Che cosa si può fare se dal fondo del vicino protendono rami o si addentrano radici?
La questione dev'essere risolta guardando due norme di rango differente:
a) il codice civile;
b) i regolamenti e gli usi locali.
Per ovvie ragioni, legate alla varietà di regolamentazioni comunali ed anche regionali (le leggi regionali hanno competenza ad esprimersi in materia di alberi e loro tutela, ricadendo la materia nell'ambito della tutela ambientale), in questo approfondimento esamineremo la disciplina prevista dal codice civile e più nello specifico dall'art. 896.
Diritto di tagliare i rami sporgenti degli alberi
La norma in questione – più precisamente il primo comma – specifica che il proprietario del fondo su cui propendono i rami degli alberi del vicino può in qualunque tempo ottenere che siano tagliati.
Quando e come dare tutela a questo diritto?
L'azione giudiziaria (nel caso concreto si deve valutare quale) è quella che consente di ottenere il risultato fissato dall'articolo il esame.
L'art. 896 del codice civile non fa differenza tra alberi che siano piantati a distanza legale ed alberi piantati a distanze inferiori dalla predetta (ossia tre metri).
Il divieto, quindi, riguarda entrambe le fattispecie: ciò vuol dire che in presenza di un albero piantato a distanza irregolare, il proprietario del fondo vicino può attivarsi per chiedere anche solamente che sia ordinata la recisione dei rami e non anche lo spostamento degli alberi.
È possibile ipotizzare l'esistenza di una servitù di mantenere i rami nella proprietà del vicino? La risposta è sì, ma non in tutti i modi.
Ricordiamo che la servitù può essere costituita per contratto, per destinazione del padre di famiglia, per usucapione e per ordine del giudice o dell'autorità amministrativa: queste ultime due fattispecie non hanno a che vedere con la norma in esame.
A ben vedere, nemmeno l'usucapione può essere fatta valere nei casi disciplinati dall'art. 896 del codice civile. Infatti, come ormai da lungo tempo fa notare la Suprema Corte di Cassazione, il tenore letterale del primo comma dell'articolo in esame, partendo
“dalla possibilità, per il proprietario del fondo vicino, di costringere "in qualunque tempo" il proprietario del fondo in cui l'albero è impiantato a recidere i rami pendenti può farsi derivare soltanto l'inammissibilità dell'acquisto per usucapione del diritto a lasciar protendere i rami pendenti nel fondo vicino, poiché tale diritto avrebbe natura precaria, essendo condizionato dall'esercizio del contrapposto diritto a far recidere i rami "in qualunque tempo", quindi anche successivo al maturarsi dell'usucapione.
Non può, invece, farsi derivare anche l'inammissibilità dell'acquisto dello stesso diritto mediante costituzione di servitù per titolo o per destinazione del padre di famiglia, essendo sempre consentito di derogare, mediante la costituzione di servitù, ai limiti posti dalla legge alla proprietà nell'interesse privato.
In tal senso è la giurisprudenza dinanzi richiamata, anche con specifico riguardo alla servitù per destinazione del padre di famiglia. Cassazione civile, sez. II, 29/08/1997, n. 8245”
(così Cass. novembre 1997, n. 10958, in tal senso si vedano anche Cass. sent. 2555 del 18 aprile 1980; sent. n. 3062 del 1 ottobre 1958; sent. n. 617 del 24 aprile 1947).
Si badi: il fatto che si sia eventualmente acquistata una servitù di mantenere un albero ad una distanza dal confine inferiore a quella prescritta dalla legge o dai regolamenti locali, non vuol dire automaticamente che si è acquisito anche il diritto di far propendere i suoi rami nel fondo altrui. Come ha specificato la Corte di legittimità, difatti,
“al fine di ritenere eventualmente giustificato il protendimento dei rami nel fondo vicino, è necessario provare, non già la costituzione della servitù di tenere l'albero a distanza inferiore a quella legale, bensì la costituzione per titolo o per destinazione del padre di famiglia della specifica servitù di protendimento dei rami nel fondo vicino (cfr. Cass. 1 ottobre 1958, n. 3062)" (Cass. 15 giugno 1999, n. 5928).
In appendice a queste indicazioni, è bene ricordare che, salvo usi e regolamenti locali differenti, i frutti naturalmente caduti dai rami protesi nel fondo del vicino posso essere raccolti da quest'ultimo. Qualora così non fosse, questi deve consentire al proprietario dell'albero l'accesso al fondo per la raccolta (cfr. art. 896, secondo e terzo comma, c.c.).
Responsabilità per le radici che invadono il fondo altrui
Rispetto al diritto di ottenere il taglio delle radici, l'art. 896 del codice civile prevede (prevederebbe?) un'ipotesi di autotutela del proprietà del fondo in cui le radici si addentrano.
A tale conclusione la dottrina giunge dato che in contrasto a quanto previsto per i rami (rispetto ai quali si afferma che si può ottenere il taglio, con ovvia allusione all'intervento dell'Autorità giudiziaria), nel caso delle radici si afferma che si possono tagliare “le radici che si addentrano nel suo fondo”.
Restano salve eventuali disposizioni regolamentari e/o gli usi locali.
Diritto a recidere direttamente tali radici, non vuol dire mancanza di diritto al risarcimento del danno che tale operazione ha comportato e più in generale del danno causato dalle radici che si sono protese nel fondo altrui.
Vale sempre il principio generale del neminem laedere, ossia quel principio che vieta di ledere illegittimamente l'altrui diritto, nel caso di specie il diritto di proprietà sui beni immobili danneggiati dalle radici.
Più nello specifico bisogna ricordare che il nostro ordinamento prevede specificamente una forma di responsabilità di tipo oggettivo per i danni provenienti da cose in custodia (art. 2051 c.c.).
In ogni caso, prima di iniziare a “farsi giustizia da sé” è sempre bene valutare compiutamente le regolamentazioni locali ed eventualmente i modi d'intervenire per far sì che la recisione non sia poi pericolosa o comunque mal operata per la propria ed altri sicurezza.