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Niente asilo nido nel condominio se vi è un espresso divieto previsto dal regolamento.

Quando il regolamento vieta l'asilo nido.
Avv. Mauro Blonda 

L' incompatibilità dell'attività di asilo nido con una norma del regolamento condominiale si riflette sul rapporto di autorizzazione all'esercizio dell'attività.

La fattispecie concreta.

Un Comune ha rilasciato ad una società un'autorizzazione all'esercizio dell'attività di asilo nido privato in locali, presi in locazione, situati all'interno di un condominio.

Il condominio, però, ha chiesto all'amministrazione comunale la revoca dell'autorizzazione in quanto in contrasto del regolamento condominiale.

A supporto delle proprie richieste il condominio ha richiamato una precedente sentenza del Tribunale Civile di Roma intervenuta esclusivamente tra il condominio e la proprietaria del locale dato in locazione alla società.

All'esito di tale giudizio di primo grado il Tribunale ha accertato "l'incompatibilità dello svolgimento dell'attività di asilo nido con l'assetto regolamentare del condominio". Il Comune di Roma, però, ha disposto l'archiviazione dell'istanza di revoca sulle considerazioni che la sentenza del Tribunale Civile di Roma:

- non era definitiva, pendendo appello;

- riguardava diritti di natura privatistica;

- che l'autorizzazione era rilasciata salvi i diritti dei terzi;

- che la revoca può essere disposta solo in presenza di fatti ostativi certi e definitivi.

Il condominio, quindi, ha impugnato avanti al T.A.R. il provvedimento comunale. In tale giudizio, si sono costituiti sia la proprietaria del locale sia la società gestrice dell'asilo nido.

La sentenza del T.A.R. Il giudice amministrativo di primo grado ha accolto il ricorso ritenendo che l'"accertamento giudiziale dell'incompatibilità dello svolgimento dell'attività di asilo nido con l'assetto regolamentare del condominio" - incidendo sul requisito della disponibilità ed idoneità dell'immobile utilizzato per l'attività, risolvendosi nella mancanza di un fattore strumentale all'attività - imponeva al Comune di tenerne conto nell'esercizio del potere di autotutela sollecitato dal Condominio, non rilevando in contrario né la circostanza che la sentenza del Tribunale Civile di Roma che aveva accertato l'illegittimità dell'attività di asilo nido con le norme del regolamento condominiale, fosse stata resa tra soggetti terzi rispetto alla società che gestisce l'asilo, né che la sentenza del Tribunale civile non costituisse giudicato, essendo pur sempre esecutiva". (Quando è lecita l'attività di affittacamere in condominio.)

In particolare, il T.A.R. ha ritenuto che anche se la sentenza intervenuta in sede civile "non potrebbe aversi riguardo esclusivamente al titolo civilistico che determina la disponibilità dell'immobile in capo alla società, omettendo di tributare la dovuta considerazione all'intervenuta preclusione, per effetto di una sentenza che, ancorché, non definitiva è immediatamente esecutiva, allo svolgimento all'interno di tale immobile di un'attività qualificata come contraria alle regole condominiali".

L'appello. La società appellante ha impugnato la sentenza del T.A.R. ritenendo che:

- la sentenza civile non potesse avere effetto nei suoi confronti in quanto pronunciata in un giudizio dove le parti erano costituite dal condominio e dalla proprietaria del locale;

- si trattava di una sentenza di accertamento e quindi non poteva essere eseguita in quanto non comportava alcuna condanna;

- la sentenza la sentenza "sotto l'aspetto sostanziale, non incidendo sul contratto di locazione tra la proprietaria e la società locataria e, in opponibile all'amministrazione, non avendo nulla a che vedere con il diritto amministrativo".

La decisione del Consiglio di Stato.

Il Collegio, però, ha ritenuto che "nell'ambito prettamente amministrativo, la incompatibilità dell'attività di asilo nido con una norma del regolamento condominiale si riflette sul rapporto di autorizzazione all'esercizio dell'attività, implicando l'inidoneità giuridica del bene all'uso autorizzato dall'amministrazione".

