Il nostro ordinamento disciplina l'istituto della servitù, in maniera analitica. Basti pensare che vengono riconosciute, ciascuna con una propria peculiarità queste tipologie di servitù: volontarie e coattive; apparenti e non apparenti; affermative e negative; continue e discontinue.
Di fatto, la servitù si sostanzia in un peso da sopportare. Ed infatti, l'art. 1027 c.c. così dispone: "La servitù prediale consiste nel peso imposto sopra un fondo per l'utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario".
Le servitù possono avere origine essere in un contratto, in un testamento, in una sentenza o ancora nascere per destinazione del padre di famiglia (art. 1032, 1058 e 1062 c.c.).
In presenza di una servitù così costituita, dunque, si è in presenza di un fondo denominato servente (gravato dal peso) e di un fondo c.d. dominante (che trae utilità dal fondo servente e, dunque, ne trae i benefici).
Fatta questa breve e doverosa premessa, l'argomento oggi trattato, ci impone prima di tutto di evidenziare che è ben possibile assistere ad una servitù delle parti comuni rispetto alle proprietà esclusive. Circostanza, questa, differente dall'uso (anche più intenso) della cosa comune ex art. 1102 c.c.
In giurisprudenza, è stato ritenuto, in particolare, che "per la ricorrenza della servitù a carico di un fondo di proprietà comune ed a vantaggio di altro fondo di proprietà comune ed a vantaggio di altro fondo di proprietà esclusiva di uno dei partecipanti alla comunione, è necessario che l'utilità tratta da nuove opere sia diversa da quella normalmente derivante dalla destinazione impressa al fondo comune fruita da tutti i comproprietari, con la conseguenza che nel caso in cui l'utilità stessa derivi unicamente dalla natura e dalla pregressa destinazione della cosa comune, la misura dell'uso e del godimento di ciascun partecipante alla comunione è in funzione del concorrente uso del godimento degli altri comproprietari ed è quindi regolata dal titolo nei limiti previsti dalla norma sulla comunione di cui all'articolo 1102 c.c. (vedi, tra altre, sentenza 28.1.1985 n. 434 di questa corte)"(così Cass. 23 marzo 1993 n. 3419).
Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 11664/2015 depositata il 27.10.2005, ha comunque ribadito che l'attore che agisce in giudizio per l'accertamento del diritto ad ottenere l'indennità di asservimento deve comunque provare i presupposti della domanda e, nello specifico, in tema di indennità ex art. 1053 c.c. - si legge in sentenza - "la norma invocata prevede infatti l'obbligo di un'indennità proporzionata al danno cagionato dal passaggio", con la conseguenza che è necessaria allegare la prova del danno "effettivamente subito dall'esercizio della servitù di passo".
Recentemente, la Corte d'Appello di Bologna, con la Sentenza n. 469/2019 pubbl. il 12/02/2019, ha affrontato il caso di un Condominio che aveva subito la esecuzione del decreto di asservimento dell'area di proprietà interessata dalla realizzazione di un'opera di talché l'area era stata asservita al fine di costituire una servitù di passaggio in favore di un altro immobile condominiale. Su queste basi, si giungeva in giudizio sulla base di una stima dell'indennità non condivisa e non ritenuta congrua da parte del Condominio servente.
Pertanto, la causa veniva decisa sulla base di una espletata CTU con cui era stato determinato "il valore dell'area e, quindi, della relativa indennità di asservimento, in base al valore medio al mq dei fabbricati di zona, l'indice di edificabilità e la percentuale di incidenza del terreno per ogni mq di edificato".
Ed infatti, ai sensi dell'art. 1053 del Codice civile, nei casi previsti dagli artt. 1051 c.c. (Passaggio coattivo) e 1052 c.c. (Passaggio coattivo a favore di fondo non intercluso) è dovuta un'indennità proporzionata al danno cagionato dal passaggio che comprenda non solo il danno effettivo al fondo causato dall'aver esercitato la servitù di passaggio coattivo, ma anche il deprezzamento che ne è derivato.
Quanto al contenuto ed alla determinazione della predetta indennità, mentre l'indennità di asservimento civilistico è rapportata al valore venale del fondo, l'indennità di asservimento coattivo per pubblica utilità va parametrata al valore di esproprio (es. Cass. SS.UU n. 51/2001, Cass. n. 8097/2000).
In giurisprudenza si ritiene che "L'indennità dovuta dal proprietario del fondo in cui favore è stata costituita la servitù di passaggio coattivo non rappresenta il corrispettivo dell'utilità conseguita dal fondo dominante, ma un indennizzo risarcitorio da ragguagliare al danno cagionato al fondo servente, sicché, per la sua determinazione, non può aversi riguardo esclusivamente al valore della superficie di terreno assoggettata alla servitù, dovendosi tenere altresì conto di ogni altro pregiudizio subìto dal fondo servente in relazione alla sua destinazione a causa del transito di persone e di veicoli" (Cass. civ. n. 10269/2016; Cfr. Cass. civ. n. 4999/1994).