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Gli abusi edilizi in condominio

Un breve focus sugli abusi edilizi in condominio.
Avv. Dario Balsamo 

L'ABUSO EDILIZIO: IDENTIFICAZIONE GIURIDICA

1.1 - Quando si configura

La classificazione degli interventi abusivi ed i relativi regimi sanzionatori sono contenuti nel D.P.R. n. 380/2001 (cd. Testo Unico dell'Edilizia). Tale normativa non aiuta però molto, sia perché le norme ivi contenute descrivono categorie generali (e, in quanto, tali generiche), sia perché occorre anche analizzare la normativa Regionale per valutare se tale ente ha integrato o derogato alle norme nazionali.

Ad ogni modo, l'abuso edilizio può qualificarsi come un intervento sul territorio realizzato in assenza o in difformità di una preventiva autorizzazione. Si definiscono abusivi gli interventi edilizi che non siano stati approvati dall'amministrazione attraverso i procedimenti previsti dalla legge (al di fuori dell'edilizia libera: permesso di costruire, SCIA, CIAL, etc...) o che siano stati eseguiti in difformità, totale o parziale, dal progetto presentato e approvato. Sono abusivi anche gli interventi assentiti (approvati) regolarmente ma il cui titolo sia stato, in seguito, annullato dall'Amministrazione in autotutela - tale ultima ipotesi verrà approfondita nel "Capitolo 1.2.4" -. Infine, sono altresì abusivi gli interventi il cui titolo sia stato annullato da una sentenza del Giudice Amministrativo.

1.2 - Le tipologie dell'abuso edilizio

La disciplina sanzionatoria degli abusi edilizi contempla tre fattispecie ordinate secondo la gravità dell'abuso:

  • l'ipotesi di interventi in assenza di permesso o di totale difformità;
  • l'ipotesi intermedia di variazione essenziale dal progetto approvato;
  • l'ipotesi residuale della parziale difformità da esso.

1.2.1 - Assenza o difformità totale dal permesso di costruire

È la categoria di abusi più grave ed è disciplinata dall'articolo 31 del Testo Unico dell'Edilizia. Avviene quando si realizza un'opera edilizia senza aver ottenuto il permesso di costruire, ma anche quando gli interventi effettuati sono completamente diversi da quelli autorizzati. Quest'ultima ipotesi accorre se l'opera realizzata è:

  1. integralmente diversa per caratteristiche tipologiche architettoniche ed edilizie;
  2. . integralmente diversa per caratteristiche planovolumetriche, cioè nella forma, nella collocazione e distribuzione dei volumi;
  3. . integralmente diversa per caratteristiche di utilizzazione;
  4. integralmente diversa perché comportante la costituzione di volumi nuovi ed autonomi.

1.2.2 - Variazione essenziale rispetto al progetto approvato

Questo caso, regolato dall'articolo 32 del TUE, è parificato agli interventi realizzati in assenza o totale difformità dal permesso di costruire.

Si ha variazione essenziale in presenza di una o più delle seguenti condizioni:

  1. mutamento di destinazione d'uso che implichi variazione degli standards previsti dal D.M. 2 aprile 1968;
  2. aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato;
  3. modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato, ovvero della localizzazione dell'edificio sull'area di pertinenza;
  4. mutamento delle caratteristiche dell'intervento edilizio assentite;
  5. violazione della normativa edilizia antisismica.

Le variazioni essenziali, per essere considerate regolari, devono ottenere un nuovo permesso di costruire e bisogna quindi tenere presenti i cambiamenti avvenuti nella normativa.

In Evidenza

Non bisogna confondere le variazioni essenziali con le varianti in senso proprio, quelle, cioè, che si configurano come modifiche di non rilevante consistenza rispetto al progetto approvato e che non comportano "un sostanziale e radicale mutamento del nuovo elaborato rispetto a quello oggetto di approvazione". Esse riguardano la richiesta di una variazione del titolo autorizzativo e sono soggette al rilascio di permesso in variante, complementare ed accessorio rispetto a quello principale. In questi casi vale la normativa vigente al momento del rilascio del permesso di costruire principale.

1.2.3 - Difformità parziale dal permesso di costruire

Ipotesi di abusivismo minore si riscontra nei casi di difformità parziale dal permesso di costruire, quando cioè l'intervento edilizio, regolarmente autorizzato, venga realizzato con modalità diverse da quelle previste nel progetto presentato e legittimato. L'esatta identificazione di tale tipologia è fornita dalla sentenza n. 1484/2017 pronunciata dal Consiglio di Stato: "...si configura la difformità parziale quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell'opera".

In Evidenza

Dal momento che non esiste una compiuta definizione della categoria dei lavori ed interventi eseguiti in parziale difformità, è stata introdotta una soglia di rilevanza minima al di sotto della quale le variazioni non costituiscono illecito edilizio.
Non si incorre in sanzioni in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2% delle misure progettuali. Un maggiore approfondimento della tematica verrà dedicato nel "Capitolo VI".

1.2.4 - Annullamento d'ufficio

Una particolare ipotesi di abusivismo consiste nella costruzione di un'opera tramite un titolo annullato successivamente alla sua emissione.

L'amministrazione, infatti, può tornare su una sua determinazione annullando un provvedimento adottato nell'ipotesi questo provvedimento sia illegittimo - viziato cioè da violazione di legge, eccesso di potere o incompetenza -.

Per la legittimazione di questo potere, occorre la presenza di determinati presupposti. L'art. 21 nonies della L. n. 241/1990 (articolo inserito dall'art. 14, L. 11 febbraio 2005 n. 15) stabilisce infatti: "Il provvedimento amministrativo illegittimo... può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione... e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato...".

Sono quindi quattro gli elementi che devono essere presi in considerazione per valutare la legittimità di un provvedimento di annullamento che determina l'abusività dell'intervento edilizio realizzato in forza di un regolare titolo:

a) che il titolo sia illegittimo;

b) che si riscontri un interesse pubblico alla sua eliminazione;

c) che l'eliminazione avvenga entro un termine da considerarsi ragionevole;

d) che si applichi un bilanciamento tra l'interesse pubblico all'eliminazione del provvedimento e l'interesse del soggetto che ne beneficia, in particolare dell'affidamento che ha determinato in capo allo stesso destinatario.

In Evidenza

Particolare attenzione deve prestarsi nell'ipotesi di annullamento di titoli illegittimi fondati su dichiarazioni non veritiere del privato. Difatti, se è vero in via generale che il potere della P.A. di annullare in via di autotutela un atto amministrativo illegittimo incontra un limite generale nel rispetto dei principi di buona fede, correttezza e tutela dell'affidamento comunque ingenerato dall'iniziale adozione dell'atto, è parimenti vero che le medesime esigenze di tutela non possono dirsi sussistenti qualora il contegno del privato abbia consapevolmente determinato una situazione di affidamento non legittimo. Sul punto la giurisprudenza del Consiglio di Stato è concorde nel ritenere insussistente l'esigenza di tutelare l'affidamento del soggetto che abbia ottenuto un titolo edilizio in forza di una indicazione di elementi non veritieri anche qualora intercorra un considerevole lasso di tempo fra l'abuso e l'intervento repressivo dell'amministrazione. Consiglio di Stato, Sez. IV, 12/12/2016, n. 5198.

LE OPERE REALIZZATE DAL CONDOMINO SULLE PARTI COMUNI E I POTERI DELL'ASSEMBLEA

2.1 - I limiti imposti dall'art. 1102 c.c.

L'art. 1102 c.c. afferma che: "Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto: a tal fine può apportare, a proprie spese, le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa".

