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Locazione: chi risponde del mancato funzionamento dell'impianto condominiale?

Il proprietario deve attivarsi affinché il conduttore possa godere del bene locato, intervenendo anche sui beni e i servizi comuni del condominio.
Avv. Mariano Acquaviva 

Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 7169 del 15 maggio 2023, ha stabilito che, nel caso di mancato funzionamento dell'impianto centralizzato di riscaldamento, il locatore è tenuto ad attivarsi per garantire al proprio conduttore la possibilità di godere appieno del bene locato. Il vizio di un bene condominiale, infatti, non rientra tra le molestie per cui l'inquilino deve provvedere da sé. Analizziamo meglio la vicenda.

Impianto centralizzato non funzionante: fatto e decisione

Il conduttore conveniva in giudizio il locatore per sentirlo condannare al risarcimento del danno subito a causa del limitato godimento dell'immobile derivante dal malfunzionamento dell'impianto di riscaldamento, rimasto inattivo per tutto il periodo invernale.

Il proprietario si costituiva in giudizio eccependo la propria estraneità a ogni forma di responsabilità: il malfunzionamento dell'impianto centralizzato del condominio non sarebbe dipeso da una propria colpa e, comunque, non avrebbe fatto parte dell'obbligo di garanzia per le molestie.

Ai sensi dell'art. 1585 c.c., infatti, il locatore è tenuto a garantire il conduttore dalle molestie che diminuiscono l'uso o il godimento della cosa, arrecate da terzi che pretendono di avere diritti sulla cosa medesima. Si tratta delle cosiddette "molestie di diritto", le uniche per le quali il locatore è tenuto a intervenire.

Al contrario, in presenza di "molestie di fatto" derivanti da terzi che non pretendono di avere alcun diritto sull'immobile, il proprietario non è tenuto ad alcuna garanzia, per cui è il conduttore a doversi tutelare da solo. È il caso degli schiamazzi provenienti dal bar oppure delle infiltrazioni d'acqua dall'immobile soprastante.

Secondo il locatore convenuto, quindi, il mancato funzionamento dei riscaldamenti avrebbe fatto parte delle molestie di fatto per le quali non era tenuto a intervenire.

Non è di questo parere il Tribunale di Roma. Secondo il giudice capitolino, il proprietario dell'appartamento sito in un condominio è responsabile dei malfunzionamenti dei servizi comuni, ivi incluso quello del riscaldamento centralizzato.

Infatti, in qualità di condomino, il locatore è comproprietario di tutti i beni e i servizi comuni, per i quali quindi risponde ai sensi dell'art. 2051 c.c. insieme all'intera compagine.

Nel caso di specie la posizione del locatore era ulteriormente aggravata dalla consapevolezza del malfunzionamento e dall'opposizione, manifestata in assemblea, all'esecuzione degli interventi che sarebbero stati necessari per ripristinarne l'uso.

Ciononostante, a parere del Tribunale di Roma l'attore non ha diritto al risarcimento in quanto non ha fornito dimostrazione dei danni patiti a seguito del difetto di funzionamento dell'impianto di riscaldamento.

Contratto di locazione ed oneri condominiali, quali regole in caso di malfunzionamento?

Ai sensi del secondo comma dell'art. 1227 c.c., «Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza».

Secondo il giudice capitolino, l'inquilino ben avrebbe potuto evitare ogni disagio, con modica spesa, procurandosi termoconvettori elettrici o stufe, a gas o elettriche, per poi rivalersi nei confronti del locatore o del condominio, delle spese sostenute per detti acquisti e degli esborsi sostenuti per i maggiori consumi di energia elettrica o di gas.

Nonostante sia quindi fondata la responsabilità del locatore, la domanda risarcitoria va respinta perché il danno non è stato provato.

Locazione e malfunzionamento riscaldamento: considerazioni conclusive

La sentenza del Tribunale di Roma trova riscontro non solo nel tenore delle norme richiamate (artt. 1227, 1575 e 1585 c.c.) ma anche nella giurisprudenza.

Secondo la Suprema Corte (Cass., sent. n. 11230/2016), l'art. 1227 c.c., comma secondo, non si limita a prescrivere al danneggiato un comportamento meramente negativo, consistente nel non aggravare con la propria attività il danno già prodottosi, ma richiede un intervento attivo e positivo, volto non solo a limitare, ma anche ad evitare le conseguenze deleterie, in ottemperanza al principio di correttezza e di buona fede oggettiva di cui all'art. 1175 c.c., applicabile non solo al debitore ma anche al creditore, tenendo conto che «il limite alla esigibilità del comportamento attivo è costituito dalla "ordinaria" e non "straordinaria" diligenza, nel senso che le attività che il creditore avrebbe dovuto porre in essere al fine dell'evitabilità del danno, non siano gravose o straordinarie, come esborsi apprezzabili di denaro, assunzione di rischi, apprezzabili sacrifici».

Sentenza
Scarica Trib. Roma 15 maggio 2023 n. 7169
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