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Immobile acquistato mortis causa con abusi edilizi: di chi è la responsabilità?

L'immobile abusivo può entrare a far parte dell'asse ereditario?
Avv. Anna Nicola 

L'immobile abusivo non è «sconosciuto» ai registri immobiliari e non è inidoneo a far parte dell'asse ereditario.

Ha una sua chiara consistenza e può costituire oggetto di proprietà, anche acquisita per successione.

Essendo abusivo, correttamente può essere oggetto di sentenza di condanna di demolizione.

Come affermato dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite Civili (cfr. Sez.U Civili, n. 25021 del 16/04/2019, in motivazione), l'immobile abusivo oggetto di demolizione è parte dell'asse ereditario, si trasmette agli eredi e su di esso si forma la comunione ereditaria, salvo il caso della rinuncia.

Proseguendo in questo precedente si ha che la comunione ereditaria riguarda i beni che componevano il patrimonio del deceduto e si forma ipso iure tra gli eredi quando, in ragione dell'apertura di una successione mortis causa, vi siano una più chiamati all'eredità ed più accettazioni (espresse o tacite).

La comunione ereditaria è, di conseguenza, indipendente dalla volontà dei chiamati alla eredità, non essendo comunione "volontaria", essendo assente un atto negoziale volto a costituirla, e va qualificata come comunione "incidentale", perché sorge per il verificarsi del mero "fatto giuridico" della pluralità di acquisti della medesima eredità da parte degli aventi diritto.

È poi da considerare che la nullità ex art. 46 d.P.R. n. 380 del 2001 è relativa ai soli atti tra vivi, esclusi gli acquisti di beni immobili abusivi mortis causa.

Questa disposizione sancisce che «Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo il 17 marzo 1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria...».

La Suprema Corte a Sez. U Civili, n. 8230 del 22/03/2019, ha poi specificato il principio per cui la nullità comminata dall'art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dagli artt. 17 e 40 della L n. 47 del 1985 va rapportata al comma 3 dell'art 1418 c.c., di cui è una precisa declinazione, e si qualifica come nullità «testuale».

Ciò significa che, in stretta adesione al dato normativo, è un'unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali di cui alle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell'immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell'immobile. (cfr. anche Cass. SU. . n. 25021 del 16/04/2019).

Questa giurisprudenza conclude che non rientrano in queste fattispecie gli atti mortis causa e, tra quelli inter vivos, gli atti privi di efficacia traslativa reale (ossia quelli ad effetti meramente obbligatori), gli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù (espressamente esclusi dalle richiamate disposizioni), gli atti derivanti da procedure esecutive immobiliari individuali o concorsuali (artt. 46, comma 5, del d.P.R. n. 380 del 2001 e 40, commi 5 e 6, della legge n. 47 del 1985).

Fatto e decisione

La Corte di Cassazione sez. penale n. 307/2023 del 17 aprile 2023 ha fato propri questi principi, in ragione anche del vincolo paesaggistico ambientale.

Nel caso di specie, in primo grado, verificato che l'immobile era stato acquistato mortis causa ma aveva carattere abusivo, si è affermata la proprietà degli eredi e allo stesso tempo è stata emessa sentenza di condanna alla demolizione del bene.

Ricorrono in Cassazione gli aventi causa dei successori mortis causa e il Supremo Collegio ribadisce i principi già espressi dall'autorità giudiziaria in primo grado.

Così afferma che l'ordinanza impugnata, che ha confermato l'ingiunzione a demolire nei confronti degli eredi dei soggetti condannati per i reati edilizi, ha correttamente ritenuto che l'immobile sia parte del patrimonio ereditario di cui sono titolari i ricorrenti.

Stante ciò, l'ordine di demolizione delle opere abusive emesso dal giudice penale ha forza reale ed ha valore di sanzione amministrativa a contenuto ripristinatorio e deve, di conseguenza, essere eseguito nei confronti di tutti i soggetti legati al bene e che hanno su di esso un diritto reale o personale di godimento, anche se soggetti estranei alla commissione del reato (Sez. 3, n. 47281 del 21/10/2009; Sez. 3, n. 37120 del 11/05/2005).

L'ordine di demolizione del manufatto abusivo, anche se oggetto di acquisto per successione a causa di morte, conserva la sua efficacia nei confronti dell'erede del condannato, stante la preminenza dell'interesse paesaggistico e urbanistico, alla cui tutela è volto il provvedimento amministrativo emesso dal giudice penale, rispetto a quello privatistico, alla conservazione del manufatto, dell'avente causa del condannato.

Considerazioni conclusive

La demolizione di ben immobile può anche essere oggetto di provvedimento amministrativo.

Interessante è allora verificare come si può sviluppare la fattispecie.

La demolizione disposta dal giudice penale ha natura di sanzione amministrativa di contenuto ripristinatorio: la sua esecuzione spetta al pubblico ministero e, se sorgono controversie, la competenza è del giudice dell'esecuzione penale, ai sensi degli artt. 655 e ss. c.p.p.

Si qualifica in termini di atto dovuto, espressione di un potere autonomo e non residuale, né suppletivo, rispetto a quelli attribuiti all'autorità amministrativa, e che può pertanto concorrere con la demolizione disposta da quest'ultima: il coordinamento fra l'intervento del giudice penale e quello generale di carattere amministrativo è destinato a realizzarsi nella fase esecutiva e non in quella cognitoria.

La reciproca autonomia fra la demolizione ordinata dal giudice penale e i poteri sanzionatori del Comune implica che il giudice penale ha il potere di sindacare le deliberazioni comunali sopravvenute che, a vario titolo, sottraggano alla demolizione l'opera abusiva, impedendo così che l'ola demolizione l'opera abusiva, impedendo così che l'ordine impartito con la sentenza di condanna sia eseguito e anzi, imponendone la sospensione e/o il ritiro.

La sanzione demolitoria irrogata dal giudice penale e quella irrogata dall'autorità amministrativa possono coesistere, salva la necessità di coordinarne l'esecuzione, la quale in un caso è promossa dal pubblico ministero e segue il percorso descritto dal codice di procedura penale, nell'altro è ad iniziativa del Comune secondo la scansione dettata dall'art. 31 d.P.R. n. 380/2001.

I due procedimenti sanzionatori sono e restano distinti sul piano formale e sostanziale, ancorché coordinati.

Sentenza
Scarica Cass. Pen. 21 febbraio 2023 n. 16141
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