Un condomino è sfinito dal chiasso continuo del vicino del piano superiore. Una sera, innervosito, va bussa alla porta e “gliene dice quattro”.
Quello, nonostante non possa certo dire d’essere silenzioso, si sente offeso per le parole che gli sono state rivolte e querela il vicino per ingiuria.
L’ingiuria (art. 594 c.p.), è cosa nota, è un reato che punisce le offese all’onore ed al decoro della persona proferite in sua presenza.
Una serie di circostanze, dette esimenti (si pensi alla reazione alla provocazione) escludono la punibilità dell’offesa.
Va tenuto presente che con il reato penale lo Stato sanziona un comportamento che ritiene illecito per la collettività ed in secondo luogo per l’offeso.
L’ingiuria poi è un particolare reato che coinvolge anche altri diritti, leggasi libertà d’espressione. La sua utilità, ad avviso di chi scrive, è dubbia. Ma non è questo il punto.
Il punto della vicenda è: fino a che punto l’offesa del condomino snervato dal comportamento del suo vicino può essere considerata una naturale reazione alle intemperanze di quest’ultimo? Nel caso di specie all’esasperato era scappate frasi del genere “hai rotto i …” unite al classico vaffa …
Il caso è stato affrontato e risolto dalla Cassazione con la sentenza n. 48072 resa sul finire dello scorso anno, il 22 dicembre per la precisione. Si legge nella sentenza che “ non può dubitarsi della portata offensiva delle frasi pronunciate dalla ricorrente.
Ed, infatti, pur dovendosi prendere atto del degrado del linguaggio e della inciviltà che oramai non di rado contraddistingue il rapporto tra i cittadini, il ripetuto epiteto vaff… accompagnato dalle espressioni non mi rompere i cogl…. e non mi rompere il c…., non è soltanto indice di cattiva educazione e di uno sfogo dovuto ad una pretesa invadenza dell’offeso, ma anche del disprezzo che si nutre nei confronti dell’interlocutore.
Né il richiamo a pregressa giurisprudenza di questa Corte consente di pervenire a diverse conclusioni perché i casi richiamati non sono sovrapponibili a quello in discussione in quanto l’uso ripetuto, che caratterizza l’episodio contestato alla [...] dei termini offensivi dinanzi ricordati correttamente è stato ritenuto dai giudici del merito, tenuto conto del contesto nel quale sono stati pronunciati –lite tra vicini-, è stato ritenuto offensivo.
Del resto è opportuno ricordare che la valutazione circa la portata offensiva delle frasi pronunciate spetta ai giudici di merito, che doverosamente debbono tenere conto del contesto nel quale si è verificato il fatto; la motivazione che sorregge tale valutazione è nel caso di specie congrua ed immune da manifeste illogicità e, quindi, non censurabile in sede di legittimità.
Anche il terzo motivo di impugnazione è destituito di fondamento”. (Cass. pen. 22 dicembre 2011 n. 48072).
Insomma snervati o meno bisogna sempre stare attenti a che si dice, altrimenti si rischia di passare da vittime a carnefici.