Nell'ultima assemblea condominiale dovevano sostituire l'amministratore che s'era dimesso per problemi di salute.
Il giorno della riunione erano presenti più preventivi di professionisti del settore, ma alla fine abbiamo scelto di nominare un commercialista che ha l'ufficio in locazione nel palazzo.
Motivo? Da sempre abbiamo preferito l'auto gestione, non solamente per ragioni di risparmio (l'incarico è comunque retribuito anche se in misura inferiore) quanto piuttosto di convenienza: il nostro è un edificio di uffici e preferiamo avere l'amministratore “a portata di mano” durante l'orario di lavoro.
Nominato il commercialista, che ha accettato l'incarico, uno dei condòmini che portava il nome di un altro amministratore ha detto che avrebbe fatto ricorso all'Autorità Giudiziaria perché quel commercialista non ha i titoli per assumere incarichi.
Gli abbiamo detto che essendo un condomino non deve avere molte delle qualità richieste dall'art. 71-bis disp. att. c.c., ma il nostro vicino ci ha detto che quelle regole valgono per i proprietari ma non anche per i conduttori, come il commercialista. Chi ha ragione?
La questione rappresenta una di quelle stranezze imposte per legge dalla riforma del condominio. Vediamo perché.
L'art. 71-bis disp. att. c.c. impone la ricorrenza di una serie di requisiti di onorabilità e professionalità per le persone che vogliono assumere incarichi di amministratore condominiale.
Con riferimento all'onorabilità intendiamo individuare una serie di requisiti quali l'assenza di condanne penali per delitti contro il patrimonio o comunque particolarmente gravi, l'assenza di protesti, ecc. (cfr. art. 71-bis, primo comma lett. a)-e) disp. att. c.c.).
Con la locuzione requisiti di professionalità si fa riferimento al possesso del diploma di scuola secondaria di secondo grado nonché alla frequentazione di un corso di formazione iniziale e periodica, i cui requisiti sono individuati dal d.m. n. 140/14.
Unica eccezione: la nomina dell'amministratore tra i condòmini dello stabile. In tal caso il prescelto non deve aver conseguito il diploma ne avere frequentato il corso di formazione iniziale ne curarsi di seguire quelli di aggiornamento (cfr. art. 71-bis, secondo comma, disp. att. c.c.).
Ebbene ricordare, anche per rispondere al quesito di cui sopra, che con la dizione condomino non si fa riferimento a tutte le persone che, a diverso titolo, abitano o utilizzano le unità immobiliari ubicate nell'edificio, ma solamente a quelle persone che sono titolari della proprietà di quei cespiti.
Il condomino, giuridicamente parlando, è solamente il proprietario dell'unità immobiliare.
Non si troveranno nella legislazione vigente delle norme che contengono questo concetto, in quanto esso lo si desume dal complesso delle disposizione che disciplinano il condominio negli edifici.
In questo contesto, quindi, è evidente che anche ai fini dell'amministrazione condominiale il conduttore non possa essere considerato condomino e quindi debba possedere tutti i requisiti previsti dall'art. 71-bis disp. att. c.c., pena l'invalidità della sua nomina.
Se da un lato è comprensibile pretendere preparazione da un soggetto che va a gestire un condominio e quindi non rendere automatica l'equazione commercialista=bravo amministratore condominiale, dall'altro lato non è chiaro perché il legislatore abbia fatto passare l'equazione condomino (anche non diplomato)=bravo amministratore di condominio. Sfugge la seria ragione di questa scelta.