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Con un semplice posto auto si diventa condòmini?

Posti auto. Come accertare se un bene è condominiale o privato.
Avv. Rosario Dolce del Foro di Palermo 

Il provvedimento, emesso dalla Corte di Cassazione è di notevole interesse in quanto, da una parte, illustra cosa occorra per accertare che un "bene" sia condominiale e, dall'altra parte, spiega la definizione soggettiva di "condòmino".

Il fatto. I condòmini titolare dei garage e dell'area sotterranea in cui sono ubicati i posti auto hanno fatto causa ad altri condòmini ancora, in quanto proprietari degli stalli di cui all'area scoperta (posta poco più in su rispetto quella di accesso ai boxes).

Il motivo della lite? Far accertare che questi ultimi non possano utilizzare l'area di relativa pertinenza.

A loro modo di vedere "per acquisire la qualità di condomino è necessario essere proprietario di un'unità immobiliare nell'ambito dell'edificio condominiale", ossia di piani o porzioni di piani e non anche di posti auto.

L'utilizzo atipico del parcheggio condominiale

Turnazione dei posti auto nel parcheggio condominiale.

I condòmini ricorrenti hanno invocato il Regolamento condominiale (il quale escludeva dalle spese per le aree e i giardini comuni i titolari di soli posti auto) e le tabelle millesimali (che prevedevano una caratura dei posti auto riferibile ad un condominio parziale - quindi non esteso alle parti strutturali di pertinenza degli attori ricorrenti -), per legittimare la pretesa in disamina.

Inoltre, hanno affermato che le modalità di utilizzo dei beni da parte dei proprietari dei posti auto scoperti integrerebbe, altresì, la violazione di un diritto di servitù tra diversi fondi, autonomi e distinti.

Ecco come esercitare l'azione. La causa in questione ha ad oggetto l'accertamento della "condominialità" dei beni nei confronti di alcuni compartecipi (cioè i proprietari dei posti auto scoperti che non sono anche titolari di unità immobiliari all'interno dell'edificio).

L'azione di accertamento negativo della "servitù" deve essere svolta da parte dei condòmini (e non del condominio) rispetto gli altri partecipanti, cioè nei confronti di coloro a cui si nega la "comunione dei beni".

Per consolidata interpretazione della Corte di Cassazione, il contraddittorio, essendo oggetto di lite un rapporto plurisoggettivo unico e inscindibile, deve essere allora integrato nei confronti di tutti i condomini, nessuno escluso. Poiché, infatti, la lite involge l'accertamento della "condominialità", ovvero la ricomprensione, o meno, di una o alcune porzioni di proprietà esclusiva nel condominio edilizio, di cui all'art. 1117 c.c. (ed all'art. 1117 bis c.c., per come aggiunto dalla legge n. 220 del 2012, pur qui inapplicabile ratione temporis), e proprio perché viene messa in discussione - con finalità di ottenere una pronuncia avente efficacia di giudicato - l'estensione della comproprietà di tutti i partecipanti al condominio, la mancata partecipazione di uno o alcuno dei condomini al giudizio comporta la nullità dello stesso (arg. da Cass. Sez. 2, 18/04/2003, n. 6328; Cass. Sez. 2, 01/04/1999, n. 3119; Cass. Sez. 2, 06/10/1997, n. 9715; nonché da Cass. Sez. 2, 14/10/1988, n. 5566; Cass. Sez.

U, 13/11/2013, n. 25454, che suppone l'eccezione di proprietà esclusiva del bene, frapposta dal condomino convenuto da altro condomino, senza però mettere in discussione la comproprietà degli altri soggetti).

Sul merito della Sentenza. La Corte di Cassazione ha più volte affermato che la disciplina del condominio degli edifici, di cui agli artt. 1117 c.c. e ss., è ravvisabile ogni qual volta sia accertato in fatto un rapporto di accessorietà necessaria che lega alcune parti comuni, a porzioni, o unità immobiliari, di proprietà singola (delle quali le prime rendono possibile l'esistenza stessa o l'uso).

La nozione di condominio si configura, pertanto, non solo nell'ipotesi di fabbricati che si estendono in senso verticale ma anche nel caso di beni adiacenti orizzontalmente, purché dotati delle strutture portanti e degli impianti essenziali indicati dal citato art. 1117 c.c.

Peraltro, pure quando manchi un così stretto nesso strutturale, materiale e funzionale, la condominialità di un complesso immobiliare, che comprenda porzioni eterogenee per struttura e destinazione, può essere frutto della autonomia privata.

Anche, dunque, i proprietari esclusivi di spazi destinato a posti auto, compresi nel complesso condominiale, possono dirsi condomini, in base ai criteri fissati dall'art. 1117 c.c., e quindi presumersi comproprietari (nonché obbligati a concorrere alle relative spese, ex art. 1123 c.c.) di quelle parti comuni che, al momento della formazione del condominio, si trovassero in rapporto di accessorietà, strutturale e funzionale, con le singole porzioni immobiliari (arg. da Cass. Sez. 2, 02/03/2007, n. 4973; Cass. Sez. 2, 08/05/1996, n. 4270; Cass. Sez. 2, 16/04/1976, n. 1371).

Ai fini dell'accertamento della proprietà condominiale ex art. 1117 c.c. del tratto di strada oggetto di "lite" e delle adiacenti aree "comuni" in favore dei titolari dei posti auto, non assumevano, allora, carattere dirimente, il regolamento di condominio e l'annessa tabella di ripartizione delle relative spese, non costituendo tali atti titoli di proprietà un titolo di proprietà (così Cass. Sez. 2, 21/05/2012, n. 8012).

Conclusione. Una volta ritenuto sussistente un nesso strumentale tra i posti auto di proprietà esclusiva dei singoli proprietari e le "parti comuni" di titolarità dei ricorrenti, non può che concludersi verso la "condominialità" dei beni in disamina.

D'altra parte, in controversie come quella affrontata non sussiste alcuna violazione del diritto di servitù.

La normativa condominiale è costruita da un insieme di diritti e obblighi, armonicamente coordinati, contrassegnati dal carattere della reciprocità, che escludono la possibilità di fare ricorso a tale disciplina.

L'istituto della "servitù", invero, presuppone fondi appartenenti a proprietari diversi, nettamente separati, uno al servizio dell'altro.

In altri termini, la condominialità o meno di un bene non può essere accertata nell'ambito di un'azione negatoria ex art. 949 c.c. avente ad oggetto la cessazione delle molestie attribuite.

Semmai, in una simile situazione (per come visto sopra), la domanda giudiziale dovrebbe essere argomentata sulla base della violazione del precetto di cui all'articolo 1102 c.c.. Ma questo è un altro discorso ancora…

Sentenza inedita
Scarica Corte di Cassazione, ordinanza 16 gennaio 2018, n. 884
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