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Il bene rimane comune anche se i condòmini non lo utilizzano.

La condominialità dei beni non dipende dall'uso effettivo: ecco come la giurisprudenza conferma che anche i locali non utilizzati restano di proprietà comune dei condòmini.
Avv. Paolo Accoti 

Com'è noto, i beni elencati dall'art. 1117 c.c. si ritengono di proprietà della collettività se il contrario non emerge dal titolo.

Il principio è riferibile a tutti i beni comuni, ivi compreso il sottotetto, che può essere ritenuto tale, qualora, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, è oggettivamente destinato all'uso collettivo (Cfr.: Cass. n. 17249/2011).

Ciò risulta ancor più evidente, quando, per le dimensioni delle stesso, è possibile l'utilizzazione come vano autonomo.

La problematica è stata di recente affrontata dalla giurisprudenza di legittimità, che si è occupata della questione relativa ai locali sottotetto, adibiti a cantine, acquistati da un'unica società, la quale, nell'ambito della ristrutturazione degli stessi, aveva inglobato anche il corridoio di accesso ai predetti vani, provocando la reazione del condominio che ne ha chiesto la restituzione.

La società opponeva la circostanza per la quale il corridoio servisse solo alcune unità immobiliari e che i condòmini non avrebbero mai usato l'anzidetto corridoio, mancando pertanto il nesso di strumentalità comune dell'anzidetto bene.

Di contrario avviso la Suprema Corte, la quale, con sentenza n. 12157, dell'11.06.2015, esclusa la proprietà privata del corridoio in difetto di titolo idoneo, asserisce come ciò che ha rilievo per ritenere la condominialità del bene è: "… la destinazione funzionale del bene all'uso di più condòmini proprietari di singole unità sottotetto".

Né può assumere rilievo la circostanza per cui il bene non sia al servizio delle proprietà di altri condomini ovvero che la generalità degli stessi non utilizza l'anzidetto bene (nella fattispecie concreta il corridoio del sottotetto), considerato che la presunzione di comproprietà, approntata dall'art. 1117 c.c., "si fonda su elementi obiettivi che rilevano l'attitudine funzionale del bene al servizio o al godimento collettivo".

Questi i principi generali chiaramente applicabili a tutti le parti comuni dell'edificio: il vero discrimine tra proprietà privata e comune, non risiede nell'utilizzo dello stesso, bensì nelle caratteristiche funzionali e organiche del bene, laddove questo potenzialmente sia destinato a servire una pluralità di soggetti, potenziali utilizzatori; in tali casi, il bene si ritiene comune all'intero condominio.

Ferma restando la possibilità di provare il contrario e, pertanto, la proprietà esclusiva, per il tramite di idoneo titolo.

D'altronde afferma la Suprema Corte, nel caso specifico: "il fatto che almeno due condomini potessero avere accesso al corridoio del piano sottotetto implica l'esistenza della condizione necessaria e sufficiente per presumere la proprietà condominiale.

E' ben difficile sostenere comunque che un corridoio concepito e costruito per l'accesso a molti distinti vani ripostiglio sia un bene avente propria autonomia e indipendenza, non legato da una destinazione di servizio, almeno potenziale, rispetto all'edificio condominiale.

La pluralità dei soggetti potenzialmente utilizzatori non è infatti discutibile e non sussistono le caratteristiche strutturali atte a far presumere che alla nascita del condominio quel corridoio sia stato riservato a un proprietario esclusivo" (Cass. civ., Sez. II, 11.06.2015, n. 12157).

Altro importante principio espresso dalla Suprema Corte nella sentenza in commento, è quello per cui, fermo restando che una siffatta azione rientra tra quelle poste a salvaguardia dei beni comuni, per la quale l'amministratore è legittimato ad agire in giudizio autonomamente, anche senza l'autorizzazione assembleare, in ogni caso, a prescindere dall'effettivo utilizzo, o meno, da parte dei singoli condòmini, gli stessi hanno sempre: "un concreto interesse a conservare la titolarità comune su una porzione dell'immobile che in futuro può sempre rilevarsi suscettibile di usi attualmente non prevedibili, come nel caso di posa in opera di tubi, fili, impianti e simili".

Pertanto, il condominio, al pari del singolo condomino, nell'ipotesi di salvaguardia dei beni comuni, ha sempre la legittimazione attiva a stare in giudizio, vale a dire che, a ragione, può sempre ricorrere all'autorità giudiziaria - anche se concretamente non utilizzata il bene comune - qualora l'azione sia finalizzata alla difesa della condominialità del bene, senza il rischio di incorrere in atti emulativi (ossia di nuocere o recare molestia) in danno di terzi che si atteggiano quali proprietari esclusivi del bene.

Correlato: Il corridoio rimane comune anche se il piano sottotetto viene acquistato da un unico proprietario

STUDIO LEGALE AVV. PAOLO ACCOTI

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