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Perché l'equo compenso potrebbe avvantaggiare gli amministratori di condominio meno preparati?

Equo compenso. Alcune considerazioni sulla reale necessità
Mario Tura De Marco 

Il titolo di questo mio intervento potrebbe risultare un po' indigesto, lo comprendo. Penso, tuttavia, che serva un confronto aperto e trasversale al fine di fare chiarezza sul perché l'equo compenso vada a ledere profondamente la categoria.

In prima battuta mi viene da dire che il concetto di "equo" è fin troppo soggettivo e, quindi, assolutamente discutibile. Non esistono elementi che ci possano aiutare nello stabilire "l'equità dell'equo compenso" e rammento che l'Antitrust ha bocciato l'equo compenso «in quanto idoneo a reintrodurre un sistema di tariffe minime, peraltro esteso all'intero settore dei servizi professionali, non risponde ai principi di proporzionalità concorrenziale» e si pone «in stridente controtendenza con i processi di liberalizzazione» che hanno riguardato anche «il settore delle professioni regolamentate».

Non amo discutere la questione da un punto di vista normativo, ma tanto dovevo ai lettori che amano affrontare le questioni, anche quelle meramente commerciali, da questo punto di vista.

La similitudine tra equo compenso e sei politico è molto forte: da una parte avremmo potuto avere studenti immeritevoli ottenere il voto minimo per la promozione ed oggi potremmo ritrovarci con "amministratori", che definirli professionisti sarebbe un vero azzardo, ottenere lo stesso "minimo sindacale" percepito da amministratori preparati, qualificati e in regola con quanto previsto dalla normativa vigente.

Questo significherebbe che un bravo amministratore, puntuale, competente e onesto, ma incapace di valorizzare e vendere bene i suoi servizi, si vedrebbe trattato economicamente alla stregua di uno "scappato di casa" tutt'altro che competente.

Lo so che la situazione è già così, ma non peggiorerebbe ulteriormente se questo losco figuro vedesse aumentare il suo compenso per legge? Non sarebbe ancor più difficile condurlo verso l'estinzione se, nel contempo, gli si fornisse maggior ossigeno?

Equo compenso. Cosa pensano veramente gli amministratori di condominio?

Da questa sanguinosa battaglia, ne sono certo, a venire penalizzati non sarebbero certo gli studi più affermati, perché questi vengono scelti dai condòmini mediante la valutazione di parametri ben differenti rispetto ad un semplice confronto tra i compensi proposti dai vari candidati e neppure gli improvvisati, proprio per le motivazioni appena espresse.

Se svolgi l'attività di amministratore di condominio, la prossima vittima sacrificale potresti essere proprio tu che stai leggendo queste mie riflessioni. Pensaci!

Equo compenso. Cosa pensano veramente gli amministratori di condominio?

Ho avuto la possibilità di calarmi nei panni dell'amministratore di condominio per dodici anni ed ora, che faccio impresa dal 2003, posso fare dei confronti vissuti direttamente sulla mia pelle; a tal proposito mi sorgono spontanee delle domande: perché un piccolo imprenditore non dovrebbe venire trattato alla stregua di un professionista e, quindi, garantito da un tariffario minimo nella vendita di beni e servizi? Le stesse persone che si lamentano delle costanti e crescenti difficoltà in ambito professionale, vanno a fare la spesa nei piccoli negozi oppure preferiscono i centri commerciali? Fanno acquisti online su Amazon o favoriscono la crescita dell'economia locale reale? Lo chiedo perché soltanto nel 2017 sono state oltre 10.000 le chiusure di negozi al dettaglio senza che nessuno abbia mosso un dito per aiutare questi piccoli commercianti e Amazon, nel 2016, in Italia ha venduto ben un milione e duecentomila prodotti che, ovviamente, non hanno venduto i piccoli commercianti. Ovviamente per loro nessuna protezione.

Essere indignati non serve a nulla visto che tutto quanto appena descritto si chiama libero mercato e non saranno di certo i tariffari minimi e/o i protezionismi sotto qualsiasi forma a cambiare le regole del gioco.

