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Riforma del condominio: perché dal 18 giugno per i condomini morosi potrebbe essere (ancora) più facile non pagare?

Più facile essere morosi dopo la riforma.
Avv. Alessandro Gallucci 

In tempi di crisi che chi sulla crisi ci marcia. Nessuno sminuimento della situazione, obiettiva, di difficoltà di tantissime famiglie.

Per carità, va anche detto che si tratta di percezioni visto che i dati non sempre consentono di distinguere con precisione chi è realmente in crisi economica da chi fa finta di esserlo.

Per onestà intellettuale, però, non si può negare che molto spesso si ha la sensazione che qualcuno stia strumentalizzando la crisi; il risultato, paradossale, è che molte volte i comportamenti di qualche furfante rischiano di creare difficoltà serie ed obiettive a chi furbo non lo è.

Il discorso non vale solamente nei rapporti commerciali, dove gli insoluti sono cresciuti a dismisura, ma anche in campo condominiale.

Non è raro sentir parlare di condomini in difficoltà nei pagamenti; anche qui il discorso non è diverso rispetto a quello fatto in generale. Al fianco di situazioni di sofferenza economica reale, vi sono casi di finta difficoltà finanziaria. Insomma molto spesso se c'è vera crisi di liquidità nemmeno l'amministratore può saperlo.

In questo contesto di carattere generale, come sappiamo, proprio l'amministratore è il soggetto deputato a riscuotere i contributi dei condomini e ad erogare le spese necessarie alla gestione e conservazione delle cose comuni (artt. 1129-1130 c.c. e 63 disp. att. c.c.)

Per fare ciò, se i versamenti non avvengono in modo spontaneo, il mandatario della compagine può iniziare un'azione legale, che, dopo il (non sempre necessario) tentativo di recupero stragiudiziale del credito, può culminare nel famigerato decreto ingiuntivo condominiale.

L'art. 63, primo comma, disp. att. c.c. recita: per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea, l'amministratore può ottenere decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante opposizione.

Nella sua versione applicabile dopo l'entrata in vigore della riforma del condominio (dopo il 18 giugno), lo stesso comma reciterà: Per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea, l'amministratore, senza bisogno di autorizzazione di questa, può ottenere un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante opposizione, ed è tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condomini morosi.

Vale la pena ricordare che lo stato di ripartizione di cui parla la norma, sulla base di quanto specificato dalla giurisprudenza, può essere anche quello preventivo (oltre che quello consuntivo).

Secondo la Cassazione, infatti, rappresenta un principio basilare al fine di garantire la corretta gestione del condominio, quello "che consente all'amministratore di riscuotere le quote degli oneri in forza di un bilancio preventivo, sino a quando questo non sia sostituito dal consuntivo regolarmente approvato" (Cass. 29 settembre 2008 n. 24299).

Questa norma, chiaramente, va letta sempre nel complessivo ambito dei doveri dell'amministratore; in buona sostanza s'è vero che l'ultimo preventivo approvato è sempre valido ai fini della richiesta di pagamento, è altrettanto vero che ciò non legittima l'amministratore a non presentare i conti della propria gestione nei termini indicati dalla legge (dopo la riforma entro 6 mesi dalla data di chiusura dell'esercizio).

Ciò detto, per entrare ancora più nel dettaglio, vale la pena domandarsi: entro quanto tempo dalla manifestazione conclamata dello stato di morosità (che solitamente si ha dopo l'infruttuoso invio di un sollecito di pagamento), l'amministratore deve adire le vie legali?

La legge attuale non dice nulla se non che l'art. 63 disp. att. c.c. è inderogabile: insomma nessuno regolamento, nemmeno quello di natura contrattuale (art. 72 disp. att. c.c.), può limitare il potere conferito dall'articolo appena citato.

In questo contesto, secondo la Cassazione, "l'amministratore di un condominio è legittimato ad agire, e a chiedere il decreto ingiuntivo previsto dall'art. 63 delle disposizioni di attuazione del codice civile, contro il condomino moroso per il recupero degli oneri condominiali, una volta che l'ass emblea abbia deliberato sulla loro ripartizione, nonostante la mancanza dell'autorizzazione a stare in giudizio rilasciata dall'assemblea condominiale; e poiché la fonte di tale potere è la approvazione assembleare del piano di ripartizione, non v'è ragione di distinguere tra oneri condominiali relativi a spese ordinarie e spese straordinarie" (così Cass. 9 dicembre 2005 n. 27292).

