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Cambiare porta della propria abitazione, si può essere accusati di alterare il decoro architettonico?

Il cambio della porta della propria abitazione può portare alla contestazione dell'alterazione del decoro architettonico dell'edificio?
Avv. Alessandro Gallucci 

In condominio vige una regola: nessuno può alterare il decoro architettonico dell'edificio se non v'è il consenso di tutti gli altri comproprietari.

Ciò vale tanto se:

  • si tratta di deliberazione assembleare (art. 1120 c.c.);
  • si tratta di opera del singolo sulle parti comuni (art. 1102 c.c.);
  • si tratta di opere su parti di proprietà esclusiva (art. 1122 c.c.).

È bene specificare che per l'alterazione del decoro deve intendersi una modificazione peggiorativa dell'estetica dell'edificio.

In buona sostanza non tutte le modifiche del decoro sono alterative: può accadere anche che un'opera possa essere considerata migliorativa, cioè un abbellimento.

Vale la pena evidenziare che il divieto di alterazione può diventare divieto di modificazione assoluta, in presenza di una clausola del genere contenuta in un regolamento di natura contrattuale.

Ciò detto, prendendo spunto dal quesito di un nostro lettore, soffermiamoci sulla terza ipotesi succitata.

Cambiare la porta dell'abitazione e decoro architettonico dell'edificio, il quesito

L'utente di Condominioweb.com ci domanda:

«Vorrei domandare: abito in una scala con 5 pianerottoli ed abitando all'ultimo piano io ed il mio vicino abbiamo deciso di cambiare il portone blindato con un colore leggermente diverso rispetto a quelli degli altri pianerottoli.

Abbiamo, d'accordo con l'amministratore, affisso la richiesta il primo agosto ed attuato i lavori in ottobre senza che nessuno si sia opposto. Ora un condomino ci dice che non avevamo il diritto di farlo secondo il nuovo diritto condominiale. È vero?»

Non è possibile dare una risposta precisa perché, quando si parla di decoro architettonico, non si può prescindere da una valutazione della fattispecie concreta (ossia esame dello stato dei luoghi); ciò, tuttavia, non vuol dire che non sia possibile fornire delle indicazioni utili al nostro lettore e soprattutto chiarire quali sono le norme che deve rispettare. Vediamo perché.

Decoro architettonico, nozione, giurisprudenza e norme di riferimento

Con la locuzione decoro architettonico «deve intendersi l'estetica del fabbricato data dall'insieme delle linee e delle strutture che connotano lo stabile stesso e gli imprimono una determinata, armonica fisionomia ed una specifica identità» (Cass. n. 851 del 2007).

L'alterazione del decoro, è sempre la Cassazione a dirlo, deve sostanziarsi in un pregiudizio economico consistente nel deprezzamento delle parti comuni ovvero delle unità immobiliari (si veda in tal senso Cass. n. 1286/2010).

In tema di opere sulle parti di proprietà esclusiva, s'è detto in principio che l'art. 1122 c.c. è la norma di riferimento.

Prima dell'entrata in vigore della riforma del condominio, l'articolo in questione faceva generico riferimento ad un divieto di danno per le cose comuni nell'esecuzione di opere sulla proprietà individuale.

Secondo la giurisprudenza non v'era alcun dubbio che «il concetto di danno, cui la norma fa riferimento, non va limitato esclusivamente al danno materiale, inteso come modificazione della conformazione esterna o della intrinseca natura della cosa comune, ma esteso anche al danno conseguente alle opere che elidono o riducono apprezzabilmente le utilità ritraibili della cosa comune, anche se di ordine edonistico od estetico (v. Cass. 27.4.1989, n. 1947), per cui ricadono nel divieto tutte quelle modifiche che costituiscono un peggioramento del decoro architettonico del fabbricato.

Decoro da correlarsi non soltanto all'estetica data dall'insieme delle linee e delle strutture che connotano il fabbricato stesso e gli imprimono una determinata armonia, ma anche all' aspetto di singoli elementi o di singole parti dell'edificio che abbiano una sostanziale e formale autonomia o siano comunque suscettibili per sé di considerazione autonoma (v. Cass. 24.3. 2004, n. 5899)». (Cass. 19 gennaio 2005, n. 1076).

La legge n. 220/2012 ha istituzionalizzato il riferimento al divieto di alterazione del decoro, imponendo altresì la comunicazione dell'intenzione di eseguire le opere all'amministratore, il quale deve poi riferirne all'assemblea.

Non v'è dubbio che quando si fa riferimento al decoro dell'edificio non si individua solamente l'estetica della facciata principale: il decoro architettonico che caratterizza un edificio si estende anche alle parti comuni interne: le scale, i pianerottoli, ecc.

È chiaro, allora, che la sostituzione di una porta d'ingresso è intervento potenzialmente in grado di alterare il decoro dell'edificio.

Si badi: quando si valuta se un qualunque intervento ha alterato il decoro dell'edificio, il parametro di valutazione è rappresentato dallo stato dell'edificio stesso al momento della esecuzione dell'opera contestata. Come dire: se già altri interventi hanno peggiorato l'estetica dello stabile l'ultimo non può essere sanzionato se non v'è ulteriore peggioramento dell'estetica (in tal senso, si veda Cass. 8 maggio 2017 n. 11177 ).

Sanzionato, che vuol dire? Che nel caso di accertamento della violazione del decoro può essere ordinata la rimozione dell'opera lesiva.

Cambiare la porta dell'abitazione, quando può essere contestata l'alterazione del decoro architettonico?

Che cosa succede se un condòmino cambia la porta della propria abitazione?

Alla luce dei principi fin qui espressi, è evidente che bisognerà effettuazione una valutazione estetica complessiva inerente alla sostituzione di quel manufatto.

Dire se una porta ha peggiorato l'estetica di uno stabile non è valutazione che può farsi in via teorica. Sono tanti gli aspetti da valutare: lo stato dell'edificio, l'eventuale esecuzione di opere murarie atta a modificare la simmetria degli ingressi all'abitazione, la differenza tra la porta sostituita e quelle esistenti, tanto in termini di tipologia che di colore, ecc.

Tutti aspetti che devono essere presi in considerazione da chi intende contestare l'alterazione, poiché è ad esso che spetta dimostrarla al giudice chiamato a decidere sulla controversia.

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