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Il condominio non ha la qualità di «persona offesa dal reato». Non può impugnare una sentenza di non luogo a procedere.

Perchè al condominio non può riconoscersi la qualità di “persona offesa” dal reato di disastro colposo.
Jerovante Marta 

Al condominio, «centro comune d'imputazione dei comproprietari pregiudicati dall'attività pericolosa», non può riconoscersi la qualità di "persona offesa" dal reato di disastro colposo

Il caso Il Condominio, nella persona del suo amministratore, proponeva ricorso in cassazione contro la sentenza di non luogo a procedere pronunciata - in relazione al reato di disastro colposo - nei confronti del legale rappresentante, del direttore dei lavori e del progettista-strutturista di una ditta che aveva eseguito dei lavori di scavo del parcheggio nella via su cui insisteva il Condominio medesimo (il Condominio aveva lamentato che detto intervento avesse pregiudicato la stabilità dei fabbricati prossimi alla zona dei lavori, determinando una situazione di pericolo per l'incolumità pubblica e privata).

Il Condominio impugnava la sentenza anche nella parte in cui aveva dichiarato non doversi procedere per insussistenza del reato d'abuso d'ufficio, nei confronti di due componenti del Comitato di vigilanza sui lavori per conto del Comune (di Milano). (All'amministratore di condominio è consentito offendere?)

La decisione La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso promosso dal Condominio in riferimento ad entrambe le richiamate fattispecie criminose: i giudici di legittimità muovono dalla premessa che l'art. 428 c.p.p. riconosce alla parte civile la possibilità di ricorrere in cassazione contro la sentenza di non luogo a procedere nell'ipotesi in cui essa sia persona offesa e non solo danneggiata dal reato.

La Corte richiama poi il consolidato indirizzo interpretativo secondo cui, a seguito della modifica introdotta dalla legge n. 46/2006, la persona offesa costituitasi parte civile può esercitare il menzionato diritto unicamente per gli effetti penalistici della decisione; al riconoscimento di tale legittimazione resta pertanto estranea la persona danneggiata, poiché la sentenza di non luogo a procedere non produce alcun effetto preclusivo rispetto agli effetti civili e rispetto all'esperibilità dell'azione civile: «il regime impugnatorio disciplinato dall'art. 428 c.p.p., modificato nel 2006, non rende possibile individuare in capo alla parte civile ricorrente il perseguimento di effetti civilistici, dal momento che la sentenza ex art. 425 c.p.p. [di improcedibilità dell'azione penale] non pregiudica in alcun modo le pretese risarcitorie della stessa parte civile», chiariscono i giudici nella sentenza in commento.

Al condominio - considerato «centro comune d'imputazione dei comproprietari dei singoli asseritamente pregiudicati dall'attività pericolosa» non può però riconoscersi la qualità di "persona offesa" dal reato di disastro colposo: la fattispecie criminosa in questione è infatti «legata alla tutela della pubblica incolumità e caratterizzata da una dimensione diffusiva del tutto svincolata dalla sfera giuridica dei singoli individui».

La Corte nega che il condominio ricorrente possa essere considerato "persona offesa" anche rispetto al reato d'abuso d'ufficio: in questo caso risulta preclusiva la natura monoffensiva della fattispecie, che è destinata a tutelare esclusivamente il buon andamento, l'imparzialità e la trasparenza del comportamento del pubblico ufficiale.

Di conseguenza, il privato eventualmente danneggiato non può essere considerato persona offesa dal reato.

Reato penale e danno civile. La persona offesa è il soggetto che subisce il "danno criminale", ossia la lesione del bene giuridico protetto dalla norma penale, mentre il danneggiato dal reato è colui che subisce un "danno civile", e di conseguenza risarcibile, per effetto della lesione, da parte della condotta criminosa, di un proprio diritto soggettivo.