Insomma approvato il piano di riparto e constatata la morosità del condomino l'amministratore può agire per ottenere ingiunzione di pagamento. Vale la pena porre l'accento su un fatto. L'obbligo di pagare le spese condominiali è previsto dalla legge (cfr. Cass. 18 aprile 2003 n. 6323) e viene ad essere precisamente quantificato nel suo ammontare con l'approvazione del preventivo, prima, e del consuntivo, poi.

Atti che devono essere inviati al condomino, il quale ha diritto a concorrere alla loro approvazione.

Insomma se ogni cosa è fatta secondo legge (comunicazioni dell'avviso di convocazione, ecc.) in linea teorica non sarebbe necessaria alcuna lettera di messa in mora.

Ciò vuol dire che è il condomino a doversi essere parte diligente e, quindi, pagare le spese condominiali nei tempi previsti al momento dell'approvazione dei piani di riparto o dal regolamento (se nulla è previsto vale la ripartizione mensile o bimestrale o trimestrale, ecc. contenuta nel riparto medesimo) e non l'amministratore a doverglielo ricordare con solleciti di vario genere.

Spesso si evita di ricorrere ad utilizzare lo strumento del decreto ingiuntivo perché, come si suole dire, la spesa non vale l'impresa. Un'ingiunzione per poche decine o centinaia di euro, a fronte di un condomino che, oltre all'appartamento, non ha nulla, spesso consigliano di pazientare ed attendere il pagamento volontario se non addirittura di rinunciare.

E'chiaro che in questo caso la decisione dev'essere presa attraverso un accordo tra tutti i condomini, eccezion fatta che il moroso, e non dall'amministratore.

La cosa, ce ne rendiamo conto, fa irritare particolarmente se si pensa che molto spesso alcuni condomini sono nullatenenti solo per modo di dire oppure restano costantemente morosi di poche decine di euro proprio per "far dispetto" all'amministratore ed ai propri vicini.

Insomma essere morosi, paradossalmente, può risultare conveniente: una pizza ed una birra in più ed una rata condominiale in meno senza correre grandi rischi.

Recupero crediti condominiali e responsabilità dell'amministratore

Questo l'attuale stato dell'arte.

A partire dal 18 giugno, data di entrata in vigore della riforma, la situazione cambierà. L'uso malizioso delle nuove norme potrebbe portare ad una situazione ancor più paradossale di quella fin'ora descritta.

Vediamo perché.

L'art. 63 delle disposizioni di attuazione del codice civile, l'abbiamo visto in precedenza resterà invariato. Il Legislatore della riforma, nel riscrivere l'art. 1129 del codice civile, ha inserito il nono comma che recita:

Salvo che sia stato espressamente dispensato dall'assemblea, l'amministratore è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell'esercizio nel quale il credito esigibile è compreso, anche ai sensi dell'articolo 63, primo comma, delle disposizioni per l'attuazione del presente codice.

All'apparenza sembrerebbe addirittura una norma anti-morosi. Massimo 6 mesi dalla chiusura dell'esercizio e l'amministratore deve attivarsi per recuperare il credito. Non solamente con l'azione per decreto ingiuntivo ma addirittura con un'ordinaria citazione se quella ex art. 63 disp. att. c.c. non è esperibile.

Un esempio chiarità la portata della norma. Si pensi al caso in cui non è stato approvato il rendiconto consuntivo ed il condomino abbia versato tutte le somme previste a suo carico nel piano di riparto preventivo, salvo rendersi "uccel di bosco" davanti ad alcune spese per interveti urgenti.

In questi casi il preventivo non conta nulla e senza l'approvazione del piano di riparto il decreto ingiuntivo non è ottenibile.

Al Legislatore della riforma poco importa: entro 6 mesi dalla chiusura dell'esercizio, l'amministratore dev'essersi attivato per recuperare quelle somme.

Insomma se l'esercizio si chiude, come solitamente accade, il 31 dicembre, l'azione legale dev'essere iniziata entro il successivo 30 giugno.

A questo punto molti diranno: dove sta la norma che favorisce i morosi?

A pensar male si fa peccato ma a volte s'azzecca, diceva qualcuno.

L'appiglio normativo per i morosi sta nell'inciso iniziale del nono comma dell'art. 1129 c.c.; quel "salvo che sia stato espressamente dispensato dall'assemblea" schiude un mondo di possibili vincoli, pro-furbi, al recupero del credito.

