Condominio Web: Il portale N.1 sul condominio
Iscriviti alla
Newsletter
chiudi
Inviaci un quesito

Art. 71 -quater disp. att. c.c. - L'obbligatorietà della mediazione in materia condominiale

Art. 71 -quater disp. att. c.c.
 

Art. 71 -quater disp. att. c.c. -

Per controversie in materia di condominio, ai sensi dell'articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, si intendono quelle derivanti dalla violazione o dall'errata applicazione delle disposizioni del libro III, titolo VII, capo II, del codice e degli articoli da 61 a 72 delle presenti disposizioni per l'attuazione del codice.
La domanda di mediazione deve essere presentata, a pena di inammissibilità, presso un organismo di mediazione ubicato nella circoscrizione del tribunale nella quale il condominio è situato.
Al procedimento è legittimato a partecipare l'amministratore, previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all'articolo 1136, secondo comma, del codice.
Se i termini di comparizione davanti al mediatore non consentono di assumere la delibera di cui al terzo comma, il mediatore dispone, su istanza del condominio, idonea proroga della prima comparizione.
La proposta di mediazione deve essere approvata dall'assemblea con la maggioranza di cui all'articolo 1136, secondo comma, del codice. Se non si raggiunge la predetta maggioranza, la proposta si deve intendere non accettata.
Il mediatore fissa il termine per la proposta di conciliazione di cui all'articolo 11 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, tenendo conto della necessità per l'amministratore di munirsi della delibera assembleare.

La riforma della materia condominiale del 2012 ha tenuto conto della normativa citata nel paragrafo precedente, introducendo l'art. 71-quater disp. att. c.c., che prevede, in particolare:

  • la presentazione della domanda di mediazione, a pena di inammissibilità, presso un organismo ubicato nella circoscrizione del Tribunale nel quale è situato il condominio;
  • la legittimazione dell'amministratore alla partecipazione al procedimento di mediazione, previa delibera assembleare adottata a maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio (art. 1136, comma 2, c.c.);
  • la possibilità di proroga della prima comparizione, su istanza del condominio, se i termini di comparizione davanti al mediatore non sono compatibili con i tempi necessari all'adozione della delibera sopra citata;
  • la necessità del voto favorevole rappresentativo della maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio per l'approvazione della proposta di mediazione; in caso contrario, detta proposta si intende rifiutata;
  • l'obbligo per il mediatore di fissare il termine per la proposta di conciliazione tenendo conto della necessità dell'amministratore di munirsi della delibera prevista.

Sancendo il carattere obbligatorio della mediazione per controversie in materia di condominio, l'esperimento del relativo tentativo diventa quindi condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

I poteri dell'amministratore di condominio in sede conciliativa

Come si è rilevato, la legge attribuisce la legittimazione processuale attiva e passiva in sede giudiziale all'amministratore, inteso quale mandatario con rappresentanza. È pertanto presumibile che la partecipazione del condominio al procedimento di mediazione avvenga, nella maggior parte dei casi, attraverso tale soggetto.

Anche in tal caso, al fine di delimitare i poteri dell'amministratore nell'attivazione del procedimento di mediazione innanzi agli organismi di conciliazione, dovrà tenersi conto della diversa articolazione della rappresentanza processuale a lui conferita a seconda che si tratti di materie che rientrino o esorbitino dalle sue attribuzioni, o che si verta in tema di legittimazione passiva.

Da tali considerazioni deriva che:

  • nel caso in cui il condominio sia parte attiva della mediazione e la controversia rientri nelle attribuzioni dell'amministratore di cui all'art. 1130 c.c. (o in quelle previste dal regolamento di condominio o attribuite dall'assemblea), l'amministratore potrà proporre in via autonoma l'istanza di mediazione senza autorizzazione assembleare;
  • nell'ipotesi in cui l'oggetto della lite sia escluso dalle attribuzioni dell'amministratore, egli non potrà prescindere da una previa autorizzazione dell'assemblea per proporre l'istanza di mediazione;
  • nel diverso caso in cui, invece, il condominio sia invitato alla conciliazione, l'amministratore dovrà necessariamente ottenere una deliberazione dell'assemblea.

