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Quando l'assemblea deve limitarsi a valutare la legittimità dell'uso della cosa comune

Assemblea e legittimità dell'uso della cosa comune.
Avv. Alessandro Gallucci 

Un condomino intende usare una parte comune dell’edificio in modo più intenso rispetto agli altri per trarne maggiore utilità. Per farlo ha due possibilità:

a) agire autonomamente;

b) chiedere il parere/permesso dell’assemblea.

Se la prima ipotesi può portare a delle contestazioni successive, comunque in grado di interrompere l’uso e/o le eventuali opere a ciò necessarie, il secondo caso presenta delle particolarità che vale la pena evidenziare.

In primis, a scanso di equivoci, è bene evidenziare che il riferimento è a quei contesti in cui non esistono regolamenti condominiali di origine contrattuale. In questi casi, infatti, i poteri dell’assemblea in materia di uso della cosa comune possono essere molto penetranti.

Quello di cui andremo a parlare, quindi, è il classico caso di condominio che, al massimo, è dotato di un regolamento assembleare.

Per affrontare l’argomento, vale la pena esaminare una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione (la n. 2156 del 14 febbraio 2012).

Il caso è di quelli che accadono spesso: un condomino disabile deve installare un ascensore per poter raggiungere la propria unità immobiliare. Non si tratta di un intervento deliberato dall’assemblea ai sensi della legge n. 13/89 ma di un’iniziativa individuale.

In questo contesto l’assise, che ha pur sempre un poter di gestione delle parti comuni, può intervenire ma con modalità diverse rispetto a quelle che sarebbe previste per la deliberazione, da parte sua, di simili interventi.

Nel caso di specie un’assemblea aveva autorizzato, per poi successivamente revocare quel permesso, l’installazione di un ascensore ad opera di un condomino.

Secondo gli ermellini, chiamati da esprimersi – dopo due gradi di merito – tra le altre cose sulla legittimità di una deliberazione che revoca il consenso alla realizzazione dell’opera, nei casi di utilizzazione della cosa comune da parte del proprietario di un’unità immobiliare, l’oggetto del contendere “ non verte tanto sulla conformità o meno dell'innovazione alla volontà della maggioranza, né sulla legittimità o meno, sotto il profilo dell'art. 1120 c.c., dell'una o dell'altra delibera, quanto invece, come già chiarito in precedenza, sul conflitto, da risolversi alla stregua del principio di cui all'arti 102 c.c. (cui, peraltro, lo stesso esercizio dei poteri assembleari, di cui alla precitata norma in materia di condominio, deve comunque conformarsi: v. Cass. 15308/11), insorto tra alcuni condomini ed i rimanenti, delle cui posizioni, da ultimo espresse nella seconda deliberazione, si era reso interprete l'amministratore, instaurando la presente controversia”. (Cass. 14 febbraio 2012 n. 2156).

Ciò vuol dire che se l’assemblea è chiamata a dare l’ok ad un determinato intervento deve valutare se esso comporta pericolo per la stabilità o la sicurezza dell’edificio, se altera il decoro, se muta la destinazione del bene o, comunque, se sia lesivo del pari diritto degli altri condomini a farne parimenti uso. Questa valutazione, per quanto discrezionale, non può essere arbitraria.

Un diniego illegittimo, insomma, potrebbe essere impugnato per violazione dell’art. 1102 c.c.

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