Nell'esercizio del godimento delle parti comuni, quindi il singolo condominio è, in primo luogo, sottoposto, dal citato articolo, al divieto di alterare la destinazione della cosa comune. Si noti che ricorre tale situazione quando il condomino modifica le cose comuni in modo tale da rendere impossibile o, comunque, pregiudicare in modo apprezzabile la funzione originaria delle parti comuni.

2.1.1 - Le opere consentite senza il consenso dell'assemblea condominiale

Partendo dalla norma citata, il singolo condomino è quindi legittimato, entro i limiti ora ricordati, a servirsi del bene comune anche per fini esclusivamente propri, traendone ogni possibile utilità, non potendosi la nozione di "uso paritetico" intendersi in termini di assoluta identità di utilizzazione, poiché una lettura in tal senso della norma citata comporterebbe il sostanziale divieto, per ciascun condomino, di fare, della cosa comune, qualsiasi uso particolare a proprio vantaggio.

In Evidenza

Si può quindi affermare che il singolo condomino ha diritto ad ottenere il necessario titolo abilitativo per un'opera a servizio della sua abitazione e sita sul muro perimetrale comune, che si attenga ai limiti dell'art. 1102 c.c. Ne consegue che il singolo condomino ha diritto di costruire una canna fumaria lungo il muro condominiale dal lato del cortile, a maggiore ragione nel caso in cui l'opera sia diretta ad evitare, ad esempio, la diffusione dei fumi di cottura di un ristorante, che, incidono in modo notevolmente negativo sulle condizioni di vita di tutti i condomini.

Il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune, può aprire su di esso degli abbaini e delle finestre per dare aria e luce alla sua proprietà. Difatti, se realizzate a regola d'arte e tali da non pregiudicare la funzione di copertura propria del tetto né da impedire l'esercizio da parte degli altri condomini dei propri diritti sulla cosa comune, esse costituiscono soltanto modifiche e non innovazioni della cosa comune e pertanto non necessitano, come invece le innovazioni vere e proprie, della previa approvazione dell'assemblea dell'edificio in condominio ex artt. 1120 e 1336 c.c. (o, nel caso di condomini c.d. minimi, formati da due soli partecipi, della previa delibera, ex art. 1108 c.c., comma 1: cfr. Cass. n. 4721/2001 e 5914/1993).

2.1.2 - Le opere consentite previo consenso dell'assemblea condominiale

E se si eccedono i limiti indicati dall'art. 1102 c.c.?

In tale caso i lavori da eseguire su parti comuni del fabbricato condominiale qualora possono essere legittimamente eseguiti soltanto previa approvazione di tutti i condomini. Alla luce di quanto sopra è necessario richiedere il consenso degli altri condomini per le opere che il singolo intende realizzare su parti comuni quali, per esempio, la rimozione di una falda del tetto per costruire una terrazza oppure la modifica dei cavedi.

In Evidenza

Se il singolo condomino intende realizzare il manufatto nella sua proprietà, la Pubblica Amministrazione ha, nel caso specifico, il potere-dovere di verificare l'esistenza, in capo al richiedente, di un titolo idoneo di godimento dell'intero bene interessato dal progetto e di subordinare il rilascio del permesso di costruire al consenso di tutti i proprietari per la parte di intervento che interessa le parti comuni, avendo questi, nei confronti dell'atto, non la posizione di terzo, ma quella di contitolare di un diritto, che, per la parte idealmente spettante, non può essere modificata o compressa dall'Amministrazione. È pertanto illegittimo, per difetto di istruttoria e di motivazione, il permesso di esecuzione di tali opere rilasciato su istanza solo di alcuni comproprietari in quanto l'amministrazione non ha verificato l'effettiva corrispondenza tra la richiesta del permesso e la titolarità del diritto di godimento.

LE OPERE REALIZZATE DAL CONDOMINO SULLE PARTI PRIVATE. CASISTICA

3.1 - Limiti esistenti in materia

Il singolo condomino realizza su parti private (giardini, terrazze, ecc...) opere illegittime. Che fare?

In linea generale, in tale situazione, si crea un conflitto tra pubblica amministrazione e privato che non coinvolge la restante parte della collettività condominiale. Ciò premesso, bisogna sottolineare come le dette opere non possono comunque incidere sui diritti della restante parte della collettività condominiale, poiché, in tali casi, indipendentemente dalla natura abusiva o meno delle stesse, il condominio può pretendere l'eliminazione di tali manufatti se questi ledono gli interessi condominiali.

Per quanto sopra si può affermare che, ad esempio, se il proprietario esclusivo del lastrico solare, ai sensi e con le limitazioni previste dall'art. 1127 c.c., costruisce nuovi piani o nuove fabbriche in assenza della concessione edilizia, dovrà comunque corrispondere agli altri condomini l'indennità prevista da detta norma.

E ancora, si dovranno comunque considerare illegittime (anche se è stato concesso il permesso di costruire) le tettoie realizzate nella proprietà esclusiva del condomino che comportavano un danno estetico alla facciata dell'edificio condominiale: infatti le opere realizzate dal condomino nella proprietà esclusiva che comportino una lesione del decoro architettonico dell'edificio, devono considerarsi vietate ai sensi dell'art. 1122 c.c. Del pari, la realizzazione di una veranda può determinare un'alterazione della facciata del fabbricato, dando luogo a discordanze nel prospetto, modificandone l'unità stilistica e conseguentemente si deve ritenere che leda l'estetica dell'edificio ed il decoro architettonico. Tale lesione prescinde dall'eventuale concessione di un titolo abitativo da parte della Pubblica Amministrazione, dal pregio dell'edificio e dall'ambiente nel quale si trova, essendo sufficiente ad integrarla le suddette alterazioni.

In ogni caso, bisogna infine considerare se una norma del regolamento, predisposta dal costruttore ed accettata da tutti i condomini (o, comunque, votata in assemblea dalla totalità dei condomini), vieta la realizzazione di qualsiasi opera negli spazi privati, in tale caso le eventuali costruzioni fatte in violazione del regolamento, anche se legittime sotto il profilo urbanistico, dovranno essere demolite.

3.2 - Le ipotesi più frequenti:

A parere dello scrivente è utile passare in rassegna una serie di ipotesi, le più frequenti, in cui si commette l'illecito dell'abuso edilizio. Spesso, infatti, l'errato titolo autorizzativo richiesto - per scarsa conoscenza della materia - fa sì che venga integrato l'illecito in parola.

a) - Tettoia

La realizzazione di una tettoia va configurata sotto il profilo urbanistico come intervento di nuova costruzione, richiedendo quindi il permesso di costruire allorché difetti dei requisiti richiesti per le pertinenze e per gli interventi precari. Di conseguenza, il rilascio del titolo edilizio necessita della conformità dell'opera non solo alle specifiche disposizioni del Testo Unico dell'Edilizia, ma anche alle norme dallo stesso richiamate sulla disciplina urbanistica ed edilizia vigente. Tra queste ultime vanno ricomprese quelle sulle distanze contenute nel codice civile nonché quelle sulle distanze per le vedute di cui al comma 1 dell'art. 907 c.c.

In Evidenza

È necessario che la P.A. motivi analiticamente le ragioni per cui una tettoia integri o meno una copertura realizzabile in regime di edilizia libera.

Non è possibile affermare in assoluto che la tettoia richiede, o non richiede, il titolo edilizio maggiore (cioè il permesso di costruire) e assoggettarla, o non assoggettarla, alla relativa sanzione senza considerare nello specifico come essa è realizzata. In proposito, quindi, l'amministrazione ha l'onere di motivare in modo esaustivo, attraverso una corretta e completa istruttoria che rilevi esattamente le opere compiute e spieghi per quale ragione esse superano i limiti entro i quali si può trattare di una copertura realizzabile in regime di edilizia libera. Consiglio di Stato, sez. VI, 07/05/2018, n. 2715.

