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La canna fumaria deve essere rimossa se altera l'estetica del fabbricato.

Ecco perchè la canna fumaria va rimossa se altera l'estetica del fabbricato.
Paolo Accoti 

L'apposizione di una canna fumaria e della relativa struttura di copertura che immuta lo stato della cosa comune ed eccede i limiti segnati dalle concorrenti facoltà dei compossessori ex art. 1102 c.c., in particolare, l'analogo uso da parte di questi ultimi, risulta illegittima.

E' quanto riaffermato dalla Suprema Corte, con la sentenza resa in data 24.08.2015, n. 17072, la quale si rivela particolarmente interessante perché affronta diverse questioni relative al compossesso del bene comune.

La vicenda trae origine dall'installazione, su un muro comune, di una canna fumaria relativa ad un impianto di riscaldamento che, a dire di altri due condomini, alterava la facciata condominiale (corte interna) di un palazzo di pregio, nonché diminuiva la visibilità superiore della finestra del loro appartamento, siccome posta ad una distanza ridotta all'anzidetta apertura.

Rigettata in primo grado la domanda dei due condomini tesa alla rimozione della canna fumaria, in appello, la sentenza veniva completamente ribaltata, con la condanna al ripristino dello stato dei luoghi.

La controversia, quindi, veniva definitivamente risolta con la decisione della Suprema Corte, sopra richiamata, la quale confermava la sentenza di secondo grado.

Nel giudizio di legittimità, la società/condomina ricorrente rilevava, tra l'altro, la circostanza per la quale la corte di merito non aveva tenuto in alcuna considerazione la volontà della stessa di internare a proprie spese la canna fumaria, nonché il proprio diritto all'utilizzo del muro comune, anche per assolvere alla primaria funzione di riscaldare il proprio appartamento e, quindi, la violazione dell'art. 1102.

La Corte di Cassazione, nel ritenere i suddetti motivi infondati, evidenzia come la volontà di ripristinare lo stato dei luoghi, non esclude la turbativa nel possesso, possesso che peraltro prescinde dalla verifica sua legittimità.

Via la canna fumaria se lede il decoro architettonico dell'edificio

Tanto è vero che, richiamando dei propri risalenti precedenti, afferma come: “... la doglianza di mancata valutazione della circostanza di essersi offerta di internare la canna fumaria, anche per la funzione primaria del riscaldamento rispetto alla utilizzazione dei locali di sua proprietà, trattandosi di elemento di giudizio che non vale ad escludere l'elemento psicologico della turbativa, al pari della necessità di riscaldare l'appartamento, in quanto nel giudizio possessorio assume rilievo esclusivo la situazione di fatto esistente al momento dello spoglio o della turbativa, rimanendo estranea ogni questione relativa alla legittimità del possesso e, in particolare, alla sua rispondenza ad un titolo legittimo (v. Cass. 3 febbraio 1998 n. 1040; Cass. 28 febbraio 1989 n. 1087; Cass. 21 maggio 1987 n. 4625)”.

Entrando nel merito la Suprema Corte osserva come, nel condominio degli edifici, per i beni comuni vige, in favore di tutti i condomini, un compossesso pro-indiviso.

L'esercizio dell'anzidetto compossesso può esercitarsi in due modi differenti, a seconda che il bene comune sia oggettivamente utile alle singole unità immobiliari cui è collegato materialmente o per funzione (suolo, fondazioni, muri maestri, oggettivamente utili per la statica) ovvero quando sia soggettivamente utile nel senso che la sua unione materiale o la destinazione funzionale ai piani o porzioni di piano dipende dall'attività dei rispettivi proprietari (portone, anditi, scale, ascensore ecc.).

Nel primo caso, il possesso viene esercitato con il beneficio che il piano o la porzione di piano trae da tale utilità, nel secondo caso, con l'esercizio della predetta attività da parte del proprietario.

Evenienze queste che danno esclusivo rilievo alle situazione di fatto, prescindendo dall'esistenza, o meno, di un legittimo titolo per l'esercizio del possesso.