Non si può comunque non tenere conto della circostanza che, in questa fase, l'amministratore si limita a porre in essere delle mere trattative prive di effetti dispositivi, sicché appare ragionevole sostenere che l'amministratore possa partecipare liberamente ed in ogni caso alla mediazione almeno fino al momento dell'accordo.

Molto dipenderà, in realtà, dal contenuto concreto della delibera con la quale l'assemblea, messa al corrente del contrasto insorto, conferisca all'amministratore delega a gestire la controversia medesima: ove la delega sia - come accade normalmente - di gestire «nel modo migliore» la questione, l'amministratore potrà decidere autonomamente il contenuto della eventuale conciliazione della lite, sottoscrivendo di conseguenza l'accordo conciliativo.

Al contrario, nell'eventualità in cui l'assemblea deleghi l'amministratore di condominio alla proposizione dell'istanza di mediazione, riservandosi però ogni decisione in ordine ai contenuti dell'eventuale accordo, l'amministratore non potrà prescindere dall'ottenimento di un'esplicita autorizzazione dell'assemblea al fine di procedere alla sottoscrizione dell'accordo medesimo.

Le maggioranze assembleari necessarie alla conciliazione

Con quali maggioranze va approvato l'accordo conclusivo di un tentativo di mediazione?
La risposta a tale quesito impone una distinzione in base al contenuto specifico dell'accordo medesimo:

  • nel caso in cui la conciliazione preveda soltanto una regolamentazione tra le parti di aspetti meramente economici - qual è il caso del riparto di spese condominiali, il pagamento di prestazioni eseguite da fornitori, rapporti economici con il precedente amministratore - può ritenersi ammissibile un'approvazione a maggioranza (DITTA, Le transazioni approvate dal condominio, in Consulente immobiliare, 30 dicembre 2006, 2420);
  • sarà necessaria una maggioranza qualificata se l'accordo ha per oggetto lavori condominiali di rilevante entità, ossia eccedenti l'ordinaria amministrazione, oppure la modifica delle tabelle millesimali per errori di calcolo o per le mutazioni delle cubature dell'immobile (PONTANARI, Condominio: stop alle liti, arriva la mediazione, in Immobili24, 21.03.2012);
  • nell'eventualità in cui l'accordo conciliativo abbia ad oggetto un atto dispositivo di parti comuni dell'edificio, la giurisprudenza maggioritaria ha stabilito che è necessario il consenso unanime di tutti i partecipanti (Cass. civ., 24 febbraio 2006, n. 4258).

La decadenza e la sospensione dell'efficacia della deliberazione assembleare

L'art. 5, comma 6, del d. lgs. n. 28/2010 prevede che «dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all'art. 11 presso la segreteria dell'organismo».

La procedura di mediazione dovrà quindi essere avviata nel termine di decadenza di cui all'art. 1137 - il cui comma 2, nuovo testo, prevede che l'impugnazione della delibera assembleare (per i solo vizi di annullabilità) debba essere proposta entro trenta giorni, decorrenti dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti.

L'interruzione del termine di decadenza, pertanto, in base alla suddetta norma, potrà derivare soltanto dalla comunicazione della fissazione del primo incontro innanzi all'organismo di mediazione, sebbene tale fissazione non costituisca un adempimento della parte bensì dell'organismo, che potrebbe ritardare non poco l'attività di comunicazione nei confronti della parte invitata, con grave detrimento della parte proponente.

La sospensione dell'efficacia della delibera condominiale rappresenta un altro profilo rilevante in materia posto che la relativa istanza, nella maggior parte dei casi, viene formulata contestualmente all'impugnazione della deliberazione: in considerazione del carattere cautelare dell'istanza di sospensione si deve propendere, nel caso in esame, per l'inapplicabilità del tentativo obbligatorio di conciliazione che dovrà, pertanto, essere esperito soltanto all'esito del provvedimento giudiziale sull'esecutorietà della deliberazione condominiale.

