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IVA sulla tassa dei rifiuti. Il privato può chiedere la restituzione entro dieci anni.

Il pagamento della tariffa per la gestione dei rifiuti urbani non ricade nell'ambito di applicazione dell'iva.
Avv.to Maurizio Tarantino - Foro di Bari 

Il privato può far valere il proprio diritto alla restituzione dell'indebito oggettivo entro dieci anni. Non si tratta di un rimborso d'imposta ma del recupero della sola quota corrispondente alla somma dell'IVA.

Un precedente => Inapplicabile l'IVA alla Tariffa di Igiene Ambientale (TIA)

"La rilevata inesistenza di un nesso diretto tra il servizio e l'entità del prelievo porta ad escludere la sussistenza del rapporto sinallagmatico posto alla base dell'assoggettamento ad IVA ai sensi degli artt. 3 e 4 del d.P.R. n. 633 del 1972 e caratterizzato dal pagamento di un «corrispettivo» per la prestazione di servizi.

Sicché è irrilevante che il gestore sia una società privata, non equiparabile ad un "ente pubblico" dal momento che di fatto il soggetto di diritto privato esercita gli stessi poteri pubblici dell'ente locale, riscuotendo il tributo per conto del Comune impositore.

Le attività del gestore svolte rimangono quindi esenti da IVA, anche se comportano la riscossione di canoni, diritti, contributi".

Questo è il principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione con l'Ordinanza n. 5627 depositata il 7 marzo 2017 in merito all'applicazione dell'Iva sulla tassa dei rifiuti.

I fatti di causa. Con sentenza il Tribunale di Genova, decidendo sull'appello proposto dalla società Beta avverso la decisione del Giudice di Pace con la quale la società era stata condannata a restituire a Tizio ed altri nove utenti del servizio di smaltimento dei rifiuti urbani il complessivo importo di Euro 625,00 indebitamente percepito a titolo IVA sulle bollette emesse per la riscossione della relativa tariffa negli anni 2006-2009, aveva rigettato l'impugnazione, ritenendo non assoggettate alla imposta sul valore aggiunto le somme versate dagli utenti a titolo di tariffa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU) e di tariffa di igiene ambientale (TIA) attesa la natura tributaria delle stesse, e non potendosi pertanto configurare - in assenza di un rapporto sinallagmatico tra le prestazioni - alcuna violazione della direttiva CE n. 112/2006. Avverso tale sentenza, la società Beta adiva la Corte di Cassazione.

La contestazione della società ricorrente. Sostiene la ricorrente che la pretesa restitutoria degli utenti era infondata in quanto il pagamento della tariffa (pur se alla stessa veniva attribuita natura di "tassa") ricadeva nell'ambito di applicazione dell'IVA.

Per meglio dire, le prestazioni di servizi eseguite verso corrispettivo si configurava anche nel caso di specie, tanto che il n. 18 dell'Allegato 3 della direttiva CE n. 112/2006 prevedeva l'applicazione dell'IVA, con aliquota agevolata, anche per le prestazioni di servizio aventi ad oggetto la pulizia delle strade pubbliche, e che non poteva trovare invece applicazione la esenzione d'imposta prevista dall'articolo 13 della medesima direttiva comunitaria che richiedeva il requisito soggettivo della natura pubblica dell'ente erogatore del servizio, nella specie insussistente.