Le ragioni di questo allarme stanno soprattutto nei quorum deliberativi particolarmente bassi. Non si dice con quali maggioranze l'assemblea potrà dire all'amministratore "sei dispensato ad agire entro sei mesi". Ed allora? Allora si applicheranno i criteri generali per cui:

a) in prima convocazione sarà necessario con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio;

b) in seconda convocazione sarà necessario e sufficiente il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell'edificio.

Per il recupero dei crediti degli amministratori di condominio si passa prima dalla mediazione.

Ricordiamo che a partire dal 18 giugno 2013, ai sensi del nuovo terzo comma dell'art. 1136 c.c., "l'assemblea in seconda convocazione è regolarmente costituita con l'intervento di tanti condomini che rappresentino almeno un terzo del valore dell'intero edificio e un terzo dei partecipanti al condominio.

Soffermiamoci proprio su questo caso perché, per prassi, le assemblee si svolgono quasi sempre in seconda convocazione e soprattutto perché è in questa sede che i morosi possono imporre le proprie "ragioni".

L'uso dell'aggettivo sufficiente (al precedente punto b) ) non è casuale: il quorum deliberativo per la seconda convocazione è davvero basso.

Un esempio chiarirà le idee.

S'ipotizzi di avere a che fare con una compagine composta da 12 condomini.

In seconda convocazione l'assemblea sarà regolarmente costituita con la partecipazione di almeno 4 condomini che rappresentino almeno 333 millesimi. In questa sede per deliberare che "l'amministratore è dispensato dall'intraprendere l'azione legale entro 6 mesi dalla chiusura dell'esercizio" sarà sufficiente il voto favorevole di tre condomini che rappresentino 333 millesimi.

Se ci si pensa bene si comprenderà perché - soprattutto se i morosi sono proprietari di molte unità immobiliari (magari il costruttore) - queste maggioranze non sono poi così difficilmente raggiungibili.

Certo qualcuno potrebbe obiettare: quella votazione deve ritenersi invalida perché adottata da persone che votavano in palese conflitto d'interessi rispetto all'oggetto della deliberazione. Giusto ma questo vizio comporta l'annullabilità e non la nullità della delibera. Ergo: chi si sente ingiustamente (ed ha ragione!) danneggiato dovrà agire in fretta (trenta giorni che per i presenti dissenzienti e astenuti che decorrono dalla deliberazione e per gli assenti dalla comunicazione del verbale) per impugnare la delibera e (prima o dopo) chiederne la sospensione (cfr. art. 1137 c.c. nuova formulazione).

Come dire: anticipare un bel gruzzoletto per ottenere, forse e comunque dopo qualche anno, la refusione delle spese processuali.

Non pensate di poter contare sull'amministratore: se non è condomino lui non può impugnare la delibera, anzi è tenuto a rispettarle! Ma come: non è stato detto che l'azione ex art. 63 disp. att. c.c. non può essere negata nemmeno da un regolamento contrattuale (art. 72 disp. att. c.c.)? Si, non può essere negata, ma può essere disciplinata.

Come? Proprio alla luce della riforma dicendo che l'azione legale, per decreto ingiuntivo o quella ordinaria, potranno essere esperite solamente dopo 7 mesi, 8 mesi dalla chiusura dell'esercizio (o magari dell'approvazione del rendiconto) o, comunque, entro un lasso di tempo che non vanifichi gli interessi del condominio.

Giustamente a questo punto qualcuno potrebbe domandarsi: se le cose stanno così che senso ha avuto inserire questa norma che rischia di paralizzare la vita del condominio a favore dei soliti furbi?

Innanzitutto i morosi possono bloccare l'amministratore ma non i creditori del condominio; questi, prima d'ogni cosa, dovranno agire contro di loro (art. 63, secondo comma, disp. att. c.c. nella formulazione in vigore dal 18 giugno).

In secondo luogo la norma, correttamente applicata, consente di evitare accanimenti verso condomini che sono realmente in difficoltà e che con un po' di pazienza e buona volontà possono ripianare la propria posizione debitoria.

Morale della favola: come per ogni altra cosa, nel condominio che verrà (quello che vivremo a partire dal prossimo 18 giugno) la partecipazione all'assemblea e quindi alla formazione delle scelte che interessano tutti diverrà ancora più importante al fine di evitare che norme scritte per buone ragioni possano trasformarsi in strumenti messi in mano a persone scaltre che agiscono per puri fini egoistici.

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