Non occorre permesso di costruire per la tettoia avente finalità di arredo o di riparo e protezione, anche da agenti atmosferici, dell'immobile cui essa accede. L'installazione di una tettoia apposta a parti di preesistenti edifici, in quanto struttura accessoria di protezione o di riparo di spazi liberi, può ritenersi sottratta al regime del permesso di costruire, ove la sua conformazione e le sue ridotte dimensioni ne rendano evidente e riconoscibile le finalità di arredo o di riparo e protezione, anche da agenti atmosferici, dell'immobile cui essa accede. T.A.R. Salerno, (Campania), sez. II, 13/03/2018, n. 386.

Condizioni al ricorrere delle quali una tettoia può ricadere nell'edilizia libera.

Una tettoia avente carattere di stabilità e idonea ad una utilizzazione autonoma, oltre a non poter essere considerata una mera pertinenza, non può ricadere nell'ambito dell'attività edilizia libera, costituendo un'opera esterna per la cui realizzazione occorre un idoneo titolo edilizio. Alla medesima conclusione si può addivenire anche tenendo ferma la natura pertinenziale del manufatto, considerata l'idoneità di questo ad incidere sull'assetto edilizio preesistente. T.A.R. Milano, (Lombardia), sez. II, 11/01/2018, n. 40.

b ) - Soppalco

Attualmente, il D.P.R. n. 380/2001 non prevede le c.d. "opere interne" come categoria autonoma di intervento sugli edifici. La realizzazione di un soppalco all'interno di una unità immobiliare, attraverso la divisione in altezza di un vano a scopo di ottenere una duplice utilizzazione abitativa, pur se non realizzi un mutamento di destinazione d'uso, costituisce intervento di ristrutturazione edilizia che richiede il permesso di costruire o, in alternativa, la denunzia di inizio dell'attività, ai sensi dell'art. 22 comma 3 del D.P.R. n. 380/2001. Tale alter natività ha provocato una incertezza legislativa, portando alla sussistenza, in tema di «opere interne», di un'opinione più «morbida» e di una più «rigida». La prima inquadra tale ipotesi nell'ambito della "ristrutturazione edilizia" ed è quindi necessaria una semplice DIA; la seconda inquadra invece tale intervento nell'ambito della "nuova costruzione", richiedendo di conseguenza il permesso di costruire.

In Evidenza

La disciplina edilizia del soppalco, ovvero dello spazio aggiuntivo che si ricava all'interno di un locale, interponendovi un solaio, non è definita in modo univoco, ma va apprezzata caso per caso, in relazione alle caratteristiche del manufatto. In linea di principio, è necessario il permesso di costruire quando il soppalco sia di dimensioni non modeste e comporti una sostanziale ristrutturazione dell'immobile preesistente, ai sensi dell'art. 3 comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001, con incremento delle superfici dell'immobile e, in prospettiva, ulteriore carico urbanistico; si rientrerà invece nell'ambito degli interventi edilizi minori, per i quali comunque il permesso di costruire non è richiesto, ove il soppalco sia tale da non incrementare la superficie dell'immobile. T.A.R. Napoli, (Campania), sez. IV, 28/03/2018, n. 1981.

... Tesi più morbida...

Se di modeste dimensioni, la realizzazione di un soppalco rientra nell'ambito del restauro o risanamento conservativo.

In linea generale, la realizzazione di un soppalco può ritenersi rientrare, per le sue limitate caratteristiche di estensione, nel concetto di restauro o risanamento conservativo solo quando sia di modeste dimensioni, avuto riguardo alla sua altezza, in modo tale da escludere la possibilità di creare un ambiente abitativo e quindi di incrementare le superfici residenziali o il carico urbanistico.

T.A.R. Roma, (Lazio), sez. II, 05/09/2017, n. 9576.

... Tesi più rigida...

La realizzazione di un soppalco è soggetto al rilascio del permesso di costruire.

La realizzazione di un soppalco integra un incremento della superficie utile, con conseguente aggravio del carico urbanistico e rientra, pertanto, nel regime del permesso di costruire. T.A.R. Napoli, (Campania), sez. II, 29/12/2017, n. 6131.

Anche la semplice realizzazione di un soppalco, pur senza modifiche volumetriche, determina un incremento della superficie utile calpestabile, con necessità di permesso di costruire e conseguente configurabilità, in difetto, del reato edilizio.

Cassazione penale, sez. III, 05/10/2016, n. 44319.

c) - Veranda

Tale ipotesi ricorre, generalmente, allorquando un balcone o un terrazzino privato viene chiuso mediante l'installazione di pannelli di vetro su un'intelaiatura metallica. La realizzazione di nuova volumetria attraverso la chiusura di un balcone non costituisce né intervento di manutenzione straordinaria e di restauro né pertinenza, ma necessita di permesso di costruire atteso che l'opera risultante da tale attività altera la sagoma dell'edificio, determina la trasformazione del volume precedente nonché crea nuovo corpo di fabbrica.

In Evidenza

La realizzazione di una veranda rappresenta un intervento di ristrutturazione e richiede, pertanto, il permesso di costruire. Ai sensi dell'art 10, comma l, lettera c), del TUE, le opere di ristrutturazione edilizia necessitano di permesso di costruire se consistenti in interventi che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e comportino, modifiche del volume o dei prospetti. Le verande realizzate sulla balconata di un appartamento, in quanto determinano una variazione planivolumetrica ed architettonica dell'immobile nel quale vengono realizzate, sono senza dubbio soggette al preventivo rilascio di permesso di costruire in quanto queste comportano la chiusura di una parte del balcone con conseguente aumento di volumetria e modifica del prospetto. Pertanto va escluso che la trasformazione di un balcone o di un terrazzo in veranda costituisca una pertinenza in senso urbanistico. La veranda integra un nuovo locale autonomamente utilizzabile il quale viene ad aggregarsi ad un preesistente organismo edilizio, per ciò solo trasformandolo in termini di sagoma, volume e superficie. Consiglio di Stato, sez. VI, 26/03/2018, n. 1893.

Gli interventi edilizi che determinano una variazione planovolumetrica e architettonica dell'immobile nel quale vengono realizzati, come le verande edificate sulla balconata di un appartamento, sono soggetti al preventivo rilascio di permesso di costruire; una veranda è da considerarsi, in senso tecnico-giuridico, un nuovo locale autonomamente utilizzabile e difetta normalmente del carattere di precarietà, trattandosi di opera destinata non a sopperire ad esigenze temporanee e contingenti con la sua successiva rimozione, ma a durare nel tempo, ampliando così il godimento dell'immobile; né rileva la natura dei materiali utilizzati per la chiusura, in quanto, anche ove realizzata con pannelli in alluminio, costituisce comunque un aumento volumetrico. T.A.R. Napoli, (Campania), sez. IV, 22/05/2017, n. 2714.