Il giudice, pertanto, dopo l'emissione del detto provvedimento, rimetterà le parti al procedimento di mediazione fissando l'udienza dinanzi a sé dopo la scadenza del termine di tre mesi (e non più quattro, come da innovazione introdotta dal cd. Decreto Fare), previsto per l'espletamento del tentativo di conciliazione.

Il complicato percorso della mediazione obbligatoria: dalla bocciatura della Consulta alla sua reintroduzione ad opera del Decreto "Fare"

L'obbligatorietà del tentativo di mediazione è stata oggetto di un percorso piuttosto complicato. Proviamo a ripercorrerne i passaggi.

1) L'intero impianto normativo del D.Lgs. n. 28/2010 veniva sottoposto al vaglio della Consulta, la quale, con un scarno comunicato del 24 ottobre 2012, ne dichiarava «l'illegittimità costituzionale, per eccesso di delega legislativa, del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28 nella parte in cui ha previsto il carattere obbligatorio della mediazione».

2) Da quel momento si susseguivano sforzi frettolosi e, al vero anche un po' disordinati, dentro e fuori dal Parlamento, al fine di "salvare" la mediazione obbligatoria, oltretutto nella più totale oscurità delle motivazioni che avevano indotto la Corte costituzionale a privare quasi completamente di operatività l'istituto.

3) Tuttavia, nonostante i tentativi di riavvicinamento tra organismi di mediazione e avvocatura (riduzione delle materie che prevedevano la mediazione civile come condizione di procedibilità, con esclusione, in particolare, di quelle più "problematiche", quali la diffamazione mezzo stampa, le dispute familiari e quelle ereditarie; dimezzamento dei tempi del processo di mediazione, ridotto a 60 giorni dai 120 precedenti, e anticipato, per il primo colloquio, al massimo di un mese di attesa, rispetto ai quattro inizialmente previsti; riduzione del periodo di prova dell'obbligatorietà di due anni, dal 31 dicembre 2017 come termine ultimo, alla fine del 2015), il Senato dichiarava definitivamente inammissibile anche l'ultimo emendamento.

4) Essendo la decisione della Consulta intervenuta in un momento precedente all'approvazione definitiva, da parte del Senato, del disegno di riforma della disciplina condominiale allora ancora in discussione, si era ritenuto che il Riformatore modificasse la norma di cui all'art. 71-quater; la Commissione Giustizia del Senato in sede deliberante riproponeva tuttavia l'obbligatorietà del ricorso alla mediazione, nella materia condominiale tra le altre di cui all'art. 5, comma 1, del D.Lgs. 28/2010, nel testo dell'art. 71-quater.

5) Con la sentenza 6 dicembre 2012, n. 272, la Corte Costituzionale ribadiva l'illegittimità costituzionale dell'articolo 5, comma 1, del d.lgs. n. 28/2010, rimarcando in particolare la configurabilità dell'eccesso di delega in relazione al carattere obbligatorio dell'istituto di conciliazione e alla conseguente strutturazione della relativa procedura come condizione di procedibilità della domanda giudiziale: «Tale vizio non potrebbe essere superato considerando la norma introdotta dal legislatore delegato come un coerente sviluppo e completamento delle scelte espresse dal delegante, perché […] in realtà con il censurato art. 5, comma 1, si è posto in essere un istituto (la mediazione obbligatoria in relazione alle controversie nella norma stessa elencate) che non soltanto è privo di riferimenti ai principi e criteri della delega ma […] contrasta con la concezione della mediazione come imposta dalla normativa delegata»; e nega che possa valere il riferimento al tentativo obbligatorio di conciliazione nel rito del lavoro oggetto della n. decisione 276/2000, giudicato al contrario legittimo: in quella ipotesi, infatti, «la previsione dell'obbligatorietà, nel quadro delle "misure organizzative e processuali anche di carattere generale atte a prevenire disfunzioni dovute al sovraccarico del contenzioso" (art. 11, comma 4, lettera g, della norma di delega) non appariva come un novum avulso da questa, ma costituiva piuttosto il coerente sviluppo di un principio già presente nello specifico settore […] La fattispecie qui in esame è, invece, diversa: a parte la differenza di contesto, essa delinea un istituto a carattere generale, destinato ad operare per un numero consistente di controversie, in relazione alle quali, però, alla stregua delle considerazioni sopra svolte, il carattere dell'obbligatorietà per la mediazione non trova alcun ancoraggio nella legge delega».

