Condominio Web: Il portale N.1 sul condominio
Iscriviti alla
Newsletter
chiudi
Inviaci un quesito

Quote condominiali: nulla la mora per il ritardo nei pagamenti se non è approvata all'unanimità

Deve considerarsi nulla (e non semplicemente annullabile) la delibera assembleare, adottata a maggioranza, che stabilisca interessi moratori per il ritardo dei pagamenti delle quote condominiali.
Avv. Giuseppe Donato Nuzzo 

Deve considerarsi nulla (e non semplicemente annullabile) la delibera assembleare, adottata a maggioranza, che stabilisca interessi moratori per il ritardo dei pagamenti delle quote condominiali, in quanto tale previsione non rientra nei poteri dell'assemblea e, pertanto, può essere inserita soltanto in un regolamento contrattuale, approvato all'unanimità.

Ne consegue la invalidità delle successive delibere nella parte in cui, nel ripartire gli oneri di gestione, applicano il relativo tasso di mora.

Anche tali delibere sono affette da nullità, la quale può essere fatta valere dal condomino interessato senza essere tenuto all'osservanza del termine di decadenza di trenta giorni ai sensi dell'art. 1137 c.c.

È questo il principio di diritto affermato nella sentenza n. 10196 del 30 aprile 2013, con la quale la Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi delle possibili conseguenze legate al ritardato pagamento delle quote condominiali.

La fattispecie al vaglio delle suprema Corte prende le mosse da un decreto ingiuntivo che intimava al comproprietario moroso il pagamento delle quote dovute al consorzio, di cui faceva parte, oltre al pagamento degli interessi moratori al 20% su base annua, sanzione quest'ultima prevista da un'apposita clausola del regolamento consortile.

Il decreto ingiuntivo veniva successivamente revocato in appello, sul rilievo, tra gli altri, che la clausola del regolamento relativa all'applicazione di un tasso di interessi al 20% doveva ritenersi inapplicabile al moroso, in quanto votata dall'assemblea a maggioranza semplice e non all'unanimità.

Per gli interessi di mora occorre il consenso di tutti. I giudici di legittimità, a fronte del ricorso proposto dal consorzio, hanno sostanzialmente ribadito la decisione di merito, stabilendo che le sanzioni eccedenti gli interessi legali (le cosiddette "supermulte") possano essere fissate solo eventualmente nel regolamento condominiale e, in ogni caso, la relativa clausola deve essere approvata con il consenso unanime dei condomini, non rientrando tale potere tra quelli attribuiti all'assemblea di condominio ai sensi dell'art. 1138 c.c.

La previsione del pagamento di interessi di mora in caso di mancato o ritardato pagamento delle quote condominiali, dunque, può trovare inserimento esclusivamente all'interno di un regolamento di tipo contrattuale, dietro unanime approvazione. In difetto, la relativa clausola deve ritenersi affetta da nullità assoluta (e non da semplice annullabilità), vizio che si estende anche alle successive deliberazioni applicative della clausola medesima.

La ricostruzione del vizio in esame in termini di nullità, e non di semplice annullabilità, comporta un'ulteriore, importante, conseguenza: i condomini interessati, infatti, non sono tenuti al rispetto del termine di decadenza (trenta giorni) previsto dall'art. 1137 c.c. per l'impugnazione delle delibere assembleari, potendo eccepire la contestazione di nullità in qualsiasi momento.

Come provare che la lettera di messa in mora inviata al condomino è stata ricevuta

Questioni aperte. La sentenza in esame peraltro lascia aperte due questioni, non esaminate dalla suprema Corte per ragioni di inammissibilità, che meritano di essere brevemente richiamate.

La prima attiene al tasso legale varato dal giudice rispetto al quale, non essendo offerti chiarimenti alcuni, ci si domanda se, annullata la maxi sanzione assembleare, possa subentrare quello leggermente più basso (del 12%) previsto dallo statuto consortile, nonostante la circostanza non sia stata oggetto di contestazione nel giudizio di merito.

La seconda questione rimasta irrisolta riguarda la compatibilità del tasso fissato dallo statuto qualora venga oltrepassato il limite degli interessi usurari previsto dalla legge n. 108 del 1996.

Nei motivi di ricorso, infatti, si sosteneva che i criteri fissati dalla legge per la determinazione del carattere usurario degli interessi non troverebbero applicazione del caso in esame, sia perché i criteri predetti non potrebbero valere per le pattuizioni anteriori all'entrata in vigore della stessa legge, sia perché quanto stabilità dalla legge 180/96 non varrebbe per obbligazioni che non traggono origine da un rapporto in cui non è identificabile una causa di finanziamento.

Quote condominiali: no al sollecito di pagamento presso il datore di lavoro

Sentenza
Scarica Corte di Cassazione, sez. II Civile, 5 marzo - 30 aprile 2013, n. 10196
  1. in evidenza

Dello stesso argomento