Alla persona offesa dal reato si riconoscono quindi diritti e facoltà idonei ad assicurarne una partecipazione al procedimento e l'esercizio di un'attività di sollecitazione e di impulso probatorio: si rammenta infatti che la persona offesa può, ad esempio, nominare un difensore (art. 101 c.p.p.); ha accesso al registro delle notizie di reato (art. 335 c.p.p.); ha diritto di ricevere l'informazione di garanzia (art. 369 c.p.p.); può sollecitare il pubblico ministero perché promuova l'incidente probatorio (art. 394 c.p.p.), al quale può peraltro partecipare (art. 401 c.p.p.). E, in maniera ancora più significativa, può opporsi all'archiviazione.

Al danneggiato dal reato, spettano, invece, tutti i diritti e i poteri di una vera e propria "parte processuale" dal momento in cui si sia costituito "parte civile". «In altri termini - si rileva - nella parte procedimentale l'offeso svolge un ruolo di sollecitazione e di controllo sull'attività del pubblico accusatore; dopo l'esercizio dell'azione penale, nel contesto della situazione funzionale all'accertamento della responsabilità penale, l'offeso-danneggiato, può inserire l'azione tesa ad ottenere le implicazioni dell'illecito penale sul piano civilistico e risarcitorio.

Resta ferma la possibilità per il danneggiato di tenere separate le proprie posizioni: restare soggetto processuale, non assumere il ruolo di parte e sviluppare in sede civile le proprie pretese» (Spangher, Azione civile e processo penale, in Arch. Pen., 2013, 509-512).

Il nostro sistema processuale non consente infatti che il soggetto che abbia, rispetto al procedimento penale, soltanto un interesse risarcitorio di tipo civilistico possa poi intervenire nelle vicende più strettamente penalistiche: se il processo penale non si instaura, il danneggiato dal reato - si ribadisce - potrà azionare la propria pretesa risarcitoria davanti al giudice civile. (Non sempre l'ingiuria al vicino di casa è punibile.)

Abuso d'ufficio: monoffensività o plurioffenisività? Si rammenta che l'art. 323 c.p. sanziona con pena detentiva «il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto».

Nonostante l'affermazione della Suprema Corte nella sentenza in commento, si segnala che non mancano, invero, posizioni differenti. Punto di partenza per una differente ricostruzione del delitto di abuso d'ufficio come reato plurioffensivo e non più monoffensivo è la modifica strutturale apportata dalla legge n. 234/1997, la quale ha riformulato la fattispecie - assorbendo il vecchio delitto di cui all'articolo 324 c.p. (c.d. interesse privato) - e l'ha trasformata in un reatodievento: la produzione del vantaggio o del danno segna oggi il momento consumativo della fattispecie.

Al riguardo si afferma infatti che «lo spostamento della concretizzazione dell'offesa al livello dell'effettiva emersione del pregiudizio o del vantaggio consente di concludere, con sufficiente certezza, che la primigenia natura monoffensiva del reato in esame debba oggi cedere il passo ad un più moderna concezione plurioffensiva» (Levita, Il diritto penale della Pubblica Amministrazione, Roma, 2011, II ed.).

Detta circostanza porterebbe a riconoscere, sul versante processuale, il diritto della persona offesa di essere informata dell'eventuale richiesta di archiviazione avanzata dal pubblico ministero e di opporsi alla stessa - prerogativa che, si ricorda, l'art. 410 c.p.p. riconosce solo alla persona offesa dal reato.

Tale è infatti l'orientamento di Cass. pen., 28 novembre 2007, n. 329, secondo cui «il reato d'abuso d'ufficio ha natura plurioffensiva, considerato che è idoneo a ledere, oltre all'interesse pubblico al buon andamento e alla trasparenza della pubblica amministrazione, anche il concorrente interesse del privato a non essere turbato nei propri diritti costituzionalmente garantiti dal comportamento illegittimo e ingiusto del pubblico ufficiale.

Ne consegue che, in tal caso, il privato danneggiato riveste la qualità di persona offesa e che l'omesso avviso al medesimo della richiesta di archiviazione, qualora questi abbia chiesto di essere informato, viola il diritto al contraddittorio».

Sentenza
Scarica Corte di Cassazione -sezione penale- 23 gennaio 2015, n. 3320
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