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Stalking condominiale: è possibile applicare la misura cautelare del divieto di avvicinamento se questa si traduce nel divieto di rientrare nel proprio immobile?

La Suprema corte annulla, con rinvio, l'ordinanza, perché la misura comporta, di fatto, un divieto di dimora, tra l'altro, non richiesto dal PM.
Avv.to Maurizio Tarantino - Foro di Bari 

La vicenda. Il caso in esame si inserisce in un contesto di tensione di rapporti fra vicini dello stesso edificio.

Secondo l'ipotesi accusatoria, l'indagato Tizio si sarebbe reso responsabile di varie condotte di molestia e minaccia all'indirizzo del soggetto passivo Caio, insultandolo anche a causa delle sue minorazioni fisiche (costretto su una sedie a rotelle); in un'occasione, egli lo avrebbe financo colpito con un pugno al naso, cagionandogli lesioni di pur modesta entità.

Ebbene, il difensore di Caio ha proposto ricorso avverso l'ordinanza recante il rigetto di una richiesta di riesame avanzata nei riguardi di un precedente provvedimento emesso dal Gip, in forza del quale era stata applicata a carico di Caio la misura cautelare del divieto di avvicinamento a Tizio.

Invero, con l'atto di impugnazione, il Pubblico Ministero procedente si era limitato a richiedere che nei confronti di Caio venisse applicata la misura del divieto di avvicinarsi alla persona di Tizio e di comunicare con costui; il Gip, invece, risulta aver disposto una misura di maggiore gravità, consistente nel divieto di avvicinamento all'edificio dove Tizio dimora, mantenendosi a una distanza di almeno 50 metri. Si trattava di una restrizione della libertà dell'indagato più afflittiva di quella sollecitata dal P.M., di tipo diverso ed ulteriore e giammai richiesta; inoltre, il provvedimento era venuto a determinare - circostanza di cui lo stesso Gip aveva dato atto - la costrizione per Caio di abbandonare la propria abitazione, obbligo sancito in via di fatto ed ancora oggi operante.

Ad avviso del difensore del ricorrente, in casi di c.d. " stalking condominiale ", infatti, si è già precisato come debbano contemperarsi le esigenze e i diritti primari di tutti i soggetti coinvolti.

Obiettivo che nella fattispecie concreta sarebbe stato agevolmente perseguibile, dal momento che le abitazioni di Tizio e Caio si trovano su piani diversi dello stesso fabbricato, munito financo di due ingressi e distinte aree di parcheggio inosservanza ed erronea applicazione della legge penale.

La tesi difensiva è che nel caso in esame non vi sarebbe gravità indiziaria di sorta quanto all'essersi prodotto uno stato di ansia in capo alla persona offesa, né che le condotte dell'indagato abbiano indotto la vittima a mutare le proprie abitudini di vita.

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Il ragionamento della Cassazione. Secondo i giudici di legittimità, non vi era alcun dubbio che nelle situazioni in cui una condotta persecutoria non riguardi un contesto di rapporti familiari, appare fuorviante discutere dell'ontologica distinzione fra la misura cautelare prevista dall'art. 282 bis c.p.p., e quella contemplata dall'articolo successivo: solo in caso di coabitazione - potenzialmente criminogena - all'interno dello stesso domicilio, ha senso discernere le ipotesi in cui le modalità dello stalking si manifestino in un campo d'azione limitato a quel luogo determinato, da quelle connotate da una persistente ed invasiva ricerca di contatto con la persona offesa, ovunque si trovi (v. Cass., Sez. V, n. 30926 dell'08/03/2016.).

Premesso ciò, l'odierna fattispecie concreta riguardava, invece, un rapporto fra soggetti non conviventi: ed è perciò evidente che il riferimento centrale del divieto di avvicinamento debba essere la persona fisica della vittima, in qualunque dimensione spaziale essa venga a compiere atti della propria vita quotidiana.

Secondo la Cassazione, non risultava sufficientemente motivata la prescrizione specifica di mantenere una distanza di almeno 50 metri da Tizio, venendo questa a risolversi, nel caso di specie, in un sostanziale divieto di dimora applicato a carico di Caio ma non richiesto dal Procuratore della Repubblica.

I giudici del riesame, premesso che l'indagato pareva risultasse occupare l'appartamento sovrastante quello del Bedi Tizio, scrivono che le condotte delittuose ascritte al ricorrente sarebbero state agevolate proprio dalla contiguità delle abitazioni, ma (scrive la Cassazione) se è pacifico - a fronte della descritta singolarità del caso che fosse necessario impartire prescrizioni idonee a scongiurare un aumentato rischio di recidiva specifica, non è stato considerato che ordinare a Caio di rimanere a 50 metri dalla vittima significava fargli sostanziale divieto di continuare ad abitare nel citato appartamento, vale a dire di dimorare in un determinato luogo.

O meglio, tale conseguenza appare presa in considerazione, ma erroneamente valutata come non significativa in punto di violazione della domanda cautelare.

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In conclusione, è stata annullata l'ordinanza impugnata, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di del riesame.

TABELLA RIEPILOGATIVA

OGGETTO DELLA PRONUNCIA

DIVIETO DI DIMORA - STALKING CONDOMINIALE

RIFERIMENTI NORMATIVI

Art. 612 bis c.p.; 282 bis e 282 ter c.p.p.

PROBLEMA

Nel caso di specie, oggetto delle persecuzioni del ricorrente era un vicino di casa insultato, anche a causa di una minorazione fisica, e, secondo l'accusa, in un'occasione aggredito fisicamente. Il Pm aveva disposto un divieto di avvicinamento alla persona offesa.

Il Gip aveva inasprito la misura aggiungendo l'obbligo di mantenersi ad una distanza di 50 metri dall'edificio in cui abitava la presunta vittima.

LA SOLUZIONE

La Suprema corte annulla, con rinvio, l'ordinanza, perché la misura comporta, di fatto, un divieto di dimora, tra l'altro, non richiesto dal Pm. I giudici del riesame, premesso che l'indagato abitava al piano sopra a quello occupato dalla parte offesa, avevano osservato che la contiguità degli appartamenti avrebbe agevolato il reato.

La soluzione stava, appunto, nel divieto di avvicinamento a 50 metri, in base all'articolo 282-ter del Codice di rito penale.

RICHIAMI/PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI

Cass., Sez. V, n. 30926 dell'08/03/2016

LA MASSIMA

In tema di atti persecutori, il divieto di avvicinamento non può comportare quello di usare l'abitazione

Cass. pen., sez. V, 27 gennaio 2020, n. 3240

Sentenza
Scarica Cass. pen., sez. V, 27 gennaio 2020, n. 3240
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