3.3 Il Caso. Accessorietà del terreno sottostante ad una proprietà privata in condominio

La Cassazione, con la sentenza 24 marzo 2015, n. 5895, ha affermato che è senz'altro possibile attribuire alla titolarità esclusiva di chi sia proprietario dell'immobile soprastante l'area allestita mediante asportazione del terreno nello spazio posto sotto il fabbricato, tenendosi conto della collocazione e della funzione del vano così creato. Spiega la Suprema Corte che, per determinare la proprietà dei locali sottostanti al piano terreno, occorre accertare dapprima se il titolo, e, cioè, l'atto costitutivo del condominio (ovvero il primo atto di trasferimento di una unità immobiliare dell'originario proprietario ad altro soggetto) non abbia attribuito ad uno dei partecipanti la titolarità esclusiva di essi, o, ancora, se questa sia stata acquisita per usucapione; altrimenti, i vani posti nel sottosuolo vanno considerati tra le parti condominiali ex art. 1117 c.c., o, rispettivamente, tra le porzioni di proprietà esclusiva, se, rispettivamente, necessari all'uso comune o destinati ad un servizio o al godimento comune, oppure idonei ad un uso individuale e specifico. La Suprema Corte ha affermato che nella vicenda decisa abbiano efficacia dirimente pure le discipline contenute nell'art. 840 c.c. (in relazione ai limiti di utilizzazione del sottosuolo) e nell'art. 934 c.c. (relativo alle opere fatte sotto il suolo), utilizzabili pure per il sottosuolo comune e per i vani sottostanti al pianterreno e posti fra i muri maestri dell'edificio, sempre che dal titolo non risulti il contrario, essendo nella fattispecie decisivo che il locale conteso fosse stato, appunto, realizzato nello spazio libero e appositamente creato, immediatamente sottostante l'appartamento dell'attore. Ai giudici di legittimità è apparsa, quindi, chiara la funzione di collegamento della cantina ricavata a seguito degli scavi con la proprietà del piano superiore, pure per la presenza nella planimetria catastale di una scala a chiocciola per il transito tra le due unità.

È possibile che un'opera abusiva sia deliberata dalla collettività condominiale?

In tema di condominio degli edifici, l'esecuzione di un'opera contrastante con le norme imperative in materia di edilizia comporta, in quanto contraria all'ordine pubblico, la nullità per illiceità dell'oggetto della delibera dell'assemblea che l'abbia disposta.

Il fenomeno è stato esaminato dalla Corte di Cassazione con la sentenza del 27 luglio 2007, n. 16641. Nel caso esaminato l'assemblea condominiale aveva autorizzato alcuni condomini a collegare ai servizi comuni (idrico - elettrico - gas - fognatura) i rispettivi locali sottotetto destinati ad uso lavanderia/sgabuzzini: tali locali, in virtù della detta delibera, potevano essere trasformate in mansarde abitabili abusive ma, dopo l'allaccio ai sevizi primari, condonabili per il mutamento di destinazione d'uso, versando i relativi oneri. Il Tribunale di S. Maria Capua Vetere, a cui un condomino che abitava nell'appartamento sottostante a detti locali si era rivolto, dichiarava la nullità della delibera favorevole all'illecito penale edilizio, escludendo che la sopravvenuta concessione in sanatoria facesse venir meno l'illegittimità della delibera, sussistente all'epoca in cui fu adottata.

Secondo la Corte di Appello invece l'autorizzazione di cui alla delibera rimuoveva un limite interno al condominio e di natura privatistica e non aveva rilevanza e portata esterna perché le opere abusive dei singoli condomini sono irrilevanti nei rapporti tra i privati. Tali considerazioni sono state decisamente contestate dalla Suprema Corte che, nel cassare la decisione del giudice di secondo grado ha precisato come qualora una delibera condominiale attivamente determini un illecito edilizio consentendo, attraverso l'autorizzazione a collegarsi ai servizi primari comuni (acqua, luce, gas, scarichi fognari, età), la trasformazione dei locali sottotetti in vani abitabili, in violazione delle norme contenute nello strumento urbanistico in vigore, simile delibera ha sostanzialmente un contenuto (ossia un fine) illecito; e, come tale, è affetta da nullità assoluta per illiceità dell'oggetto, art. 1421 c.c. ( si ricorda che questa nullità può essere fatta valere in ogni tempo da chiunque vi ha interesse e, pertanto, anche dal condomino). In tal caso, la delibera condominiale non può considerarsi valida neppure per effetto di successivo condono edilizio, perché, in base ai principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, la sua illiceità (e conseguente nullità) va verificata con riferimento alle norme edilizie in vigore nel momento della sua approvazione. In altre parole, come è stato affermato in un'ipotesi simile, tali delibere sono affette da una nullità insanabile per illiceità od impossibilità del suo oggetto.

I POTERI DI INTERVENTO DELL'AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO

Chi non ha mai visto nascere dalla sera alla mattina una veranda sul terrazzo o una sopraelevazione sul lastrico solare? E' dura per l'amministratore correre dietro gli abusi dei condomini, in particolare quelli edilizi, soprattutto quando per farli cessare non è sufficiente un'attività stragiudiziale.

Al riguardo l'art. 1117-quater, c.c., in caso di violazione delle destinazioni d'uso, indica una precisa strada da seguire: "In caso di attività che incidono negativamente e in modo sostanziale sulle destinazioni d'uso delle parti comuni, l'amministratore o i condomini, anche singolarmente, possono diffidare l'esecutore e possono chiedere la convocazione dell'assemblea per far cessare la violazione, anche mediante azioni giudiziarie".

Il predetto articolo prevede che l'amministratore o i condomini, anche singolarmente, possono diffidare l'esecutore e possono chiedere la convocazione dell'assemblea per far cessare la violazione.

Guardando attentamente l'art. 1117-quater, c.c. si può evincere che l'amministratore è tenuto a convocare l'assemblea, che dovrà poi decidere se agire giudizialmente o meno contro il condomino che sta violando una destinazione d'uso.

Ad un primo esame sembrerebbe che l'art. 1117-quater, c.c. si ponga in contrasto con l'art. 1131 co.1 c.c. in combinato disposto con l'art. 1130, co. 4, c.c. Infatti, l'art. 1130 c.c. attribuisce all'amministratore il potere di porre in essere "gli atti conservativi alle parti in comune dell'edificio" e gli conferisce altresì il potere di rappresentare in giudizio il condominio contro un condomino o contro terzi nei limiti delle sue attribuzioni.

5.1 - Come intervenire

In materia di abusi edilizi l'amministratore del condominio è legittimato ad agire in giudizio per fare rimuovere eventuali costruzioni abusive senza preventiva delibera dell'assemblea.

L'ultima giurisprudenza, pertanto, autorizza l'amministratore di condominio ad agire in prima persona sugli abusi edilizi commessi in condominio.

La denuncia di un abuso edilizio rientra, infatti, tra gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell'edificio in condominio ovvero nei poteri attribuiti all'amministratore. Infatti, ai sensi del combinato disposto dall'art. 1130, co. 1, lett. 4 e dall'art. 1131, co. 1,c.c., incombe sull'amministratore il dovere di salvaguardare gli interessi del condominio, sia nei confronti dei singoli condomini che nei confronti dei terzi, tutelando l'integrità della cosa comune ovvero agendo in giudizio per la conservazione delle parti comuni.

In Evidenza

E' pertanto legittima l'azione legale dell'amministratore, posta in essere in assenza di specifica autorizzazione assembleare, esperita nei confronti di chi ha realizzato opere edilizie abusive.

Altre tematiche da affrontare.

L'amministratore del condominio è in grado di segnalare gli abusi edilizi posti in essere dai condòmini direttamente all'Autorità Comunale?

In caso si silenzio-inadempimento, è legittimato a nominare un legale e ricorrere direttamente avanti al Giudice Amministrativo per l'adozione dei provvedimenti inibitori?

IL TAR Lazio, con sentenza dell'11 gennaio 2018, affronta le citate questioni.

L'amministratore di un condominio romano ha notificato una diffida al Comune capitolino, denunciando la realizzazione di numerosi abusi edilizi posti in essere da parte di uno dei condòmini e chiedendo l'immediato intervento per inibirne l'esecuzione.

