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Occupazione abusiva di alloggi pubblici. La Pubblica Amministrazione può ordinare lo sgombero anche in presenza dello stato di necessità

Ecco perchè lo stato di necessità indotto dalla carenza di una casa non legittima mai l'occupazione abusiva di alloggi pubblici.
Avv. Giuseppe Donato Nuzzo 

Lo stato di necessità indotto dalla carenza di una casa non legittima mai l'occupazione abusiva di alloggi pubblici. Può essere fatto valere, al più, come scriminante per evitare una condanna penale, ma non anche per opporsi ad un provvedimento di sgombero adottato dal Comune.

Parola del TAR Lazio, che con la sentenza n. 4407/2015, depositata lo scorso 20 marzo, ha confermato la legittimità dello sgombero ordinato dal Comune di Roma, anche se il destinatario del provvedimento aveva occupato l'immobile per la necessità di una casa per sè e la propria famiglia.

Il ricorrente aveva provato ad opporsi al Comune eccependo, tra l'altro, la sussistenza di uno stato di necessità derivante dalla grave emergenza abitativa. Secondo la sua difesa, egli aveva occupato l'immobile senza titolo per averlo trovato libero da persone e cose ed in stato di abbandono, provvedendo a proprie spese al suo recupero e avanzando anche richiesta di sanatoria.

In queste situazioni, si legge nel ricorso, la amministrazioni pubbliche hanno l'obbligo di favorire l'accesso all'abitazione da parte dei cittadini in stato di bisogno, anche al fine di “evitare situazioni di grave emarginazione e disagio”, considerato che la casa è “una componente essenziale dei diritti fondamentali riconosciuti ad ogni individuo per consentirgli la partecipazione piena alla società”. Occupazione abusiva parte comune: l'amministratore condominiale può agire giudizialmente

Il Giudice amministrativo, però, è di opinione diversa. Dopo aver confermato la competenza dei dirigenti comunali ad adottare provvedimenti come quello impugnato, il TAR ha respinto il ricorso affermando che lo stato di bisogno può essere valutato come scriminate in sede penale ai sensi dell'art. 54 c.p., ma in nessun caso può giustificare un'occupazione abusiva di alloggi pubblici in presenza di un provvedimento di sgombero adottato dalla pubblica amministrazione competente.

Secondo il Collegio, uno stato di necessità indotto dall'emergenza abitativa non assume alcuna rilevanza in presenza di un ordine di sgombero del Comune, atteso che lo stato di necessità non è pacificamente idoneo a legittimare la presenza dell'occupante senza titolo nell'immobile.

Lo stato di necessità invocato “può operare quale scriminante specifica rispetto alla comminatoria di eventuali misure sanzionatorie, ma non può essere, invece, utilmente invocato al precipuo fine di contrastare i provvedimenti che pacificamente non hanno alcuna finalità sanzionatoria concretizzando ed integrando esclusivamente l'esercizio del potere di autotutela spettante all'amministrazione pubblica”.

Il Tribunale amministrativo richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale in materia, secondo cui “le risposte date dall'ordinamento agli stati di bisogno anche grave consistono nell'attivazione dei servizi preordinati a fornire aiuto alle fasce meno abbienti, che possono concertarsi in sussidi economici, nella temporanea ospitalità presso strutture convenzionate o nell'assegnazione in deroga di alloggi di edilizia economica e popolare”.

I soggetti che ritengano di essere stati illegittimamente esclusi dalla fruizione degli interventi pubblici e/o dall'assegnazione degli alloggi popolari possono agire innanzi al giudice per ottenere tutela delle proprie ragioni, ma non sono in alcun modo legittimati a ricorrere a “forme illecite di autotutela quale è effettivamente l'occupazione abusiva di immobili pubblici, qualunque sia lo stato di bisogno o di necessità in cui questi versino”.

Il diritto alla casa, dunque, non legittima l'occupazione abusiva, che configura una forma di “autotutela” non ammessa dal nostro ordinamento. Del resto, le situazioni di emergenza abitativa assumono spesso il carattere della cronicità, circostanza questa che contrasta con “l'attualità del pericolo” che invece giustifica la scriminante dello stato di necessità.

Il rischio è di giustificare con eccessiva disinvoltura situazioni di occupazione abusiva che, in molti casi, durano anni.

Su quest'ultimo particolare aspetto era già intervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza n. 43078 del 15.10.2014. Occupandosi delle conseguenze penali dell'occupazione abusiva (che configura il reato di invasione di edifici ex art. 633 c.c.), la Corte ha sottolineato che “lo stato di necessità di cui all'art. 54 c.p. ricorre solo in presenza di un pericolo attuale di un danno grave alla persona” ed a sua volta “l'attualità del pericolo presuppone che, nel momento in cui l'agente agisce contra ius – al fine di evitare “un danno grave alla persona” – il pericolo sia imminente e, quindi, individuato e circoscritto nel tempo e nello spazio”

Secondo gli Ermellini, dunque, ove si giustificasse il reato di occupazione abusiva anche in presenza di situazioni non contingenziali ma croniche (come appunto quello dell'assenza di alloggio) “si opererebbe una inammissibile sostituzione del requisito dell'attualità del pericolo con quello della permanenza, alterando così il significato e la ratio della norma.

Pertanto, lo stato di necessità, nella specifica e limitata ipotesi dell'occupazione di beni altrui, può essere invocato solo per un pericolo attuale e transitorio, non certo per sopperire alla necessità di trovare un alloggio al fine di risolvere, in via definitiva, la propria esigenza abitativa”.

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