Chi acquista tutte le unità immobiliari ubicate su di un piano dell'edificio non diventa automaticamente proprietario del relativo corridoio comune di accesso e disimpegno che, salva diversa disposizione risultante dal titolo d'acquisto, rimane di natura condominiale.
È questo il principio di diritto sancito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 12157 dell'11 giugno 2015, che ha negato il riconoscimento della proprietà esclusiva del corridoio a favore della società che aveva acquistato tutte le cantine ubicate nel piano sottotetto dell'edificio in condominio.
Il caso. Una società immobiliare acquistava dai rispettivi proprietari tutte le cantine realizzate nel locale sottotetto del condominio e procedeva alla loro ristrutturazione, di modo che, al termine dei lavori, il corridoio che originariamente serviva da accesso comune alle cantine risultava essere inglobato nella proprietà esclusiva della società.
L'unica condomina rimasta agiva allora in giudizio, lamentando l'abusiva occupazione del corridoio e chiedendo il ripristino dello stato dei luoghi.
In mancanza di titolo contrario, il sottotetto si presume comuneex art. 1117 c.c.La Corte di Cassazione, nel confermare la sentenza di merito favorevole alla condomina, richiama anzitutto il principio già affermato nella propria sentenza n. 17249/2011: “la natura del sottotetto di un edificio è, in primo luogo, determinata dai titoli.
Solo in difetto di questi ultimi, il sottotetto può ritenersi comune, se esso risulti in concreto, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all'uso comune o all'esercizio di un servizio di interesse comune”.
Nel caso di specie, è stato accertato che, in origine, le cantine presenti nel sottotetto appartenevano almeno a due soggetti diversi, per cui il corridoio in questione doveva considerarsi necessariamente un bene condominiale: “il fatto che almeno due condomini potessero avere accesso al corridoio del piano sottotetto implica l'esistenza della condizione necessaria e sufficiente per presumere la proprietà condominiale”.
Tale affermazione trova conferma, peraltro, nella struttura stessa dell'immobile. Si è in presenza di un corridoio di accesso al sottotetto suddiviso in più locali distinti, per cui è evidente l'originaria funzione comune: “la creazione di un corridoio presuppone infatti un uso che serva alla collettività, funzionale a due o più numerose proprietà singole, che nella specie sussistevano all'atto della costituzione del condominio e comunque prima dell'acquisto” da parte della società.
A tutto ciò si aggiunga che la convenuta non ha fornito in giudizio alcuna prova dell'esistenza di un valido titoli di acquisto atto a dimostrare la proprietà esclusiva del corridoio.
In assenza di tale prova, come detto, il bene si presume di natura comune ex art. 1117 c.c.
Niente da fare, dunque, per la nuova proprietaria, che dovrà ripristinare il passaggio al sottotetto a favore del condominio. (Vivere nel sottotetto non si può. Ecco il perché.)
La Corte di Cassazione ha respinto anche la censura relativa all'abuso di diritto che, a detta della società, sarebbe stato perpetrato dal condominio nel difendere ostinatamente la natura comune di un bene ormai destinato a servire un piano di proprietà esclusiva.
In realtà, ciò che conta è che ogni singolo condomino abbia, anche solo potenzialmente, la possibilità di usare il bene comune, a prescindere da un suo utilizzo attuale o concreto.
Nella fattispecie, è innegabile il “concreto interesse dei condomini a conservare la titolarità comune su una porzione dell'immobile che, in futuro, può sempre rivelarsi suscettibile di usi attualmente imprevedibili, come nel caso di posa in opera di tubi, fili, impianti e simili”.