Si trattava di opere consistenti nell'accorpamento di quattro unità immobiliari al piano terra incidenti sui muri maestri dell'edificio - effettuati senza il consenso del condominio - e del cambio di destinazione d'uso dei predetti locali, da magazzini ad attività commerciali privi di titolo idoneo autorizzativo.

Il silenzio serbato dal Comune di Roma ha spinto l'amministratore dello stabile ad impugnare l'atto di "omessa pronuncia" e a rivolgersi al Tribunale Amministrativo del Lazio.

Importante è l'argomentazione offerta sui poteri dell'amministratore in tema di abusi edilizi posti in essere dai condòmini.

Sotto tale profilo è stato riferito che, ai sensi degli articoli 1130 e 1131 codice civile tra le attribuzioni dell'Amministratore rientrano, in verità, sia il potere di compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio, sia quello di rappresentare a tal fine in giudizio il Condominio.

L'invio di una diffida all'Amministrazione (Comunale) allo scopo di sollecitarne l'esercizio dei poteri di vigilanza e controllo dell'attività edilizia e quello di repressione degli abusi incidenti sulle parti comuni, rientra tra tali poteri.

Anche la proposizione del ricorso contro il silenzio inadempimento della Pubblica Amministrazione rispetto tale richiesta, ben può ben ricomprendersi all'interno di tale ambito, riconducendosi, per l'appunto, nella cosiddetta "tutela conservativa ". Può inoltre affermarsi che, i l condominio, in quanto proprietario delle mura portanti dell'edificio - che sarebbero state interessate dall'esecuzione di lavori senza titolo, intraprese da parte del condomino -, riveste una posizione differenziata da qualsiasi altro soggetto, qualificabile nel senso che la rispettiva istanza è tale da obbligare il Comune a portare a termine il procedimento richiesto e concluderlo con un provvedimento espresso.

5.2. - Contro chi intervenire

Gli abusi edilizi commessi da un condomino devono essere contestati immediatamente da parte dell'amministratore del condominio, pena la decadenza dal diritto di chiedere l'annullamento delle autorizzazioni amministrative.

E' quanto sancito dal TAR Piemonte nella sentenza n. 1052/2017, in cui, a fronte del tipo di contestazione sollevata (edificazione in sé) e del lungo tempo trascorso dall'inizio dei lavori (risalente a più di un anno prima della proposizione del ricorso), ha deciso di risolvere la controversia effettuando un bilanciamento tra le esigenze di tutela dei terzi e il ragionevole affidamento del titolare del provvedimento favorevole circa la validità e stabilità dell'attività nelle more svolta.

Alla fine, ha prevalso la seconda tutela: siccome le opere in questione risultavano già concluse all'epoca del ricorso, esso è stato giudicato tardivo e pertanto irricevibile. Nel caso di specie, peraltro, nel tempo intercorso si erano protratte con stati di avanzamento lavori abbastanza "corposi", rispetto ai quali, addirittura, il condomino aveva avuto modo di chiedere anche una SCIA in sanatoria (pur in assenza di contestazioni, non ancora sollevate dalla stessa compagine condominiale).

Il Tar, a rinforzo, fa notare che la presenza evidente del cantiere in condominio e la tracciabilità delle opere anche dentro i verbali assembleari legittimano la preferenza espressa alla esigenza di affidamento del condomino rispetto quella, di pari rango, del condominio.

LE DIVERSE TIPOLOGIE DI SANZIONI

Il nostro ordinamento, in base all'art. 44 del Testo Unico dell'edilizia DPR 380/01, assoggetta il reato di abuso edilizio a due tipologie di sanzioni connesse tra loro:

- sanzione amministrativa edilizia, non passibile di prescrizione in quanto rivolto a rimuovere il reato permanente perpetuato verso il territorio;

- ammenda e/o reclusione penale, passibile di prescrizione. Il reato in esame, integra un illecito contravvenzionale: sotto il profilo della prescrizione le contravvenzioni si estinguono in quattro anni qualora non vi siano stati atti interruttivi del decorso del tempo o in cinque anni in presenza di uno degli atti interruttivi stabiliti dal legislatore.

5.1 - Sanzione amministrativa

Gli illeciti edilizi sono illeciti permanenti per quello che riguarda il diritto amministrativo, il che significa che l'autorità può sempre accertarle senza alcun limite di tempo. Quindi, la violazione di una norma edilizia è una violazione che permane nel tempo fino al momento in cui essa non venga rimossa oppure fino al momento in cui si ottenga una sanatoria.

Circa la differenza tra le sanzioni inflitte dal punto di vista amministrativo dobbiamo distinguere tra:

- gli interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire o con permesso concesso e successivamente annullato, in totale difformità o con variazioni essenziali, la sanzione consiste nella demolizione;

- per gli interventi, invece, eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, la sanzione consiste sempre nella demolizione ma, quando la demolizione non può essere effettuata senza creare un pregiudizio alla parte eseguita in conformità, in alternativa alla demolizione si può applicare una sanzione pecuniaria pari al doppio del costo di costruzione dell'opera realizzata in difformità, se ad uso residenziale e pari al doppio del valore venale, determinato dalla Agenzia del Territorio, per le opere ad uso diverso da quello residenziale. Sul punto, è importante rilevare che la giurisprudenza maggioritaria ritiene tale sanzione alternativa applicabile solo quando viene data una seria ed idonea dimostrazione del pregiudizio che la demolizione delle opere costruite in difformità determinerebbe sulla struttura e sull'utilizzazione del bene residuo.

- non si applica, infine, la sanzione demolitoria, quando, nei casi di parziale difformità dal titolo, si è in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2% delle misure progettuali (art. 34, co. 2-ter, Testo Unico Edilizia). Tale esclusione non opera però per gli interventi eseguiti su immobili vincolati quando siano eseguiti in difformità dalle relative autorizzazioni delle autorità di vincolo.

Deve infine segnalarsi che, in seguito all'accertamento dell'inottemperanza e al decorso del termine di novanta giorni fissato per la demolizione e la rimessa in ripristino dello stato dei luoghi vi è l'acquisizione gratuita al patrimonio del Comune dei manufatti abusivi. Tra le ultime decisioni in tal senso, si ricorda quella del Consiglio di stato con la sentenza del 27 settembre 2017 n. 4547, dove si ricorda che ai sensi dell'art. 31 del DPR 380/2001, tale acquisizione non costituisce sanzione accessoria alla demolizione, volta a colpire l'esecutore delle opere abusive, ma si configura quale sanzione autonoma che consegue all'inottemperanza all'ingiunzione di demolizione. Si segnala, inoltre, che il decreto Sblocca Italia (DL 133/2014) ha introdotto pesanti sanzioni, da 2.000 a 20mila euro, per chi non demolisce o ripristina entro il termine.

5.2 - Sanzione penale

Si è parlato sin qui di sanzioni amministrative ma va ricordato che l'abuso edilizio costituisce anche reato, imputabile, però, esclusivamente in capo a chi l'ha commesso diversamente dalla sanzione amministrativa che segue il bene su cui è stato effettuato l'abuso. Nel dettaglio, ferme le sanzioni amministrative e salvo che il fatto costituisca più grave reato, per gli abusi edilizi si applicano le seguenti sanzioni penali:

  • inosservanza delle norme, delle prescrizioni o delle modalità esecutive: ammenda fino a 10.329€;
  • esecuzione dei lavori in totale difformità o in assenza del permesso o prosecuzione dei lavori nonostante l'ordine di sospensione: arresto fino a due anni e ammenda da 5.164 a 51.645 euro;
  • lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio: arresto fino a due anni e ammenda da 15.493 a 51.645 euro;
  • interventi edilizi in zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico, ambientale, in variazione essenziale, in totale difformità o in assenza di permesso: arresto fino a due anni e ammenda da 15.493 a 51.645 euro.

