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Toglie le chiavi dalla porta, nessun reato di esercizio arbitrario

Togliere le chiavi della porta per impedire il passaggio. Quando si tratta di reato di esercizio arbitrario?
Avv. Alessandro Gallucci 

In tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose, reato previsto e punito dall'art. 393 del codice penale, non integra violazione di tale norma la condotta che si sostanzia nella sottrazione di una chiave dalla serratura che ha quale effetto l'impedimento del passaggio da quella porta di altre persone, anche se queste prima vi passavano abitualmente.

Questa, in estrema sintesi, la conclusione cui è giunta la Suprema Corte di Cassazione, sesta sezione penale, con la sentenza n. 53950 depositata in cancelleria il 20 dicembre 2016 (udienza 3 novembre 2016).

Non chiudete quella porta!

Tutto parte dalla denuncia di una persona verso sua sorella: quest'ultima avrebbe sottratto dalla serratura di una porta, antistante un vano di sua proprietà, la chiave che ne consentiva l'apertura e quindi il transito alla querelante per accedere ad un vano cantina di sua proprietà.

Secondo quest'ultima tale condotta integrava gli estremi del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose. I giudici di merito gli davano ragione, in particolar modo, per quanto qui d'interesse, i giudici di appello, la cui sentenza di condanna è stata oggetto d'impugnativa in Cassazione.

Gli ermellini, chiamati a valutare la questione, si sono dimostrati di altro avviso.

Innanzitutto, evidenzia la ricorrente trovando accoglimento questa sua ragione nella sentenza n. 53950, non v'era prova che fosse stata la stessa ad asportare la chiave dalla porta: il condominio nel quale vivevano le due sorelle, infatti, non era abitati solamente da loro due.

In più, si lamenta l'imputata (poi assolta), non v'erano segni sulla serratura di una rimozione violenta che avesse causato danno alla porta stessa.

Non solo: secondo i giudici di Cassazione, la sentenza di merito aveva completamente travisato i fatti, valutando come esistenti elementi, invece, non ricorrenti. In sostanza la sentenza d'appello per motivare l'integrazione del reato in esame aveva considerato esistenza una servitù di passaggio a favore della querelante, o meglio a vantaggio del suo fondo, così come previsto dall'art. 1027 c.c.

I fatti di causa, invece, secondo i giudici di legittimità avrebbero dovuto portare a considerare il passaggio tramite la porta come un mero atto di cortesia annoverabile tra i così detti atti di tolleranza.

La Cassazione ricorda che sono atti di tolleranza quelli che sono caratterizzati da saltuarietà e “comportano un godimento di modesta portata, incidente molto debolmente sull'esercizio del diritto da parte dell'effettivo titolare o possessore, e soprattutto traggono la loro origine da rapporti di amicizia o familiarità (o da rapporti di buon vicinato sanzionati dalla consuetudine), i quali, mentre "a priori" ingenerano e giustificano la "permissio", conducono per converso ad escludere nella valutazione "a posteriori" la presenza di una pretesa possessoria sottostante al godimento derivatone”.

Nel caso di specie questa tolleranza era sintetizzata più o meno così: passi da lì perché sei mia sorella, ma questo tuo utilizzo non ti dà alcun diritto. Così, se non esiste alcun diritto, non esiste nemmeno alcun reato se di quel comportamento si impedisce autonomamente la continuazione.

Botola di accesso al tetto comune situata in un appartamento, servitù di passaggio?

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