E così concludeva: «Infine, quanto alla finalità ispiratrice del detto istituto, consistente nell'esigenza di individuare misure alternative per la definizione delle controversie civili e commerciali, anche al fine di ridurre il contenzioso gravante sui giudici professionali, va rilevato che il carattere obbligatorio della mediazione non è intrinseco alla sua ratio, come agevolmente si desume dalla previsione di altri moduli procedimentali (facoltativi o disposti su invito del giudice), del pari ritenuti idonei a perseguire effetti deflattivi e quindi volti a semplificare e migliorare l'accesso alla giustizia». Diventava dunque auspicabile che alla pronuncia seguisse un nuovo confronto, costruttivo, aperto a nuove forme di soluzione delle controversie negoziali, seriamente deflattive del contenzioso giudiziario.

6) Tra le varie misure adottate dal Governo all'interno del cd. "Decreto Fare" (d.l. 21 giugno 2013, n. 69, recante Disposizioni per il rilancio dell'economia) è stata ricompresa anche la reintroduzione della mediazione obbligatoria.

Il decreto ripristina infatti le disposizioni dichiarate incostituzionali dalla Consulta ed introduce nuove disposizioni che, in parte, riscrivono i caratteri morfologici dell'istituto.

Di seguito le principali novità:

  1. Mediazione delegata: il giudice deciso a far espletare alle parti un tentativo di mediazione non deve più raccogliere il loro consenso, ma rimetterle direttamente dinanzi ai mediatori, indicato l'organismo di mediazione. In questo caso, la mediazione diventa condizione di procedibilità della domanda.
  2. Conciliazione e/o transazione processuale: l'art. 77 del Decreto in esame ha introdotto l'art. 185-bis c.p.c., ai sensi del quale il giudice, alla prima udienza, ovvero sino a quando è esaurita l'istruzione, deve formulare alle parti una proposta transattiva o conciliativa. Il rifiuto della proposta transattiva o conciliativa del giudice, senza giustificato motivo, costituisce comportamento valutabile dal giudice ai fini del giudizio.
  3. Casi di non applicazione: la mediazione viene esclusa nei casi di cui all'art. 696-bis c.p.c. (consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite).
  4. Procedura: il mediatore, prima di procedere al tentativo di mediazione, fissa un primo incontro di programmazione, in cui verifica con le parti la mediabilità della lite.
  5. Durata: il procedimento di mediazione ha una durata non superiore a tre mesi (in luogo dei quattro medi previsti originariamente).
  6. Costi: in caso di mancato accordo vengono ridotte le indennità per il procedimento rispettivamente:
    • 80 euro, per le liti di valore sino a 1.000 euro;
    • 120 euro, per le liti di valore sino a 10.000 euro;
    • 200 euro, per le liti di valore sino a 50.000 euro;
    • 250 euro, per le liti di valore superiore.
  7. Mediatori: tutti gli avvocati sono di diritto mediatori (resta l'obbligatorietà dell'aggiornamento e del tirocinio biennale).
  8. Assistenza necessaria dell'avvocato: il verbale di accordo raggiunto davanti ai mediatori, per essere omologato, deve essere sottoscritto dagli avvocati che assistono tutte le parti.
  9. Sinistri stradali esclusi dalla mediazione obbligatoria: il nuovo art. 5, comma 1, non include più le controversie in materia di danno derivante dalla circolazione di veicoli o natanti tra quelle per le quali la mediazione è condizione di procedibilità.
  10. Condominio: l'obbligatorietà della mediazione in materia di condominio è l'unica che, salvo modifiche in sede di conversione, sconterà la competenza territoriale (si ricorda che la l. n. 220/2012 ha infatti previsto che, in materia di condominio, il tentativo di mediazione debba essere intrapreso a pena d'inammissibilità presso un organismo avente sede nella circoscrizione del Tribunale dove è situato il condominio).

  1. in evidenza

Dello stesso argomento