Il professionista non si è ancora accorto che il mondo è cambiato ed oggi si trova completamente spiazzato; un tempo, gli avvocati, gli architetti, i dottori commercialisti venivano considerati alla stregua di oracoli.

Erano delle "divinità" che possedevano i codici dei misteri che si celavano dietro norme, tasse, strutture, ecc... e, quindi, la loro parola era sacra; ciò che diceva un avvocato era inoppugnabile. Oggi tutto è discutibile.

Il professionista non aveva bisogno di farsi pubblicità, bastava il passaparola; d'altronde, se l'avesse fatta, avrebbe ammesso indirettamente di non essere abbastanza bravo e di essere, quindi, costretto a ricorrere alla pubblicità per la ricerca di nuovi clienti (non entro nel merito del divieto di pubblicità imposto ad alcune categorie di professionisti).

Tutto ciò gli ha impedito di maturare competenze in ambito di branding, di marketing e di vendita che, guarda caso, sono le competenze più importanti che gli imprenditori usano in ambito commerciale per avviare e sviluppare le proprie aziende; senza questi strumenti le aziende commerciali odierne falliscono in pochi mesi.

Che piaccia o meno, l'amministratore deve ricoprire la figura del professionista nel rapporto con i propri amministrati e l'imprenditore all'interno di quella che oggi potremmo definire azienda e non più studio professionale.

Caro amministratore, hai voglia a raccontare al mondo che sei bravo, onesto, trasparente, puntuale e preciso e che come fai tu la contabilità non la faceva nemmeno Frà Luca Pacioli; oggi serve ben altro per ricercare clienti, per farsi scegliere e per prosperare "imponendo" un proprio listino senza abbassare le proprie aspettative alle tariffe da fame degli improvvisati.

L'incapacità di creare contenuti UNICI in grado di differenziarti, ma soprattutto, di saperli valorizzare e vendere al prezzo che ritieni idoneo, impedisce la crescita e lo sviluppo economico e finanziario della tua attività e ti costringe, giocoforza, ad abbassare le tue pretese. È questo che ti spinge a richiedere un tariffario minimo, ossia fare in modo che almeno si parta da un compenso dignitoso.

D'altronde hai scelto tu di fare il professionista in una nazione che, se va bene, ha in media il doppio in termini numerici dei professionisti rispetto ad altre nazioni europee come la Francia o la Germania; a titolo di esempio si noti che nel 2015 il numero degli avvocati in Italia ammontava a 246.786 contro i 60.223 presenti in Francia, ossia quattro volte tanto, il tutto mentre giurisprudenza è ancora oggi una delle facoltà con maggiori iscritti ogni anno.

Prima i leoni nella savana erano meno e le gazzelle bastavano abbondantemente per tutti, oggi, purtroppo, le gazzelle sono da spartire tra un numero maggiore di leoni.

L'unica strada che ti rimane da percorrere è quella culturale. Parlo di quella cultura che non è ancora entrata nel DNA dei professionisti. Parlo delle competenze utili a sviluppare grandi capacità di comunicazione, di strategia e di vendita, senza le quali continuerai a proporre ciò che propongono gli altri amministratori presenti sul suolo italico. Se non hai elementi distintivi concreti e tangibili, sei uguale a tutti gli altri. Punto.

Sappi che molte multinazionali tra cui Google, Hilton, Apple, Starbucks e IBM non ritengono più indispensabile il titolo di laurea per i candidati a ruoli manageriali e dirigenziali; il messaggio è chiaro: le competenze derivanti dalla scuola non sono in linea con quanto richiesto dal mercato e, quindi, preferiscono assumere persone "smart" da formare che persone formate in maniera accademica, ma lente nell'approcciare un mercato sempre più dinamico e camaleontico.

Per ottenere ciò che ancora non hai ottenuto devi fare cose che ancora non hai fatto, ricordandoti che o ti distingui o ti estingui?

Sei sicuro di voler ancora raccontare al mondo quante competenze tecnico-giuridico-normative possiedi? L'equo compenso è morto …. Lunga vita all'equo compenso!

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