5.3 - È possibile sanare l'abuso edilizio?

Ci sono diversi modi.

  1. Permesso in sanatoria Il rilascio del permesso in sanatoria è subordinato a due presupposti:
  • che la costruzione edilizia risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell'intervento, sia al momento della presentazione della domanda (c.d. "doppia conformità");
  • che il responsabile effettui il pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia.

Al fine di ottenere il permesso di costruire in sanatoria è necessario presentare apposita istanza all'ufficio comunale competente. Il dirigente o il responsabile dell'ufficio comunale dovrà pronunciarsi entro 60 giorni dalla presentazione dell'istanza e, nel caso di rigetto, sarà possibile impugnare il provvedimento (cioè contestare la decisione adottata dal soggetto pubblico) innanzi al giudice amministrativo. E' bene che la richiesta del permesso di costruire in sanatoria sia redatta da un tecnico (ad es. un geometra o un ingegnere) il quale riporterà nel documento - tra le altre indicazioni - la data in cui i lavori sono stati eseguiti e la natura degli stessi.

  1. Condono. È un atto col quale si regolarizza un abuso che per legge non potrebbe essere approvato in alcun modo. Consiste in pratica in una legge una tantum che sana ciò che per legge sarebbe insanabile.
  2. Infine vediamo l'eventualità che nell'immobile in questione sia presente un abuso ante 1967. È parere diffuso che, qualunque modifica sia automaticamente sanata, come se l'abuso non sussistesse affatto, se realizzata prima del 1967, anno in cui venne approvata la legge n. 765, nota come legge Ponte.

ABUSO EDILIZIO ED AGEVOLAZIONI FISCALI

6.1 - Quando e come le irregolarità possono far saltare le agevolazioni fiscali?

Come già analizzato nel Capitolo 1.2, il Testo unico dell'edilizia qualifica come abuso edilizio l'intervento realizzato in assenza del necessario titolo abilitativo o in totale difformità da esso, in variazione essenziale o in parziale difformità.

Per l'articolo 49 del Testo unico, gli interventi abusivi comportano la decadenza dalle relative agevolazioni fiscali in soli tre casi:

  • se le opere sono state realizzate in assenza del titolo edilizio necessario;
  • se il titolo è stato annullato;
  • se le opere contrastano con il titolo per mancato rispetto delle destinazioni d'uso e degli allineamenti indicati nei piani regolatori, con esclusione della parziale difformità che non raggiunge la soglia di cui all'articolo 34, comma 2-ter, dello stesso Testo unico. In pratica, non rileva né urbanisticamente né fiscalmente la violazione di altezze, distacchi, cubatura, superficie coperta non eccedente il 2% delle misure prescritte con riguardo alle singole unità immobiliari.

6.2 - Le detrazioni a rischio

Il profilo più rilevante è quello delle detrazioni Irpef connesse al recupero del patrimonio edilizio esistente, al bonus mobili, all'ecobonus (che si può configurare anche quale detrazione Ires utilizzabile da imprese e società) e al bonus verde del 36% che agevola la risistemazione del verde.

Tali detrazioni potranno essere recuperate dalle Entrate se gli interventi abusivi sono stati realizzati in difformità dal titolo, quanto meno in termini di variazione eccedente il 2% delle misure; oppure, se il titolo abilitativo, quando prescritto, è mancante.

In Evidenza

Un caso classico è quello dell'ampliamento abusivo dell'immobile demolito, che avrebbe dovuto essere ristrutturato nel rispetto della volumetria precedente. Per il Fisco, in coerenza alle regole dell'articolo 3 del Testo unico, l'abuso edilizio qualifica l'intero edificio come «nuova costruzione» e, in quanto tale, determina l'integrale decadenza dalle detrazioni Irpef. Viceversa, l'indebito ampliamento dell'edificio ristrutturato, ma non previamente demolito, fa venir meno i bonus relativi ai soli lavori di ampliamento (circolari Agenzia delle Entrate nr. 36/E/2007 e 39/E/2010).

Da non sottovalutare inoltre, sotto altro profilo, l'incrocio tra le norme edilizie e quelle fiscali emerge anche nel caso dell'acquisto dell'immobile con agevolazione prima casa, a cui seguano, in data successiva, opere edilizie abusive. Secondo la Cassazione, tale intervento non giustifica la decadenza dall'agevolazione, poiché, alla data di registrazione dell'atto, l'abuso non era realizzato né in carenza di titolo né in contrasto con esso (né sulla base di un titolo poi annullato): e, quindi, non si colloca in una delle tre casistiche "tipiche" di abuso edilizio fiscalmente rilevante secondo l'articolo 49 citato in precedenza.

6.3 - L'attività di edilizia libera

Un'altra ipotesi frequente è quella in cui i lavori agevolati eseguiti dal contribuente ricadono nell'attività edilizia libera. Si pensi all'installazione di un servoscala in un'abitazione monofamiliare, alla tinteggiatura dell'androne condominiale o all'installazione di un pannello solare fotovoltaico al di fuori di un centro storico. Tutte opere che non richiedono titoli abilitativi, come precisato anche dal "glossario" del DM delle Infrastrutture 2 marzo 2018. In questi casi, l'Agenzia delle Entrate ha precisato che è onere del contribuente conservare un'autocertificazione con cui attesta la data di inizio lavori e il fatto che gli interventi sono agevolabili.

In queste situazioni, l'eventuale decadenza dai bonus richiederà che, in seguito ai controlli degli uffici comunali, sia possibile "smentire" quanto autocertificato.

6.4 - Detrazioni fiscali ed istanza di sanatoria

La violazione edilizia non comporta conseguenze fiscali se sanabile o sanata, stando al disposto generale dell'articolo 50, comma 4, del Testo unico dell'edilizia. Tale norma prevede che il rilascio della sanatoria delle opere abusive (o, in via provvisoria, l'esibizione della domanda di sanatoria) produce automaticamente il venir meno dei provvedimenti di revoca o decadenza dei benefici fiscali disposti in connessione all'abuso stesso.

Coerentemente, la più recente circolare dell'Agenzia delle Entrate nr. 7/E/2018 conferma che è causa di decadenza dal beneficio della detrazione Irpef la non sanabilità delle opere edili irregolari. Al contrario, per quelle sanabili, la decadenza è esclusa a condizione che «il richiedente metta in atto il procedimento di sanatoria previsto dalle normative vigenti». Dunque, stando al dato testuale, non pare essere richiesto l'effettivo rilascio del provvedimento di sanatoria, come nel disposto dell'articolo 50 del Testo unico; né si accenna a meri "effetti provvisori" della domanda.

SCHEDA RIEPILOGATIVA

Che cosa è l'abuso edilizio?

L'abuso edilizio è un intervento sul territorio realizzato in assenza o in difformità di una preventiva autorizzazione.

Normativa di riferimento.

D.P.R. n. 380/2001 (cd. Testo Unico dell'Edilizia), nonché, ove presente, la normativa Regionale.

Tipologie dell'abuso edilizio.

In ordine di gravità:

  • interventi in assenza di permesso o di totale difformità, di annullamento d'ufficio;
  • variazione essenziale dal progetto approvato;
  • parziale difformità da esso.

Dove si può realizzare l'abuso edilizio in condominio?

Nelle parti comuni ed in quelle private (ipotesi più ricorrente).

