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Locazione: no all'equo canone se c'è una certa crescita demografica

Equo canone, ecco quanto incide l'andamento demografico.
Avv. Valentina Papanice 

Il principio è (ri)affermato dalla recente sentenza della Corte di Cassazione n. 3040 depositata il 6 febbraio 2017.

Il giudizio trae origine dalla richiesta - rivolta dal conduttore di un immobile nei confronti del proprietario dello stesso – della differenza tra quanto corrisposto e quanto avrebbe dovuto invece corrispondersi come canone legale; richiesta contestata dal proprietario dell'immobile, il quale da parte sua eccepisce che nel caso specifico non vada applicato l'equo canone: e ciò, ai sensi dell'art. 26 della legge 392 del 1978, in quanto il comune ove è posto l'immobile conta una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti.

La domanda, rigettata in primo grado, viene invece accolta in appello ove non si rinviene nel caso sottoposto al giudizio la sussistenza delle condizioni prescritte dall'art. 26 citato ai fini dell'esclusione dell'equo canone.

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Segue dunque il giudizio di cassazione, instaurato dal proprietario dell'immobile, dove la Corte si associa completamente al deciso dell'appello.

Equo canone e crescita demografica

Questo in sintesi il percorso logico - giuridico seguito in appello: spiegano i giudici che l'art. 26 richiamato dal proprietario dell'immobile nel caso di specie non può essere applicato.

La norma, per quanto qui interessa, esclude(va) l'applicazione delle norme sull'equo canone (artt. 12-25, L. n. 392/1978) per gli immobili posti nei comuni che "al censimento del 1971 avevano popolazione residente fino a 5.000 abitanti qualora, nel quinquennio precedente l'entrata in vigore della presente legge, e successivamente ogni quinquennio, la popolazione residente non abbia subito variazioni in aumento, o comunque l'aumento percentuale sia stato inferiore a quello medio nazionale, secondo i dati pubblicati dall'ISTAT."

Ebbene, la Corte di appello evidenzia che, pur essendo la popolazione del comune di Venetico al momento della stipula del contratto inferiore al numero di 5000 abitanti, era al contempo certo che la stessa era aumentata negli anni tra il 1991 ed il 2000: non era però provato che tali aumenti fossero inferiori a quelli della media nazionale, come richiesto dall'art. 26 menzionato ai fini dell'esclusione delle norme sull'equo canone.

La sentenza di secondo grado si riporta ad altra decisone, la n. 17952 del 2002, ove la stessa Corte di Cassazione afferma che se dal censimento del 1971 risulta che la popolazione del comune in questione era inferiore ha più di di 5000 abitanti, allora le norme sull'equo canone vanno applicate senz'altro; in caso contrario, dunque se il numero della popolazione risulta in quel censimento inferiore a 5000, non sarà possibile un'esclusione automatica, ma si dovrà osservare l'andamento demografico avvenuto prima e dopo, al fine di verificare l'eventuale aumento (e evidentemente, verificare se detto aumento ha superato la media nazionale, quale risulta dai dati dell'ISTAT).

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La stessa sentenza spiega che "la ratio dell'art. 26 è, pertanto, da individuarsi nel fatto che si è ritenuto opportuno che il canone vincolato vi fosse in tutti i Comuni di una certa dimensione abitativa, ed, altresì, in tutti quei Comuni nei quali, anche se piccoli, vi fosse stato un aumento della popolazione sensibile e tale da potere determinare una situazione di tensione abitativa".

La Corte di Cassazione nella sentenza del 2017 dà continuità espressa a quella del 2002, spiegando che, nel caso concreto, ai fini dell'esclusione delle norme sull'equo canone, rileva non solo la consistenza della popolazione nel 1971, ma anche la successiva crescita demografica: e nel 1996, anno di stipula del contratto, la popolazione, sebbene ancora inferiore a 5000 unità, risulta incontestabilmente aumentata.

Le norme sull'equo canone sono state abrogate dalla L. n. 431 del 1998, per cui trovano applicazione ai rapporti giuridici sorti nella vigenza delle stesse.

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