Ciò posto, il godimento delle cose comuni da parte dei singoli condomini assurge ad oggetto di tutela possessoria quando uno di loro abbia alterato e violato, senza il consenso degli altri condomini ed in loro pregiudizio, lo stato di fatto o la destinazione della cosa oggetto del comune possesso, in modo da impedire o da restringere il godimento spettante a ciascun compossessore pro indiviso sulla cosa medesima (Cass. 26 gennaio 2000 n. 855; Cass. 11 marzo 1993 n. 2947; Cass. 21 luglio 1988 n. 4733; Cass. 18 luglio 1984 n. 4195).

La modifica di una parte comune e della sua destinazione ad opera di taluno dei condomini, sottraendo la cosa alla sua specifica funzione e quindi al compossesso di tutti i condomini, legittima di conseguenza gli altri condomini all'esperimento dell'azione di reintegrazione per conseguire la riduzione della cosa al pristino stato in modo che essa possa continuare a fornire quella utilitas alla quale era asservita anteriormente alla contestata modificazione, senza che sia necessaria la specifica prova del possesso di detta parte quando risulti che essa consista in una porzione immobiliare in cui l'edificio si articola (Cass. 13 luglio 1993 n. 7691)”.

Nel caso concreto si è accertato, con apprezzamento non censurabile in cassazione, che la canna fumaria aveva dimensioni non trascurabili, allocata in una sovrastruttura apposta nella facciata del palazzo condominiale priva di qualsiasi pregio architettonico o funzionale in relazione alla parete esterna dell'edificio, motivo per il quale alterava notevolmente l'estetica dell'edificio, quand'anche bisognevole di manutenzione; peraltro, era stato anche accertato che l'ingombro della struttura provocava ombra sulla finestra dell'appartamento diminuendone, pertanto, la luminosità.

Conclude, pertanto, la Suprema Corte affermando come: “… l'uso particolare che il comproprietario faccia del bene comune non può considerarsi estraneo alla destinazione normale dell'area, a condizione però che si verifichi in concreto che, per le dimensioni del manufatto o per altre eventuali ragioni di fatto, tale uso non alteri l'utilizzazione del cortile praticata dagli altri comproprietari, né escluda per gli stessi la possibilità di fare del bene medesimo un analogo uso particolare (cfr. Cass. 20 agosto 2002 n. 12262; Cass. 17 maggio 1997 n. 4394).

La sentenza impugnata da conto proprio della inesistenza di tale condizione ed in particolare della alterazione della destinazione naturale dell'area occupata con la struttura contenente la canna fumaria e per tale ragione ha ritenuto commettere molestia la società che aveva immutato lo stato di fatto degradando gravemente l'estetica dell'edificio ed alterando precedenti facoltà di utilizzazione da parte degli altri condomini, in particolare dei resistenti.

Del resto le denotate modalità (obiettive) dell'aggressione possessoria disvelavano, a chiare note, la sussistenza, in capo alla ricorrente del c.d. animus turbandi il quale, come è dato ormai acquisito, consiste nella volontarietà del fatto compiuto a detrimento dell'altrui possesso, contro il divieto espresso anche solo presunto del possessore e si profila, in linea di massima, tutte le volte che in concreto si colgono gli estremi della turbativa, rendendosi normalmente irrilevante l'eventuale convinzione dell'autore di questa di esercitare propri diritti (cfr Cass. n. 8829 del 1997; Cass. n. 22414 del 2004).

Né risultano dimostrati nella specie gli argomenti esposti, quali l'impossibilità di una diversa collocazione della canna fumaria, oltre alla necessità ed urgenza di detta collocazione”.

Pertanto, la lesione del decoro architettonico nonché la diminuzione della luminosità dell'appartamento dei resistenti, impongono la rimozione della canna fumaria.

Approfondisci:

Edifici di pregio ed installazione di canna fumaria sul muro comune.

STUDIO LEGALE AVV. PAOLO ACCOTI

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