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Riserva di acquisto a favore degli altri condòmini

Vendita appartamento in condominio e prelazione.
Avv. Alessandro Gallucci 

Ci scrive un nostro lettore: "Ho deciso di vendere l'appartamento in cui vivo perché devo cambiare città. Un mio vicino, venuto a conoscenza della notizia, mi ha detto di essere interessato all'acquisto. Io, naturalmente, non ho detto no, ma gli ho fatto capire che avevo già altre trattative.

Lui mi ha detto che nel nostro condominio c'è la regola che in caso di vendita i primi che hanno diritto ad acquistare sono gli altri condòmini. E' possibile una cosa del genere? Come posso verificarla?"

Al riguardo bisogna guardare al così detto diritto di prelazione o all'opzione di acquisto.

Il primo non è specificamente disciplinato dal codice civile e quindi rinviene la propria legittimazione nell'art. 1322 c.c., rubricato Autonomia contrattuale, a mente del quale:

Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge (e dalle norme corporative).

Le parti possono anche concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico.

Sulla base di questa norma di chiusura si considerano legittimi tutti quei contratti e quegli accordi contrattuali non espressamente disciplinati dal codice civile: così accade con il così detto diritto di prelazione.

Con esso le parti dell'accordo - che secondo la dottrina dominante a mero valore obbligatorio e non può essere opposto a terzi - stabiliscono, ad esempio, che nel caso di compravendita determinati soggetti (gli altri condòmini) hanno diritto di prelazione su quel bene.

La natura obbligatoria dell'accordo fa sì che lo stesso non produca effetto verso un terzo acquirente, ma al massimo comporti per il venditore un inadempimento contrattuale con obbligo di risarcimento del danno.

Il suddetto accordo - che vale esclusivamente tra chi lo sottoscrive - deve essere contenuto in un contratto o nel regolamento condominiale contrattuale.

Anche se contenuto in atto trascritto, esso mantiene efficacia meramente obbligatoria, salvo il caso in cui l'accordo complessivo non possa essere configurato alla stregua di un onere reale, la cui trascrittibilità è comunque non unanimemente accettata.

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Esiste poi la così detta opzione. Essa è disciplinata dall'art. 1331 c.c. che recita:

Quando le parti convengono che una di esse rimanga vincolata alla propria dichiarazione e l'altra abbia facoltà di accettarla o meno, la dichiarazione della prima si considera quale proposta irrevocabile per gli effetti previsti dall'art. 1329.

Se per l'accettazione non è stato fissato un termine, questo può essere stabilito dal giudice.

Il patto di opzione, si diceva, può prendere la forma di opzione di vendita.

In questo caso il venditore concede all'acquirente (potenziali acquirenti, in questo caso, cioè i condòmini), il diritto di esercitare l'opzione di acquisto di un bene. Solitamente l'accordo prevede anche condizioni, termini e limiti per l'esercizio del diritto di opzione.

Anch'esso al pari della prelazione ha meri effetti obbligatori e non può essere opposta a terzi, salvo azione risarcitoria da parte del così detto opzionario (colui che non ha potuto esercitare l'opzione).

Il nostro lettore, quindi, per capire se il suo vicino ha ragione, dovrà rintracciare negli atti d'acquisto o nel regolamento contrattuale clausole di questo genere.

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