Infatti "Ne consegue che un tale accertamento pur riguardando rapporti tra privati, ben è opponibile all'amministrazione, ove tale situazione rilevi nell'ambito di un procedimento amministrativo.

La circostanza, poi, che la sentenza civile (?), essendo di puro accertamento, non sia immediatamente esecutiva e che non sia nemmeno suscettibile di esecuzione forzata nelle forme processuali - civilistiche (?) non assume valenza ostativa all'adozione da parte del Comune della richiesta revoca dell'autorizzazione.

La sentenza di accertamento in sede civile, infatti, anche se non contiene una condanna e anche se non riguarda direttamente la società appellante "assume rilevanza nell'ambito del procedimento di autorizzazione all'attività e non può essere ignorata o trascurata dal Comune, non ostandovi né la circostanza che la sentenza non sia definitiva, né che essa riguardi diritti di natura privata, atteso che i diritti dei terzi, vanno sempre salvaguardati dall'amministrazione, allorché adotti atti ampliativi delle facoltà di privati, né che l'autorizzazione faccia salvi i diritti dei terzi".

La clausola "con salvezza del diritto dei terzi". Relativamente a tale clausola a cui il Comune si è appellata per non revocare i provvedimenti rilasciati, la giurisprudenza si è pronunciata numerose volte in tema di permesso di costruire.

Infatti, è stato osservato che "l'amministrazione, in sede di rilascio del permesso di costruire, non è tenuta a svolgere complesse ricognizioni giuridico-documentali sul titolo di proprietà (o costituente altro diritto reale) in favore del richiedente, essendo sufficiente l'esibizione di un titolo che formalmente legittimi il rilascio del provvedimento abilitante (cfr. Cons. St., sez. V, 2 ottobre 2002, n. 5165)"(Cons. Stato, sez. I, parere 28 giugno 2013, n. 3062).

Inoltre, "non grava sull'amministrazione deputata al rilascio della concessione edilizia un particolare accertamento sulla misura dei diritti rivenienti alle parti dal rapporto obbligatorio che legittima al rilascio del titolo.

L'amministrazione comunale, invero, rilascia il titolo con la locuzione "salvi i diritti dei terzi" proprio perché è estraneo al suo potere l'accertamento di eventuali limiti del richiedente all'esercizio dell'attività edificatoria (L'accertamento dell'eventuale lesione del diritto soggettivo sulla cosa comune va fatto valere davanti al giudice ordinario e di tanto è consapevole la ricorrente che ha proposto azione possessoria al giudice ordinario a tutela delle sue pretese ragioni all'immodificabilità degli accessi al piazzale, domanda che non risulta sia stata accolta)" (Cons. Stato, sez. V - sent. 2 febbraio 2012, n. 568).

Nel caso in esame, però, il Consiglio di Stato ha ritenuto che "venendo in rilievo solamente la diversa questione della tutela dei diritti dei terzi, cui sono sempre subordinati gli atti di assenso dell'amministrazione all'esercizio di attività regolamentate, che come detto, non si risolve nella clausola "con salvezza dei diritti dei terzi" che chiude il provvedimento amministrativo, richiedendosi all'amministrazione una più accurata verifica della sussistenza di tali diritti, perlomeno, allorché ne acquisisca la conoscenza, perché fatti valere proprio dai titolari dei diritti.

La insufficiente e inadeguata valutazione di tutti gli elementi suddetti evidenzia l'illegittimità del provvedimento di archiviazione oggetto di impugnazione".

Conclusioni. Il Giudice amministrativo adito ha confermato la sentenza di primo grado ritenendo, in sostanza, che il Comune avrebbe dovuto considerare quanto accertato dalla sentenza di primo grado in sede civile, e pertanto porre in essere un'istruttoria più approfondita che avrebbe certamente portato ad accertare l'incompatibilità tra l'esercizio dell'attività dell'asilo nido e il regolamento condominiale.

Se il condomino non accetta la clausola del regolamento non gli si può impedire di aprire un bar ma gli si possono chiedere i danni per i rumori

Sentenza
Scarica Cons. Stato, sez. V, sent. 27 maggio 2014, n. 2726
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