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La delibera che impone fasce orarie per l'utilizzo dell'acqua del pozzo comune ad uso irriguo costituisce un'innovazione?

L'innovazione di un bene o servizio del condominio consiste in un facere che modifica la consistenza originaria della cosa o la sua destinazione.
Avv. Anna Nicola 

Per innovazione delle cose comuni si intende non tutte le modificazioni ma solamente quelle che, comportando l'alterazione dell'entità materiale o il mutamento della funzione originaria del bene, implicano che le parti comuni, in seguito all'attività o alle opere compiute, abbiano una diversa consistenza materiale ovvero siano utilizzate per fini diversi da quelli fino ad allora praticati.

La distinzione tra modifica ed innovazione è data dall'incidenza della nuova opera sulla consistenza e sulla destinazione della cosa comune: per innovazione in senso tecnico-giuridico deve intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l'entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria.

Conferma è data dal fatto che le modificazioni che mirano a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune e ne lasciano immutate la consistenza e la destinazione, in modo da non turbare i concorrenti interessi dei condomini, non possono definirsi innovazioni nel senso indicato.

Queste osservazioni sono state fatte proprie dalla decisione della Corte di Appello di Roma del 16 marzo 2023, n. 1924.

Fatto e decisione

Una condomina impugna la delibera assembleare con cui si è deciso di adottare fasce orarie per erogazione dell'acqua e la chiusura del pozzo nel periodo invernale, dopo aver previamente esperito la mediazione che si è conclusa negativamente per mancata partecipazione del condominio.

Tralasciando gli aspetti processuali della vicenda che qui non hanno attinenza, la questione da risolvere riguarda la qualificazione giuridica di questa decisione e di conseguenza la maggioranza necessaria.

Il Tribunale la qualifica quale innovazione ex art. 1120 ultimo comma c.c., norma che vieta le innovazioni che rendono talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino (a meno che esse vengano adottate con il consenso della totalità dei condomini), dichiarando la nullità della delibera.

Da qui l'appello del condominio e la costituzione della convenuta condomina che ribadisce l'invalidità della delibera.

La Corte di Appello sul punto è di contrario parere rispetto al tribunale.

Le sue osservazioni principali sono le seguenti.

Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte deve considerarsi "innovazione", agli effetti dell'art. 1120 c.c., non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l'entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria" e lo stabilire se un'opera integri o meno gli estremi dell'innovazione prevista dall'art. 1120 c.c. costituisce un'indagine di fatto, insindacabile in sede di legittimità se correttamente e congruamente motivata (Cass. n. 5101/1986; Cass. n. 15460/2002; Cass. n. 35957/2021).

Nella fattispecie in esame, la delibera non ha deciso una innovazione, ma piuttosto ha sancito delle limitazioni alla fruizione dell'acqua ad uso irriguo, per preservare l'utilizzo e la corretta utilizzazione del pozzo condominiale oggetto della concessione provinciale, a fronte del pericolo determinato dalla revoca della medesima concessione per sforamento dei limiti di consumo.

Questo pozzo (destinato a servire tutte le immobiliari di proprietà esclusiva), per sua stessa natura non è, infatti, utilizzabile in maniera personale e diretta da ciascun condomino, ma necessita di un'attività d'impianto e di gestione comune (comprendente la successiva manutenzione ed il controllo dei consumi), precipuo compito dell'assemblea.

Esclusa così la qualifica della decisione dell'assemblea come innovazione ex art. 1120 c.c. deve affermarsi che la volontà collettiva, tesa a regolare l'uso del bene comune, sia stata validamente manifestata in assemblea, con il raggiungimento dei quorum prescritti dall'art. 1136 co. 3, c.c.

Quanto detto non si pone, pertanto, come contrario al diritto dei singoli condomini sul bene comune, perché quest'ultimo è tale finché assolva, a beneficio di tutti i partecipanti, la sua funzione, né la delibera va ad incidere sulle proprietà esclusive, cioè sulle parti dell'impianto di proprietà individuale (in singoli rubinetti ed impianti di irrigazione).

Conclusioni

Com'è noto, ai sensi dell'art. 1120 c.c. sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino.

Prendendo in considerazione quest'ultimo aspetto, il pregiudizio che costituisce preclusione alle innovazioni deve essere oggettivamente non tollerabile almeno per un condomino.

Ne deriva che, se l'innovazione è utile a tutti i condomini eccetto uno e se a questi l'innovazione arreca un pregiudizio tollerabile, soprattutto in relazione alla sua temporaneità e saltuarietà, l'innovazione deve essere considerata legittima.

Da ciò si può affermare che la delibera possa integrare un fatto potenzialmente idoneo ad arrecare danno al condomino medesimo, avendo la facoltà di chiedere una pronuncia di condanna del condominio al risarcimento del danno, ricorrendone le condizioni, dovendosi imputare alla collettività condominiale gli atti compiuti e l'attività svolta in suo nome, nonché le relative conseguenze patrimoniali sfavorevoli, e rimanendo il singolo condomino danneggiato distinto dal gruppo ed equiparato a tali effetti ad un terzo. (Cass. Civ. sez. II 26 settembre 2018 n. 23076).

Nel caso di specie la delibera ha invece semplicemente regolamentato il servizio comune di erogazione dell'acqua, senza ledere il diritto d'uso dei singoli condomini ma fornendo le modalità di utilizzo, semplicemente riducendolo, al fine di mantenere il servizio medesimo. L'esorbitante uso del bene avrebbe infatti portato o comunque potuto portare alla revoca della relativa concessione provinciale.

Sentenza
Scarica App. Roma 16 marzo 2023 n. 1924
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