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Elettricista folgorato per l'assenza del salvavita: ne risponde il Condominio?

Omicidio colposo in condominio, obbligo di garanzia e nesso causale.
Avv. Marcella Ferrari - Foro di Savona 

In tema di contratto di prestazione d'opera (ad esempio, tra un elettricista ed i condomini) grava sul committente un generale onere di mettere il prestatore d'opera nella condizione di lavorare in sicurezza.

In particolare, incombono sull'esecutore (nel nostro caso, l'elettricista) i rischi propri inerenti alle specifiche lavorazioni contrattualmente assunte, mentre i rischi derivanti dalla conformazione dei luoghi sono imputabili al committente (Corte Cass., Sez. IV Penale, 24 maggio 2019 n. 23121).

La vicenda. In un condominio composto da quattro appartamenti e privo di amministratore, i proprietari incaricavano un elettricista di adeguare l'impianto elettrico a servizio delle parti comuni e di installare nuovi citofoni all'interno dei singoli appartamenti. L'elettricista, nello svolgimento del lavoro, rimaneva folgorato e decedeva.

Dalle risultanze probatorie, emergeva che uno degli appartamenti era privo del "salvavita" e della messa a terra. Per questa ragione, i proprietari venivano incriminati per omicidio colposo.

In primo grado, erano assolti in quanto il Tribunale ascriveva il decesso alla grave imprudenza commessa dall'elettricista [1], il quale non si era accertato dell'assenza di elettricità all'interno dell'impianto prima di toccare i fili a mani nude.

Inoltre, era privo di abbigliamento antiinfortunistico, aveva impiegato una scala metallica, poggiandola su di una balaustra di ferro.

In appello, invece, i proprietari venivano condannati; infatti, si riteneva che la mancata messa a norma del loro impianto fosse stata determinante ai fini del decesso, a prescindere dalla condotta tenuta dall'elettricista.

La Corte di Cassazione annulla la sentenza gravata e fornisce importanti principi in materia di committenza di lavori (anche in condominio).

Prima di analizzarli, ricostruiamo brevemente il quadro fattuale e normativo in cui si inserisce la vicenda.

La causa del decesso. Gli accertamenti tecnici operati in sede di giudizio ascrivevano la morte dell'uomo alla seguente circostanza: la vittima aveva creato una continuità elettrica tra il filo in tensione (toccato a mani nude), il suo corpo e la "terra" (rappresentata dalla ringhiera delle scale condominiali).

L'elettricista aveva disalimentato il circuito delle luci condominiali e riteneva che non vi fosse corrente.

Tuttavia, egli era ignaro del fatto che, nella "cassetta condominiale", affluissero anche i cavi elettrici dell'appartamento degli imputati, che erano rimasti alimentati dal contatore a servizio della loro abitazione.

Il loro impianto era privo di salvavita e di messa a terra, in violazione della disciplina di legge che li prevede come obbligatori [2].

Il giudice, quindi, si trova a stabilire se l'assenza dell'interruttore differenziale e della messa a terra siano eziologicamente connessi all'evento morte e, pertanto, se sia riscontrabile una responsabilità omissiva sui proprietari dell'immobile, gravati da una posizione di garanzia.
Semplificando, occorre verificare:

  • se la presenza del salvavita e della messa a terra avrebbe salvato l'elettricista [3];
  • se sui proprietari dell'appartamento incomba un obbligo di garanzia verso il prestatore di lavoro, in forza del contratto di prestazione d'opera.

Obbligo di garanzia e nesso causale. L'obbligo di garanzia attiene alla causalità ed assume rilevanza in questo caso giacché, per provare la colpevolezza degli imputati, è necessario dimostrare che l'evento morte sia stato cagionato dalla loro condotta omissiva.

Infatti, nel nostro ordinamento, non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo (art. 40 c. 2 c.p.).

Non rileva qualsiasi omissione, ma solo quella di chi sia gravato da un obbligo di garanzia.

La condotta omissiva contestata ai condomini consiste nel non aver informato l'elettricista - di cui erano committenti - che il loro impianto non era conforme alle norme di sicurezza, poiché privo dell'interruttore differenziale e di adeguata messa a terra, in violazione delle prescrizioni di legge.

Se tale informazione fosse stata fornita, l'elettricista avrebbe tolto l'alimentazione all'impianto individuale, neutralizzando la fonte di pericolo.

L'interrogativo a cui rispondere è il seguente: i condomini erano tenuti a fornire la suddetta informazione, poiché gravati da una posizione di protezione - in quanto committenti - ovvero su di loro non incombeva alcun onere cautelare? Vediamo come si è espressa la Cassazione.

