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No al micro-nido in condominio: decisivo il divieto regolamentare agli “asili di infanzia”

Torna in giudizio la questione dell'ammissibilità negli edifici condominiali degli asili nido, o più precisamente, dei micro-nidi.
Dott.ssa Marta Jerovante - Consulente Giuridico 

La controversia muove, nel caso in questione, dall'istanza del Condominio volta ad ottenere la cessazione dell'attività di "micro nido" svolta in una delle unità immobiliari condominiali: il Condominio ricorrente aveva lamentato la violazione da parte del titolare dell'attività e proprietario dell'immobile interessato della clausola n. 4 del regolamento di condominio (contrattuale), che pone un divieto di destinazione dei locali, fra l'altro, ad "asili di infanzia".

Il giudice dell'appello aveva confermato la sentenza di accoglimento del ricorso pronunciata dal Tribunale: aveva infatti ritenuto che, con riguardo all'applicabilità della clausola invocata, non si potesse ravvisare una sostanziale differenza tra le attività di "asilo nido" e di "micro-nido", quale è appunto quella che il proprietario resistente aveva dichiarato di svolgere nel proprio immobile.

In particolare, la Corte d'appello aveva attribuito rilevanza decisiva al "fattore temporale", ossia alla data di redazione del regolamento medesimo, i primissimi anni Settanta, un momento in cui le diverse figure delle scuole d'infanzia, degli asili nido e dei micro-nidi non esistevano neppure; inoltre, l'espressa menzione degli asili di infanzia tra le attività vietate dal regolamento andava chiaramente intesa come volta ad impedire in ogni caso lo svolgimento nelle unità di proprietà esclusiva di un'attività di custodia ed assistenza di bimbi molto piccoli.

Il proprietario, ricorrendo dunque in cassazione, ha al contrario posto l'accento sulla circostanza che i "micro-nidi" non arrechino i "pericoli di disturbo" tipici degli asili e ne ha sottolineato il ruolo, peraltro normativamente sancito dalla normativa nazionale e da provvedimenti regionali (Delibere della Giunta della Regione Lombardia); e ha censurato la correttezza della sentenza d'appello, anche alla luce dei principi costituzionali (artt. 3, 29, 31 e 37 Costituzione) e di quelli sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (il cui art. 24 sancisce il diritto dei bambini alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere, nonché il riconoscimento della preminenza dell'interesse superiore del bambino in tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private).

La decisione La Suprema Corte (Cass., sez. VI civ. - 2, ord. 15 maggio-21 giugno 2018, n. 28831) ha confermato la correttezza del processo interpretativo seguito dal giudice dell'appello: tra l'attività di micro-nido e quella dell'asilo vi è una mera differenza strutturale, legata alla capacità di recettività, mentre si registra il comune carattere assistenziale ed educativo dei servizi da entrambi resi a favore di minori di tenerissima età.

Ne consegue - concludono i giudici di legittimità - che il divieto di destinare gli appartamenti, tra l'altro ad "asili di infanzia" può essere legittimamente inteso come preclusivo anche dell'attività di micro-nido: una tale operazione ermeneutica non contrasta infatti «né con il significato lessicale delle espressioni adoperate nel testo negoziale, […] con l'intenzione comune dei condomini ricostruita dai giudici del merito».

Asilo nido in condominio, quando i condomini dicono no

Al ricorrente non resta che sospendere la propria attività e rimborsare al Condominio le spese del giudizio.

L'interpretazione delle clausole limitative del diritto di proprietà. La controversia in esame consente di cogliere alcuni punti di attenzione in materia di interpretazione delle norme regolamentari.

Con espresso riferimento alle parti in proprietà esclusiva, si è specificamente affermato che il vincolo di destinazione d'uso può consistere nel «divieto di dare ai singoli appartamenti una o più delle destinazioni possibili, ovvero nell'obbligo di preservarne l'originaria e normale destinazione per l'utilità generale dell'intero edificio» (Cass. civ., 26 ottobre 1974, n. 3168).

Com'è noto, detti divieti possono essere formulati mediante elencazione delle attività vietate; in altri casi, ci si limita ad indicare i pregiudizi che si intendono evitare, non le attività di cui è fatto divieto: pertanto, nella prima ipotesi è sufficiente, al fine di stabilire se una determinata destinazione sia vietata o limitata, verificare se la destinazione sia inclusa nell'elenco, dovendosi ritenere che già in sede di redazione del regolamento siano stati valutati gli effetti come necessariamente dannosi; nella seconda, essendo mancata la valutazione in astratto degli effetti dell'attività, è necessaria un'operazione interpretativa volta ad accertare se gli inconvenienti, che si intendono evitare, si siano in concreto prodotti o meno (Cass. civ., sez. II, 23 dicembre 1994, n. 11126).

In realtà, l'interpretazione di clausole regolamentari riconducibili alla seconda tipologia non comporta di norma grosse difficoltà: ad esempio, il divieto di attività notturna non consentirà l'apertura nell'edificio condominiale di una panetteria con laboratorio; tuttavia, non se ne potrà poi far discendere il divieto di vendita al pubblico di pane durante il giorno.

Ancora, in presenza di un divieto di attività destinate a turbare la tranquillità dei condomini, non sarà consentita l'apertura di un locale/birreria/piano bar, non tanto perché si consideri come potenzialmente lesiva l'attività di birreria in sé, quanto l'eventuale intrattenimento dei clienti con musica e spettacoli.

Altre pronunce hanno poi colto l'importanza di un altro elemento, il cd. fattore temporale, ossia la circostanza che il regolamento possa essere stato redatto in un tempo anteriore rispetto al sorgere di particolari situazioni.

In proposito, si è osservato che «l'interpretazione della clausola regolamentare non può essere condotta con esclusivo riferimento allo stato di fatto esistente alla data della sua formazione, ma deve tenersi conto di situazioni, che pure non esistenti a quel tempo, debbano ritenersi, per identità di ratio, da essa previste» (Cass. civ., 4 giugno 1981, n. 3629).

Così - com'è avvenuto nel caso di specie relativo ai micro nidi - si è vietato l'esercizio in condominio di un'attività di laboratorio di analisi, pure in mancanza di un'espressa previsione regolamentare (visto che si trattava di un'attività al momento della stesura del regolamento non ancora sviluppata), considerando che quell'attività aveva prodotto in concreto gli stessi inconvenienti che il regolamento aveva già inteso vietare (Cass. civ., n. 11126/1994, cit.).

Deve in realtà tenersi presente che le clausole del regolamento condominiale che vietano la destinazione delle singole unità immobiliari allo svolgimento di determinate attività, essendo limitative dei diritti del proprietario, hanno carattere tassativo e non sono suscettibili di interpretazione estensiva (Cass. civ., 22 marzo 2001, n. 4125); e, secondo un principio altrettanto consolidato, i divieti e i limiti devono derivare da «espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro, non suscettibili di dar luogo a incertezze e non possono quindi dar luogo a una interpretazione estensiva delle relative norme» (Cass. civ., 19 marzo 2013, n. 6825).

Ad ogni modo, laddove dette limitazioni, così formulate e contenute in apposite clausole regolamentari, siano accettate, ne deriva l'obbligo, per ciascun condomino, di utilizzare la propria unità in maniera coerente e rispettosa della «compressione volontariamente accettata»; d'altro canto, gli altri partecipanti alla collettività condominiale avranno il diritto di esigere che «questa compressione si verifichi» (Bregante L., Il regolamento di condominio, Milano, 2000, 254).

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