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Evoluzione giurisprudenziale. La giurisprudenza maggioritaria è ormai orientata ad accordare la restituzione dell'IVA sulla tariffa rifiuti prevista dall'art. 49 del d.lgs. 22/1997. Tale importante statuizione è da ritenersi legata al fatto che si tratta di un'entrata tributaria e non corrispettiva di un servizio. In proposito si osserva quanto già sostenuto da:

Corte Costituzionale (sentenza del 24 luglio 2009, n. 238) "La tariffa di igiene ambientale (TIA), disciplinata dall'art. 49 del D.Lgs. n. 22 del 1997 presenta tutte le caratteristiche del tributo, in quanto si caratterizza per la doverosità della prestazione, per la mancanza di rapporto sinallagmatico tra parti e per il collegamento della prestazione alla pubblica spesa in relazione ad un presupposto economicamente rilevante; pertanto, la TIA non è inquadrabile tra le entrate non tributarie, ma costituisce una mera variante della TARSU disciplinata dal D.P.R. n. 507 del 1993 (ess.mm.), conservando la qualifica di tributo propria di quest'ultima.

Le controversie aventi ad oggetto la debenza della TIA, dunque, avendo natura tributaria appartengono alla cognizione delle commissioni tributarie". E' noto il ragionamento della Corte Costituzionale secondo cui se la TIA ha natura tributaria e rappresenta una variante della TARSU, allora ne consegue che ad essa risulta inapplicabile l'IVA.

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Cassazione a Sezioni Unite (sentenza del 15 marzo 2016 n. 5078) "La tariffa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, istituita dall'art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997, oggi abrogato, avendo natura tributaria, non è assoggettabile all'IVA, che mira a colpire la capacità contributiva insita nel pagamento del corrispettivo per l'acquisto di beni o servizi e non in quello di un'imposta, sia pure destinata a finanziare un servizio da cui trae beneficio il medesimo contribuente". Secondo tale orientamento, la tariffa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani non è assoggettabile ad IVA in ragione della sua natura di tributo.

Il ragionamento della Corte di Cassazione. A seguito dell'istruttoria di causa era emerso che gli importi in restituzione riguardavano il periodo 2006-2009 e che riguardavano la TIA-1 "tariffa di igiene ambientale".

Pertanto, a parere della Corte, le questioni inerenti il diritto comunitario sollevate dalla società erano già state oggetto di esame nelle pronunce del Giudice delle Leggi (sentenza n. 238/2009 ed ordinanza n. 64/2010) nonché nella successiva pronuncia di questa Corte Sez.

U, Sentenza n. 5078 del 15/03/2016, che hanno tutte definitivamente ribadito "la natura tributaria della tariffa (TIA) ed hanno escluso l'elemento di sinallagmaticità del rapporto tra soggetto prestatore del servizio ed utenti, difettando una funzione di scambio tra servizio che assolve ad esigenze pubbliche generali e valore tariffario applicato, essendo imposto all'utente il prelievo anche in assenza di controprestazione". Ed ancora, gli ermellini hanno ritenuto irrilevante che il gestore fosse una società privata, non equiparabile ad un "ente pubblico" dal momento che di fatto il soggetto di diritto privato esercita gli stessi poteri pubblici dell'ente locale, riscuotendo il tributo per conto del Comune impositore.

Ne consegue che le attività del gestore svolte rimangono quindi esenti da IVA, anche se comportano la riscossione di canoni, diritti, contributi.

Altra importante precisazione espressa dalla Suprema Corte, riguarda gli aspetti sulla prescrizione; secondo la Cassazione il diritto di credito azionato deve sottostare al termine ordinario decennale: il privato quindi può far valere un autonomo diritto con una azione di condanna alla restituzione dell'indebito oggettivo.

Non si tratta dunque di un rimborso d'imposta ma del recupero della sola quota-fatturata corrispondente alla somma dell'IVA.

Le conclusioni. Alla luce di tutto quanto innanzi esposto, la Corte di Cassazione con la pronuncia in commento ha rigettato il ricorso della società Beta; per l'effetto ha confermato la pronuncia (in grado di appello) del Tribunale di Genova della restituzione della somma indebitamente percepita dalla Società Beta a titolo di Iva.

Avv. Maurizio Tarantino

Via principe Amedeo 449 (Bari)

Sentenza
Scarica Corte di Cassazione Ordinanza n. 5627 depositata il 7 marzo 2017
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