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Regolamento: come determinare la natura contrattuale di una clausola?

All'interno dello stesso regolamento possono esserci clausole contrattuali e regolamentari: le prime si riconoscono perché incidono sui diritti dei condòmini.
Avv. Mariano Acquaviva 

La vexata quaestio sulla natura del regolamento di condominio assilla i tribunali italiani come una sorta di ciclico dilemma amletico. Questa volta a essere interessato della questione è il Tribunale di Alessandria, il quale ha fornito la propria risposta con la sentenza n. 450 del 24 maggio 2022. In sintesi, la domanda è la seguente: come determinare la natura contrattuale di una clausola del regolamento?

La pronuncia in commento, d'accordo con il granitico orientamento giurisprudenziale, ha ricordato come le clausole di un regolamento condominiale possano essere: contrattuali, quando incidono sulle proprietà dei condòmini e sui loro diritti sulle parti comuni; regolamentari, quando invece si limitano a disciplinare gli spazi comuni.

Solo le prime necessitano dell'unanimità per la modifica, mentre per le seconde vige il consueto principio maggioritario.

Approfondiamo la questione e vediamo come determinare la natura contrattuale di una clausola del regolamento alla luce della sentenza del Tribunale di Alessandria in commento.

Modifica della clausola contrattuale: il caso

Due condòmini impugnavano la delibera con cui l'assemblea decideva di modificare la clausola del regolamento che attribuiva agli attori l'uso esclusivo del cortile carraio centrale. A seguito della modifica, il cortile sarebbe stato destinato all'uso comune di tutti i condòmini, eliminandone quindi il vincolo di esclusività.

A parere degli attori, la modifica sarebbe stata illegittima poiché adottata a maggioranza, a fronte invece della natura contrattuale della clausola, votata dall'assemblea con delibera condominiale costitutiva del condominio nel lontano 1971, assunta all'unanimità.

Si costituiva il condominio il quale sosteneva la regolarità della delibera: il regolamento condominiale attinto dalla modifica deliberata non avrebbe avuto natura contrattuale ma solo assembleare, essendo stato approvato dall'assemblea e non dal costruttore, originario proprietario di tutto lo stabile.

Inoltre, sempre secondo il condominio, le clausole riguardanti le modalità di utilizzo delle cose comuni, come appunto quella modificata dall'assemblea, hanno natura regolamentare e possono essere modificate dall'assemblea con la sola maggioranza degli intervenuti alla seduta che rappresentino almeno la metà del valore dell'edificio, ex artt. 1138 e 1136 cod. civ.

Come si determina la natura contrattuale di una clausola?

Il Tribunale di Alessandria, con la sentenza n. 450 del 24 maggio 2022 in commento, ha accolto la domanda attorea e, per l'effetto, ha decreto l'annullamento della delibera impugnata.

Secondo il Giudice, è pacifica in giurisprudenza la differenza tra clausole contrattuali e clausole regolamentari: mentre le prime incidono sulle proprietà private e sui diritti dei singoli condòmini sulle cose comuni, limitandoli, le seconde si limitano a disciplinare l'uso delle cose comuni.

In pratica, mentre le clausole contrattuali impattano concretamente sulle facoltà dei condòmini, generalmente in misura restrittiva per alcuni e ampliativa per altri (è il caso, ad esempio, dell'attribuzione del lastrico solamente ai proprietari che abitano all'ultimo piano oppure, come nel caso di specie, del cortile assegnato in uso esclusivo solo a due condòmini), le clausole regolamentari si limitano a meglio organizzare l'utilizzo delle cose comuni.

Nella fattispecie, secondo il Tribunale di Alessandria non ci sono dubbi circa l'appartenenza della clausola modificata dalla deliberazione all'interno della prima categoria, cioè a quelle di tipo contrattuale.

Regolamento: clausole contrattuali e regolamentari

Per il Tribunale di Alessandria, "deve ritenersi superato l'orientamento tradizionale che improntava la distinzione tra regolamento contrattuale e regolamentare su un criterio squisitamente formale, caratterizzandosi il primo per il fatto di essere stato approvato all'unanimità o per essere stato predisposto dall'unico originario proprietario e allegato ai singoli contratti di acquisto".