Contratto di prestazione d'opera. Innanzitutto, la Suprema Corte rileva come tra i condomini e l'elettricista sia stato concluso un contratto di prestazione d'opera (art. 2222 c.c.), in cui i proprietari degli alloggi erano i committenti, poiché nello stabile mancava un amministratore di condominio. La posizione di garanzia - se esistente - va ricercata nel predetto rapporto contrattuale, a prescindere dagli obblighi di legge gravanti sui proprietari dei singoli appartamenti di adeguare i rispetti impianti individuali.

Ricordiamo che la posizione di garanzia è un obbligo giuridico gravante su taluni soggetti (come il committente) forniti dei poteri di impedire eventi offensivi di beni altrui, affidati alla loro tutela [4].

L'obbligo di garanzia può scaturire da fonte normativa o contrattuale; il contratto, infatti, ex art. 1372 c.c. ha forza di legge tra le parti.

Evoluzione normativa sulla posizione di garanzia del committente. La Suprema Corte fa un excursus sulla giurisprudenza formatasi in materia, che possiamo schematizzare nei termini seguenti.

Un tempo, si escludeva che il committente rispondesse per l'omessa adozione di misure di prevenzione durante l'esecuzione dei lavori. Una forma di responsabilità veniva ravvisata solo quando il committente si ingeriva nel lavoro dell'appaltatore o del prestatore d'opera perché, in quel caso, assumeva, di fatto, una posizione direttiva (Cass.1543/1967).

Successivamente, il quadro giurisprudenziale si è evoluto (Cass. n. 8134/1992), giungendo a ritenere responsabile il committente, unitamente all'appaltatore e al direttore dei lavori, «qualora l'evento si colleghi causalmente anche alla sua colposa azione od omissione, ovvero quando abbia commissionato o consentito l'inizio dei lavori, pur in presenza di situazione di fatto parimenti pericolose».

Il quadro giurisprudenziale muta con l'entrata in vigore del d. lgs. 494/1996 [5], oggi sostituito dal d. lgs. 81/2008 recante "tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro" [6], ove la figura del committente viene espressamente riconosciuta ed investita di responsabilità.

La responsabilità del committente. La giurisprudenza recente ritiene che il committente non debba operare «un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori»; tuttavia, occorre verificare quale sia stata l'incidenza della sua condotta sull'eventuale evento di danno (Cass. n. 27296/2017; Cass. n. 3563/2012).

Per accertare l'effettivo contributo causale del comportamento del committente nella causazione dell'evento, la giurisprudenza indica una serie di parametri, come:

  • la valutazione delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori;
  • la valutazione della specificità dei lavori da eseguire,
  • i criteri seguiti dal committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera:
  • la sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d'opera;
  • la percepibilità immediata, da parte del committente, di situazioni di pericolo.

Nel caso di specie, i committenti non erano dei soggetti qualificati, ossia dotati di cognizioni specifiche, ma si trattava di privati (i condomini di uno stabile) che si erano rivolti ad un tecnico per sistemare l'impianto condominiale.

Ebbene, quando il committente sia un soggetto scevro di qualifiche specifiche, grava su di lui un generale onere di mettere il prestatore d'opera nella condizione di lavorare in sicurezza (Cass. n. 40922/2018). A maggior ragione, nel caso di lavori di tipo domestico, ove manchi un documento di valutazione dei rischi (D.V.R.) o la nomina di un responsabile dei lavori cui sia conferito il compito di realizzare la sicurezza del cantiere prima della realizzazione delle opere.

È importante valutare il nesso eziologico tra inadempimento del mancator rilascio e il verificarsi del danno.

Onere di mettere il prestatore di lavoro in sicurezza. Come detto, grava sul "committente non professionale" l'onere di consentire al prestatore di lavoro di agire in sicurezza.

In buona sostanza, il committente deve segnalare i pericoli esistenti, ma non solo; egli è tenuto ad eliminarli prima dell'inizio dell'attività del prestatore per neutralizzare le possibili fonti di pericolo.

Quindi per accertare in concreto se vi sia una qualsiasi responsabilità del committente, è necessario circoscrivere l'oggetto del contratto, ossia accertare l'oggetto della prestazione d'opera.

Infatti, incombono sull'esecutore i rischi propri inerenti alle specifiche lavorazioni contrattualmente assunte, mentre i rischi derivanti dalla conformazione dei luoghi sono imputabili al committente. La Corte rileva come il giudice di secondo grado - che ha ritenuto colpevoli i proprietari dell'appartamento - non abbia indagato su tali aspetti né sul contenuto del rapporto contrattuale che, nel caso in esame, aveva ad oggetto sia l'impianto condominiale che l'installazione dei citofoni all'interno dei singoli appartamenti.

