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Società di manutenzione dell'ascensore e diritto di recesso solo per il condominio: quando tale clausola è vessatoria

Il problema è stato affrontato dal Tribunale di Larino nella sentenza del 3 novembre 2022 n. 524
Giuseppe Bordolli Responsabile scientifico Condominioweb 

Al contratto concluso con un'impresa da un amministratore di condominio, ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti, si applica la disciplina di tutela del consumatore, agendo l'amministratore stesso come mandatario con rappresentanza dei singoli condòmini, i quali devono essere considerati consumatori, in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionali.

Spesso però si dimentica che il condominio deve godere della tutela che la legge prevede in favore dei consumatori nella stipula dei contratti con prestazioni corrispettive.

Nell'ambito dei contratti di manutenzione degli impianti condominiali non è possibile perciò ancora leggere che, in caso di risoluzione anticipata per fatto imputabile al condominio, quest'ultimo è tenuto a corrispondere l'intero canone pattuito fino alla scadenza naturale del contratto. Tale clausola genera un significativo squilibrio a danno del consumatore.

Ciò perché l'intero canone pattuito nel contratto - che costituisce la penale per inadempimento - è il quantum dovuto dal consumatore per tutte le attività che l'impresa avrebbe dovuto svolgere nel corso della validità dell'intero contratto di manutenzione, che normalmente ha durata pluriennale.

Molto spesso problemi sorgono anche quando l'impresa attribuisce alla sola collettività condominiale la facoltà di recesso, a fronte della quale viene previsto un corrispettivo così da riequilibrare il contratto. Anche questa clausola apparentemente vantaggiosa può risultare vessatoria. Il problema è stato affrontato dal Tribunale di Larino nella sentenza del 3 novembre 2022 n. 524.

Società di manutenzione dell'ascensore e diritto di recesso solo per il condominio. La vicenda

Una società di manutenzione dell'ascensore richiedeva ed otteneva dal Giudice di Pace un decreto ingiuntivo nei confronti di un condominio per il mancato pagamento dell'importo dovuto per il recesso anticipato del condominio dal contratto quinquennale di manutenzione dell'impianto di elevazione.

A tale decreto ingiuntivo - erroneamente notificato all'ex amministratore revocato tre anni prima - il condominio si opponeva. Il Giudice di primo grado dava ragione al condominio e revocava il decreto.

La società di manutenzione si rivolgeva al Tribunale facendo presente che non poteva essere a conoscenza della revoca e, dunque, della nomina di un nuovo amministratore.

Inoltre osservava che, contrariamente a quanto sostenuto dal Giudice di Pace, la clausola delle condizioni generali del contratto volta ad attribuire una facoltà di recesso, unicamente a vantaggio del condominio, dietro pagamento di un corrispettivo così da riequilibrare il contratto concluso, non era vessatoria, non rientrando in alcuna delle fattispecie di cui al comma 2 dell'art. 33 cod. cons., né comportando un significativo squilibrio di diritti ed obblighi.

In ogni caso, e in via subordinata, la stessa società richiedeva la riduzione ad equità dell'importo dovuto per il recesso o di condanna del condominio al risarcimento del danno per l'anticipato recesso dal contratto ex art. 1671 c.c.

La decisione

Il Tribunale ha dato torto alla società

In primo luogo lo stesso giudice sottolinea che il creditore deve essere diligente nell'individuare l'amministratore p.t. a cui rivolgere le proprie pretese. La società però non ha fornito alcuna prova in ordine alle attività svolte per individuare il nuovo amministratore.

In merito alla clausola censurata dal condominio, il Tribunale ha evidenziato come riconoscere al solo cliente e non anche al professionista la facoltà di recedere dal contratto (previa corresponsione di una multa penitenziale) anche per fatti da addebitarsi alla controparte, finisca per avvantaggiare il solo professionista, il quale, in ipotesi di recesso per fatti allo stesso ascrivibili per colpa, finirebbe per svincolarsi dal contratto trattenendo una somma imposta al consumatore e commisurata in una parte del corrispettivo per prestazioni non ancora adempiute.

In particolare, nel caso esaminato, l'importo per il recesso era circa la metà (45%) del canone residuo di 36 mesi. Il cliente - condominio avrebbe dovuto così corrispondere al professionista un importo pari a circa l'intera prestazione dell'annualità successiva alla data del recesso (il 90% del canone di un anno) pur in assenza di prestazione. Una tale clausola, quindi, è vessatoria atteso che riserva implicitamente al professionista un trattamento differenziato e migliore, in contrasto tra l'altro con la lett. g) dell'art. 33 del codice del consumo. Attesa quindi la natura vessatoria della clausola, il professionista avrebbe dovuto fornire la prova che la previsione in essa contenuta era stata oggetto di trattativa individuale, prova che, tuttavia, non è stata resa, con conseguente nullità della stessa.

In ogni caso non è stata accolta neppure la richiesta di riduzione della multa penitenziale ex art. 1384 c.c., in quanto tale disposizione è pacificamente di natura eccezionale, e non applicabile, per analogia, al di fuori della clausola penale.

Sentenza
Scarica Trib. Larino 3 novembre 2022 n. 524
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