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Il cane sporca la biancheria del vicino? Nessun reato per il proprietario

Un condomino era accusato di non aver impedito che le deiezioni del proprio cane sporcassero la biancheria stesa ad asciugare nel sottostante balcone.
Avv.to Maurizio Tarantino - Foro di Bari 

La vicenda. Il Giudice di Pace di Eboli aveva assolto Tizio dal reato di danneggiamento, consistito nel non aver impedito che le deiezioni del proprio cane sporcassero la biancheria stesa ad asciugare nel sottostante balcone.

Secondo il giudice adito il fatto non era previsto dalla legge come reato per effetto dell'abrogazione disposta con Decreto Legislativo n. 7 del 2016.

Avverso tale pronuncia, il Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Salerno ha proposto ricorso per cassazione eccependo la violazione dell'articolo 521 c.p.p. e l'erronea applicazione degli articoli 635 e 639 c.p.

Deturpamento e imbrattamento di cose altrui. La depenalizzazione del reato ex art. 635 del codice penale, avvenuta a inizio 2016, ha riformato profondamente la concezione dell'illecito.

Il cosiddetto "danneggiamento semplice" non è più reato penale, eccezion fatta per alcuni casi previsti dalla legge.

Premesso ciò, il primo comma dell'art. 639 c.p. prevede che "Chiunque, fuori dei casi preveduti dall'articolo 635, deturpa o imbratta cose mobili altrui e? punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a euro 103".

La norma in esame condivide il reato di danneggiamento ex art. 635 l'oggettività giuridica, nonché la medesima menomazione della sfera patrimoniale dell'offeso, sebbene in termini molto più lievi.

Infatti il reato ivi perseguito risulta integrato solo qualora si verifichi un danno estetico facilmente e radicalmente eliminabile, non quindi permanente, diversamente si avrebbe il delitto di danneggiamento.

Il legislatore ha qui voluto garantire copertura penale alle ipotesi in cui risulta leso il decoro del patrimonio sia mobiliare sia immobiliare.

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Il ragionamento della Corte di Cassazione. A parere dei giudici di legittimità, poichè l'"abolitio criminis" espunge dall'ordinamento la norma incriminatrice penale, ogni giudice che sia formalmente investito della cognizione sulla fattispecie oggetto di abrogazione "ha il compito di dichiarare, ex art. 129, comma primo, c.p.p.., che il fatto non è previsto dalla legge come reato, in ossequio al precetto di cui all'art. 2, comma secondo, c.p., per il quale nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato". Difatti, una volta venuto meno l'oggetto sostanziale del rapporto processuale penale, tale declaratoria è necessariamente pregiudiziale rispetto a ogni altro accertamento che implichi, invece, la formale permanenza di una "res judicanda" (Cass., n. 356/1999).

In conclusione, per la Cassazione la depenalizzazione del reato di danneggiamento "salva" l'imputato dall'incriminazione e impedisce al giudice di riqualificare la fattispecie in un diverso reato.

Per tali motivi "va assolto dal reato di danneggiamento il padrone che, per dispetto, lascia che il suo cane sporchi, con urine e feci, la biancheria del vicino sottostante.

Decisiva per l'assoluzione l'intervenuta depenalizzazione del reato avvenuta a seguito del d.lgs. 7/2016 che impone al giudice la declaratoria ex art. 129 primo comma, c.p.p., impedendogli di riqualificare la fattispecie in un diverso reato quale quello di cui all'art. 639 c.p)". Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione Penale con la sentenza del 26 marzo 2018, n. 13970.

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Sentenza
Scarica Corte di Cassazione Penale con la del 26 marzo 2018, n. 13970
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