Insomma: per determinare la natura, contrattuale o meno, di una clausola, occorre prendere in considerazione il suo contenuto concreto, non gli aspetti formali dell'adozione del regolamento il quale, anche se approvato all'unanimità oppure dall'originario costruttore, può comunque contemplare clausole che possono essere successivamente modificate a maggioranza, se esse non incidono sui diritti dei singoli.

"Secondo la giurisprudenza più recente infatti, occorre valutare il contenuto delle singole clausole, dovendosi ritenere contrattuali soltanto quelle che sanciscono limitazioni dei diritti dei condomini sulle loro proprietà esclusive (come ad esempio particolari divieti di destinazione d'uso delle singole unità immobiliari) oppure sulle proprietà comuni (come ad esempio in caso di attribuzione ad alcuni condomini di diritti maggiori rispetto ad altri), mentre le clausole che, all'interno dei medesimo regolamento, si limitano a disciplinare l'uso delle cose comuni, hanno natura regolamentare, con la conseguenza che per la loro modifica è sufficiente la maggioranza, anche in presenza di un regolamento approvato all'unanimità".

Parti comuni in condominio

Nel caso affrontato dal Tribunale di Alessandria, la clausola condominiale modificata, contrariamente a quanto sostenuto dal condominio, non si limita a regolamentare l'uso degli spazi comuni, prevedendo divieti generalizzati, riferibili indistintamente a tutti i condòmini, ma prevede un vero e proprio diritto esclusivo di godimento su una parte comune in favore di due unità in proprietà esclusiva, con ciò inibendo l'utilizzo della stessa da parte della generalità dei condòmini.

Una tale clausola, quindi, non può che avere una natura contrattuale dal momento che essa, pur non incidendo sul diritto di proprietà comune del bene, senz'altro incide fortemente sul riparto delle facoltà di suo godimento fra i condomini, stabilendone un uso non paritario, in aperta deroga all'art. 1102 c.c., come d'altra parte allegato dallo stesso condominio.

La modifica della concessione del diritto di uso esclusivo

Tanto chiarito, il Tribunale di Alessandria, richiamata la sentenza resa a Sezioni unite (n. 28972/2020) secondo cui è inammissibile l'uso esclusivo come "diritto reale atipico", ritiene che la clausola con cui si attribuisce ad alcuni condòmini l'utilizzo esclusivo di un bene comune può essere modificata ex art. 1117-ter cod. civ., il quale prevede che la deliberazione assembleare di modifica delle destinazioni d'uso delle parti comuni può essere assunta con una procedura deliberativa specifica e a maggioranza rafforzata, in presenza di "esigenze di interesse condominiale".

"Infatti, sebbene pattuizioni regolamentari come quella per cui è causa, siano idonee ad incidere sul contenuto del diritto di comproprietà dei condòmini, è al contempo pacifico che esse diano origine a diritti che sebbene non determinati quanto alla loro durata, devono ritenersi precari e "affievoliti" in forza dell'art. 1117-ter c.c., che prevede il potere dell'assemblea di deliberare, in presenza di un interesse condominiale, con la maggioranza qualificata dei condomini, una modifica della regolamentazione dell'uso della cosa comune idonea a far venir meno gli usi individuali precedentemente concessi, così riespandendo i diritti di comproprietà temporaneamente "compressi" e restituendo il bene all'uso comune e promiscuo".

Nel caso di specie, tuttavia, la delibera condominiale impugnata non solo non è stata adottata all'unanimità, ma nemmeno col quorum deliberativo dell'art. 1117-ter cod. civ. il quale prevede "un numero di voti che rappresenti i quattro quinti dei partecipanti al condominio e i quattro quinti del valore dell'edificio". Trattasi di una maggioranza rafforzata che, nel caso di specie, non è stata raggiunta.

La delibera va quindi annullata perché ha inteso modificare una clausola contrattuale senza rispettare il quorum stabilito per legge che, nel caso di specie, trattandosi di "diritti esclusivi", era quello stabilito dall'art. 1117-ter, cod. civ.

Sentenza
Scarica Trib. Alessandria 24 maggio 2022 n. 450
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