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Conclusioni. In conclusione, la Corte di Cassazione con la sentenza in commento (Cass. Pen. 23121/2019), ha dettato importanti principi in relazione alla responsabilità del "committente non professionale" nell'esecuzione dei lavori.

Questi non è scevro di responsabilità, anzi, deve assicurare che il luogo di lavoro sia privo di rischi.

Tuttavia, proprio perché il committente non è qualificato, gravano sul prestatore di lavoro i rischi tipici delle lavorazioni assunte.

Nella fattispecie esaminata, il giudice di primo grado aveva ritenuto che le gravi imprudenze commesse dall'elettricista ne avessero causato il decesso, che si sarebbe verificato anche in presenza dell'interruttore differenziale (assente nell'appartamento degli imputati).

Il salvavita, infatti, non avrebbe garantito, con alto grado di credibilità razionale, la sopravvivenza della vittima.

Secondo la Corte, l'affermazione di responsabilità degli imputati - operata in appello - si poggia su argomentazioni inadeguate «al raggiungimento dello standard probatorio in quanto anche il c.d. giudizio controfattuale è stato formulato in termini non rispondenti ai criteri di certezza processuale»; pertanto, annulla la sentenza impugnata, con rinvio al giudice civile.

Avvocato del Foro di Savona


[1] Era emerso che l'elettricista avesse agito con imprudenza e imperizia. Egli, infatti, indossava un vestiario inadeguato e non disponeva di alcun sistema di prevenzione individuale, come guanti, tuta o scarpe isolanti. Anche l'adozione di uno solo di essi, avrebbe potuto scongiurare l'evento.

Inoltre, l'uomo non aveva con sé nemmeno gli strumenti idonei a rilevare la presenza di corrente elettrica sui cavi su cui stava operando.

Pertanto, prima di toccare i fili a mani nude, non si era premurato di accertare che nell'impianto non vi fosse corrente.

Al momento dell'incidente, la vittima era su una scala metallica, poggiata su una ringhiera di ferro della scala condominiale; era coadiuvato da un ragazzo, privo di competenze tecniche, che aveva esposto ad un grave rischio.

[2] Fu la legge 46/1990 (e il D.P.R. 447/1191) recante "norme per la sicurezza degli impianti" ad imporre che gli impianti elettrici fossero dotati di messa a terra e a prevedere l'installazione degli interruttori differenziali ad alta sensibilità (i cosiddetti "salvavita").

[3] Secondo il percorso argomentativo seguito dal giudice di primo grado, non si poteva affermare, oltre ogni ragionevole dubbio, che la presenza dell'interruttore differenziale (salvavita) avrebbe impedito il verificarsi della morte dell'elettricista.

Infatti, il contatto diretto con una parte in tensione (come i fili toccati a mani nude) genera, all'istante, un «passaggio di corrente elettrica all'interno del corpo umano che viene sottoposto ad una differenza di potenziale che è quella di alimentazione del circuito e la cui intensità risente anche della resistenza del corpo umano, differente da individuo a individuo, mentre l'intervento dell'interruttore differenziale non è immediato».

Pertanto, le uniche protezioni efficaci consistono nella disalimentazione del circuito che alimenta gli utilizzatori o l'adozione di schermi indiretti.

Il salvavita svolge un'efficace funzione «nella protezione dai contatti indiretti, cioè dalla possibilità che l'involucro metallico di una apparecchiatura elettrica, a causa del guasto di un suo isolante interno, venga in contatto con una parte in tensione perché in tal caso esso consente un percorso della corrente verso terra».

In conclusione, in virtù di quanto sopra esposto, la presenza del salvavita non avrebbe salvato l'elettricista.

[4] Definizione tratta da F. MANTOVANI, Diritto Penale, Padova, Cedam, 2001, 168 ss

[5] Per precisione, si sottolinea che nel caso di specie trova applicazione ratione temporis la disciplina previgente, ossia il d. lgs. 494/1996 artt. 2 e 3.

[6] In materia di "tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro", gli artt. 26 ss. d. lgs. 81/2008 impongono specifici obblighi al committente, ad esempio, accertare l'idoneità tecnico professionale del prestatore d'opera o elaborare un unico documento di valutazione dei rischi (D.V.R.) che indichi le misure adottate per eliminare o, ove ciò non è possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze.

Sentenza
Scarica Corte di Cassazione, sez. IV Penale, 24 maggio 2019, n. 23121
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