Abuso edilizio nelle parti comuni.

La norma di riferimento è quella dell'art. 1102 c.c. In base a tale norma il condomino è obbligato a non alterare la destinazione della cosa comune. Ciò ricorre allorquando modifica le cose comuni in modo tale da renderne impossibile o, comunque, pregiudicarne in modo apprezzabile la funzione originaria. Fuori dai limiti di cui all'art. 1102 c.c. è necessario richiedere il consenso degli altri condomini per le opere che il singolo intende realizzare su parti comuni.

Abuso edilizio nelle parti private.

Si crea un conflitto solo tra pubblica amministrazione e privato salvo che le opere realizzate incidano sui diritti della restante parte della collettività condominiale oppure siano vietate espressamente dal regolamento di condominio.

Può una delibera assembleare autorizzare un'opera abusiva?

Sì, ma l'esecuzione di un'opera contrastante con le norme imperative in materia di edilizia, comporta, in quanto contraria all'ordine pubblico, la nullità per illiceità dell'oggetto della delibera assembleare.

Cosa può fare l'amministratore di condominio quando scopre un'opera abusiva?

L'amministratore di condominio è legittimato ad agire in prima persona sugli abusi edilizi commessi in condominio. La denuncia di un abuso edilizio rientra, infatti, tra gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell'edificio in condominio ovvero nei poteri attribuiti all'amministratore.

Contro chi deve intervenire l'amministratore di condominio?

Contro l'autore dell'abuso edilizio. Qualora non si conoscesse il nome dell'autore è possibile agire anche tramite segnalazione anonima.

Quali sanzioni sono previste in materia di abuso edilizio?

Il reato di abuso edilizio prevede due tipologie di sanzioni:

  • sanzione amministrativa, non passibile di prescrizione;
  • ammenda e/o reclusione penale, passibile di prescrizione.

E' possibile sanare l'abuso edilizio?

  1. Permesso in sanatoria. Il suo rilascio è subordinato a due presupposti:
  • che la costruzione edilizia risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell'intervento, sia al momento della presentazione della domanda;
  • che il responsabile effettui il pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia.
  1. Condono. Consiste in una legge, una tantum, che sana ciò che per legge sarebbe insanabile.
  2. Abuso ante 1967. È parere diffuso che, qualunque modifica sia automaticamente sanata, come se l'abuso non sussistesse affatto, se realizzata prima di tale data.

Quali sono i casi di decadenza

dalle agevolazioni fiscali?

1) se le opere sono state realizzate in assenza del titolo edilizio necessario;

2) se il titolo è stato annullato;

3) se le opere contrastano con il titolo per mancato rispetto delle destinazioni d'uso e degli allineamenti indicati nei piani regolatori, con esclusione della parziale difformità: violazione di altezze, distacchi, cubatura, superficie coperta non eccedente il 2% delle misure prescritte con riguardo alle singole unità immobiliari.

Quali sono le conseguenze nel caso in cui la violazione edilizia è stata sanata o è sanabile?

Il Testo unico dell'edilizia prevede che, sia il rilascio della sanatoria delle opere abusive sia la semplice richiesta della domanda di sanatoria, producono automaticamente il venir meno dei provvedimenti di revoca o decadenza dei benefici fiscali disposti in connessione all'abuso stesso.

QUESITARIO

La veranda abusiva configura un'ipotesi di reato anche nell'eventualità in cui venga realizzata per necessità igienico-sanitarie?

Secondo il recente orientamento dei giudici di merito, la realizzazione di una veranda abusiva, seppur finalizzata a soddisfare finalità igienico-sanitarie, configura un'ipotesi di reato.

In tal senso si è pronunciato il Tribunale di Bari, con sentenza dell'11 luglio 2012, in forza della quale ha condannato ad un mese di reclusione la proprietaria di un appartamento che aveva fatto realizzare sul terrazzo una veranda non autorizzata con lo scopo di risolvere un problema igienico sanitario legato alla massiccia presenza di volatili nella sua proprietà.

Secondo il maggioritario orientamento giurisprudenziale, in materia di abusivismo edilizio non è configurabile l'esimente dello stato di necessità in quanto, pur essendo ipotizzabile un danno grave alla persona in cui rientri anche il danno all'abitazione, difetta in ogni caso il requisito dell'inevitabilità del pericolo.

La chiusura con vetrate del balcone costituisce abusivismo edilizio?

L'attività edilizia, che si tratti della realizzazione di un immobile o della semplice modifica anche di minime sue parti, è soggetta a rigide discipline che salvaguardano la sicurezza pubblica ed impediscono la selvaggia ed indisciplinata proliferazione di immobili e strutture affini, tutelando altresì il decoro dei luoghi e del paesaggio.

Quel che rileva per poter determinare se la chiusura di un balcone debba essere autorizzata dal permesso di costruire (ed eventualmente soggetta, ove previsto, anche all'autorizzazione paesaggistica) è la sua precarietà o meno: ove la veranda sia realizzata con materiale e tecniche che non ne consentano la facile rimozione, infatti, essa rappresenterà una vera e propria veranda e potrà essere legittimamente realizzata solo previo permesso degli enti locali.

Questo perché, come confermato da una pronuncia della Cassazione, la "veranda è da considerarsi un nuovo locale autonomamente utilizzabile e difetta normalmente di precarietà, trattandosi di opera destinata non a sopperire esigenze temporanee e contingenti con la successiva rimozione, ma a durare nel tempo, ampliando così il godimento dell'immobile" (Cass. pen. 15.1.2014, n. 1483). Al contrario, ove la chiusura sarà stata realizzata con strutture precarie agevolmente asportabili, non vi sarà alcun definitivo aumento di volume e tali opere non necessitano quindi di alcuna autorizzazione.

La demolizione spontanea dell'opera illecita estingue il reato edilizio?

Non evita la condanna chi si pente e abbatte la veranda abusiva nell'edificio del centro storico. Può ritenersi legittima la sanzione penale anche se il proprietario demolisce spontaneamente la veranda abusiva perché l'abbattimento del manufatto non estingue il reato edilizio (Cass. civ. 5.3.2013, n. 10245). Per la Suprema corte la rimessione in ripristino delle aree o degli immobili soggetti a vincoli paesaggistici, anche se accompagnata dalla successiva demolizione del manufatto abusivo, non estingue il reato edilizio ma, esclusivamente, la contravvenzione paesaggistica.

Commette un reato chi realizza o fa realizzare senza autorizzazione una veranda in legno rimovibile sul terrazzo?

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 16182 del 9 aprile 2013 ha stabilito che "commette un reato chi realizza o fa realizzare senza autorizzazione una veranda in legno rimovibile sul terrazzo. Inoltre, la regione Sicilia può derogare alla disciplina nazionale dell'urbanistica ma non a quella antisismica". Nel caso di specie i giudici hanno spiegato che la competenza primaria riconosciuta alla Regione Siciliana, deroga la disciplina nazionale limitatamente alla materia dell'urbanistica e non può essere invece essere estesa alle materie della disciplina edilizia antisismica e delle costruzioni in conglomerato cementizio armato. Alla luce di tale differenza di interessi tutelati vi è anche una differenza delle autorità competenti. Infatti la competenza in materia urbanistica è riservata all'autorità comunale e le altre materie predette assegnate invece agli uffici del Genio Civile ed attualmente agli uffici tecnici regionali.

Una veranda realizzata, senza il consenso dei condomini, su una terrazza che altera la fisionomia della facciata dell'edificio può essere abbattuta?

