1137 del codice civile; pertanto non avendo impugnato tali delibere egli non può più chiedere al condominio la ripetizione delle somme di riparto delle spese di riscaldamento validamente deliberate dall'assemblea condominiale.

L'articolo 1137, al secondo comma, dispone che le delibere condominiali possono essere impugnate dai condomini dinanzi all'autorità giuridiziaria, per chiederne l'annullamento entro il termine di trenta giorni che decorre dalla data di deliberazione per i condomini dissenzienti o astenuti e dalla notificazione della delibera per i condomini assenti.

Sul tema si segnala: Ditta E., Il regime di invalidità delle delibere sul riparto delle spese, in Cons. Imm., 2012, 910, 1210.

Al contrario, il Giudice unico nella sentenza in commento ha ritenuto che il ricorrente, non essendo stato autorizzato dall'assemblea ad apportare modifiche ai beni comuni (tubo di scarico dell'impianto), deve essere condannato a provvedere a sue spese alla riduzione in pristino della tubazione della rete dell'aria che permetterà nuovamente il regolare funzionamento dell'impianto di riscaldamento.

Ricordiamo che l'impianto di riscaldamento rientra fra i beni comuni elencati dall'articolo 1117 del codice civile argomento questo sul quale è più volte intervenuta la giurisprudenza a causa dei problemi interpretativi ad esso connessi (cfr NUZZO G.D., Impianto idrico: vietati gli interventi che alterano la destinazione d'uso comune, nota a Corte d'Appello di Roma, 11.04.2012, n.1956, in Amm. Condominio, 2012, 4, pag.8).

La presunzione di comproprietà dell'impianto di riscaldamento riguarda non solo la centrale termica ma anche le altre parti di cui lo stesso è costituito e cioè la caldaia, il serbatoio, le tubature, etc, di conseguenza la presunzione di comproprietà persiste fino al punto della diramazione dell'impianto nel punto di proprietà esclusiva dei singoli condomini. A tal riguardo la Cassazione ha precisato che la presunzione di comproprietà dell'impianto di riscaldamento opera con riguardo alle parti dell'impianto collocate al di fuori delle singole unità di proprietà esclusiva di un condominio, ribadendo che grava sui singoli condomini l'obbligo di conservare la destinazione a servizio comune dell'impianto di riscaldamento. (Cass. civ., 3.9.2010 n. 19045).

Sentenza
Scarica Tribunale di Roma n. 789/2014
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