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Scatta il reato anche se i rumori molesti riguardano un ambito ristretto come il condominio

Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone in condominio.
Dott.ssa Marta Jerovante - Consulente Giuridico 

Il caso Il legale rappresentante di un'associazione culturale veniva ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 659 c.p., per aver recato disturbo mediante schiamazzi e rumori superiori alla soglia prevista dal D.P.C.M. 14 novembre 1997, e veniva condannato dal Tribunale alla pena dell'ammenda.

L'imputato ricorreva allora in cassazione, lamentando, da un lato, che nel caso di specie era emerso che le immissioni sonore avessero riguardato solo una ristretta e determinata cerchia di persone, in un ambito territoriale determinato - ossia il Condominio; dall'altro, che le lamentele dei vicini e le loro denunce non potessero essere considerate come prova della diffusività dei rumori medesimi.

In sostanza - denunciava l'imputato -, il Tribunale aveva omesso di accertare che il disturbo alle persone riguardasse, almeno potenzialmente, un numero indeterminato di persone e che si fosse così configurato il pericolo concreto per la quiete pubblica richiesto dalla norma incriminatrice ai fini del reato.

La decisione: diffusività delle emissioni e ambito territoriale ristretto La Suprema Corte, pur chiarendo che le doglianze formulate dall'imputato avrebbero richiesto una rivalutazione dei fatti preclusa in sede di legittimità e che, per tale ragione, il ricorso debba essere qualificato come palesemente inammissibile, si è soffermata ampiamente sul percorso argomentativo compiuto dal Tribunale e ne ha ribadito coerenza e logicità: dichiarazioni testimoniali, sopralluoghi e misurazioni compiute da tecnici dell'ARPA Lombardia hanno confermato che le emissioni sonore provenienti dal locale superavano i limiti normativamente stabiliti e venivano percepite nelle abitazioni ubicate a 20 o 30 metri di distanza dal locale medesimo.

Era stato poi accertato che detti rumori e suoni non avevano disturbato soltanto il denunciante e i suoi famigliari, residenti in un appartamento posto al piano superiore rispetto al locale sede del circolo ricreativo gestito dall'imputato, ma tutti gli abitanti nelle vicinanze di detto locale, al punto che una residente nel medesimo condominio era stata indotta a trasferirsi altrove.

Alla doglianza secondo cui il Tribunale avesse mancato di accertare che la musica proveniente dal locale gestito dall'imputato fosse fastidiosa o assordante anche al di fuori del condominio in cui si trovava tale locale, i giudici di legittimità hanno invece opposto che «per la configurabilità della contravvenzione di cui all'art. 659 c.p. non sono necessarie né la vastità dell'area interessata dalle emissioni sonore, né il disturbo di un numero rilevante di persone, essendo sufficiente che il disturbo venga arrecato a un gruppo indeterminato di persone e non solo a un singolo, anche se raccolte in un ambito ristretto, come, ad esempio in un condominio».

I rumori devono disturbare tutta la compagine condominiale

Viene dunque confermato l'orientamento secondo il quale perché sussista la contravvenzione di cui all'art. 659 c.p. relativamente ad attività che si svolga in ambito condominiale, è necessaria la produzione di rumori idonei ad arrecare disturbo o a turbare la quiete e le occupazioni non solo degli abitanti dell'appartamento sovrastante o sottostante la fonte di propagazione, ma di una più consistente parte degli occupanti il medesimo edificio (Cass. pen., 14 ottobre 2013, n. 45616; 29 novembre 2011, n. 47298; 17 marzo 2010, n. 18517; 12 dicembre 1997, n. 1406).

In proposito si ricorda peraltro che, se risultano offesi solo i sog­getti che si trovano in un luogo con­tiguo a quello da cui provengono i rumori il fatto non assume rilievo pe­nale, ma deve essere inqua­dra­to nell'ambito dei rapporti di vicinato tra im­mobili confinanti, disciplinato dal codice ci­vile (Cass. pen., sez. I, 24 aprile 1996, n. 5714);

Il reato di disturbo come reato di pericolo. La pronuncia in esame conferma infine che il reato in esame è un reato di pericolo: ai fini della configurabilità della fattispecie di cui all'art. 659 c.p. occorre cioè la prova del superamento dei limiti della normale tollerabilità di emissioni sonore e della percettibilità delle emissioni stesse da parte di un numero illimitato di persone, a prescindere dal fatto che in concreto tali persone siano state effettivamente disturbate.

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Principio generale in materia di rumori cosiddetti "intollerabili" è infatti che essi debbano avere l'attitudine a disturbare una cerchia indeterminata di persone (Cass. pen., sez. I, 23 maggio 1996, n. 6761): perché si verifichi una lesione o messa in pericolo della pubblica tranquillità, occorre che i rumori molesti abbiano una diffusività tale che l'evento di disturbo sia potenzialmente idoneo ad essere percepito da un numero illimitato di persone, pure se poi concretamente solo una se ne possa lamentare.

In altri termini, i rumori, anche in relazione alla loro intensità, devono essere valutati a pre­scin­de­re dal fatto che, in concreto, alcune persone siano state effet­tivamente di­stur­bate - anzi, per l'effetto, le la­mentele di una o più sin­gole persone non sono, di per sé sole, sufficienti ad inte­grare la materialità del rea­­to in questione: trattandosi di reato di pericolo "presunto", è sufficiente che la condotta dell'agente abbia l'attitudine a ledere il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, ossia la quiete e la tranquillità pubblica, mentre è indifferente che la lesione del bene si sia in concreto verificata.

Sentenza
Scarica Corte di Cassazione sezione penale, 2 maggio 2018, n. 18521
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