Secondo la giurisprudenza (Cass. civ. 4.3.2013, n. 27224) deve essere ordinata la rimessione in pristino della terrazza su cui è realizzata una veranda senza il consenso degli altri condomini, dovendo ritenersi che l'opera alteri il decoro architettonico dell'edificio, alterandone i volumi oltre che l'equilibrio cromatico e prospettico della facciata. La trasformazione del balcone non può essere decisa in assoluta autonomia dai proprietari perché oltre ad alterare il decoro architettonico del fabbricato, fa aumentare la superficie utile dell'appartamento.

Trasformazione di una terrazza in veranda senza titolo abilitativo: a chi è rivolto l'ordine di demolizione, al proprietario o al responsabile dell'abuso?

Un caso analogo è stato affrontato recentemente dal Consiglio di Stato, che con sentenza del 28 gennaio 2014, n. 435 ha ritenuto che il carattere abusivo di un'opera possa essere contestato nei confronti del nuovo proprietario, benché non responsabile dell'originario intervento senza titolo, poiché "la repressione degli illeciti edilizi può essere disposta in qualsiasi momento, trattandosi di illeciti permanenti cui si associano sanzioni a carattere reale, in rapporto alle quali non può essere invocato il principio di estraneità degli attuali proprietari alla relativa effettuazione (fatte salve l'inopponibilità dell'acquisizione gratuita del bene e dell'area di sedime - ove gli stessi proprietari collaborino alla rimozione dell'abuso - nonché ogni possibile azione di rivalsa, nei confronti degli effettivi responsabili, da parte degli acquirenti in buona fede di un immobile in tutto o in parte abusivo, la cui regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio non fosse stata doverosamente accertata al momento del rogito). D'altronde, anche recentemente è stato chiarito che l'"ordinanza di demolizione di una costruzione abusiva può legittimamente emanata nei confronti del proprietario attuale, anche se non responsabile dell'abuso, in considerazione che l'abuso edilizio costituisce un illecito permanente e che l'adozione dell'ordinanza, di carattere ripristinatorio, non richiede l'accertamento del dolo o della colpa del soggetto interessato" (T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 5.12.2013, n. 5567; Cons. Stato, sez. IV, 26.2.2013, n. 1179; Cons. Stato, sez. VI, 4.10.2013, n. 4913).

Il giudice amministrativo ha dichiarato che la "nota di chiarimento" inviata dal ricorrente all'amministrazione comunale non potesse costituire istanza di sanatoria, la quale presuppone la richiesta di accertare la conformità dell'intervento "alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente, sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda", senza possibile sovrapposizione ai "chiarimenti", che l'interessato chiedeva all'Amministrazione sul "presunto abuso contestato", sostanzialmente negando detto abuso e pretendendo, poi, che la richiesta di chiarimenti avesse carattere di "implicita" domanda di sanatoria".

Il Collegio, quindi, ha anche osservato come le opere eseguite non avessero superato il vaglio della c.d. "doppia conformità"; principio confermato, d'altronde, in un caso simile a quello in esame, anche da un ulteriore recente pronuncia del Consiglio di Stato che ha dichiarato che "è legittimo il diniego della concessione in sanatoria di opere eseguite senza titolo abilitante, qualora le stesse non risultino conformi tanto alla normativa urbanistica vigente al momento della loro realizzazione quanto a quella vigente al momento della domanda di sanatoria (Cons. St., sez. IV, 26 aprile 2006, n. 2306; sez. IV, n. 6474 del 2006; sez. V, n. 1126 del 2009; sez. V, 17 settembre 2012, n. 4914). Questa doppia conformità non si registra nel caso in esame, perché, come correttamente precisato dal Giudice di prime cure, l'incremento volumetrico realizzato con la trasformazione del balcone in veranda è estranea al concetto di adeguamento igienico-sanitario, che non risulta consentito, in mancanza di espressa disposizione, se non a parità di volumetria" (Cons. Stato, sez. V, 11.6.2013, n. 3235). Alla luce di quanto precede, quindi, possiamo ritenere che sia stata confermato la necessità del permesso di costruire per trasformare una terrazza in veranda, e che l'eventuale rilascio "in sanatoria" debba sempre accertare la c.d. "doppia conformità". In mancanza di tali circostanze l'amministrazione può ingiungere la demolizione dell'opera anche direttamente al proprietario non responsabile dell'abuso.

Per abbattere la tettoia antiestetica è necessario autorizzare l'amministratore condominiale mediante un'apposita delibera assembleare?

Non c'è bisogno dell'autorizzazione per l'atto conservativo sulla cosa comune se trattasi di demolizione di finestre e verande abusive. Chi amministra il condominio non ha bisogno dell'amministrazione dell'assemblea per chiedere al giudice che sia abbattuta la tettoia non in regola nella proprietà esclusiva, ad esempio perché antiestetica o realizzata senza il rispetto delle distanze legali: si tratta, infatti, di un'azione che punta a tutelare l'integrità della cosa comune (Cass. civ. 29.1.2014, n. 1956).

Ho realizzato, durante i lavori di ristrutturazione, una veranda ricavandola dalla chiusura del terrazzo. Per effettuare tale lavoro è necessario richiedere il permesso di costruire?

La veranda sviluppa una volumetria aggiuntiva ed essendo suscettibile di autonoma fruibilità, chiudendo lo spazio soprastante la superficie dell'originario terrazzo, crea nuovo volume mediante l'aggregazione al preesistente organismo di una entità edilizia ulteriore allo stesso organismo estranea. Per la sua realizzazione è quindi necessario ottenere il permesso di costruire. Su questo aspetto vi è ampia giurisprudenza (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, 13.2.2013, n. 873; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. IV, 23.1.2013, n. 440; T.A.R. Piemonte, Torino, Sez. I, 9.11.2012, n. 1181 T.A.R. Campania, Napoli, Sez. IV, 18.9.2013, n. 4337). Si tratta, in sostanza, non di un'opera pertinenziale (cfr. Cass., Sez. III, 28 novembre 2002), bensì di un intervento di nuova costruzione ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. e.1), D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, in quanto tali lavori ampliano il fabbricato al di fuori della sagoma esistente, che è costituita dalla conformazione planovolumetrica della costruzione e dal suo perimetro, inteso sia in senso verticale che orizzontale, ed incidono così sui parametri previsti dagli strumenti urbanistici (Cass., Sez. III, 28 ottobre 2004)

La costruzione di una veranda può pregiudicare il diritto di veduta degli altri condomini?

A parere della Corte di Cassazione "per la sussistenza di una veduta è necessario che l'apertura abbia una normale e permanente destinazione alla vista e all'affaccio sul fondo altrui, veduta che non deve subire limitazioni nemmeno a piombo, sicché la visione, a carico del vicino, sia mobile e globale" (Cass. civ. 26.3.2012, n. 4847).

Nel caso di specie, i proprietari di un appartamento citavano in giudizio la proprietaria dell'appartamento sottostante la quale aveva realizzato sulla propria terrazza a livello una veranda con tetto in tegole ed in appoggio al muro perimetrale dell'edificio. Secondo i ricorrenti, il tetto della veranda giungendo a circa 1 metro da una finestra condominiale ed a soli 90 cm dal davanzale della loro finestra, violava il loro diritto di veduta.

I giudici di merito rigettavano la richiesta di demolizione del manufatto sul presupposto che la convenuta, avendo preventivamente acquisito i consensi degli aventi diritto, "aveva legittimamente esercitato il proprio diritto di usare la cosa comune senza mutarne la destinazione o comprometterne la stabilità".

Al contrario, la Suprema Corte ha ritenuto pacifico che la finestra fosse una veduta in relazione alla quale non poteva essere limitata l'inspectio e a prospectio in alienum in avanti ed a piombo.

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