La vicenda. Con la sentenza in esame, la Corte d'Appello di Catania riforma parzialmente la precedente pronuncia del Tribunale di Siracusa, avente ad oggetto un'azione di regolamento di confini, fra due immobili adiacenti.
Il giudice di primo grado, oltre ad accertare l'effettivo sconfinamento di uno dei proprietari, in danno dell'altro, aveva anche verificato che il primo aveva costruito, sul proprio fondo, una piscina, collocandola a una distanza inferiore a due metri dal confine fra le due proprietà, in violazione dell'art. 889 c.c.
Per tal motivo il giudice, pur accogliendo la domanda dell'attore, nella parte relativa all'accertamento dello sconfinamento, ne rigettava la richiesta di risarcimento del danno, per l'usurpazione di parte del terreno e per la violazione delle distanze.
Avverso tale sentenza, i convenuti soccombenti proponevano appello principale, per ottenerne la completa riforma della sentenza ed il rigetto della domanda degli attori, mentre questi ultimi si costituivano per resistere e contestualmente proponevano appello incidentale, per vedere accolta anche la loro richiesta di condanna al risarcimento del danno, disattesa in primo grado.
Le distanze per i pozzi, le cisterne, i fossi e le tubazioni. L'art. 889 c.c. stabilisce le regole inerenti il posizionamento, rispetto ai confini fra due proprietà, di pozzi, cisterne, fosse, ma anche tubazioni di acqua, fognatura o gas.
Con riferimento ai primi, la norma prevede che, anche in presenza di un muro divisorio fra le due proprietà, colui che intenda realizzare una di tali opere, nel proprio fondo, dovrà rispettare la distanza di almeno due metri fra il confine ed il punto più vicino del perimetro interno dell'opera.
Va precisato che la norma codicistica parla, appunto, di perimetro interno e pertanto, ove vi sia uno spessore o una parte vuota fra il perimetro esterno e quello interno dell'opera, si dovrà considerare quest'ultimo come punto di riferimento per misurare la distanza dal confine. Con riferimento alle tubazioni, invece, il limite individuato è di almeno un metro.
Il fine dell'art. 889 c.c. è di garantire il rispetto di criteri minimi per la tutela dell'igiene e della sicurezza propria ed altrui, anche se, come sottolineato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1989 del 02/02/2016, le prescrizioni ivi contenute si applicano solo se compatibili con la struttura dell'edificio e delle singole unità immobiliari, dovendo, in caso contrario, essere inevitabilmente derogate.
A tal proposito basti pensare al collocamento dei tubi dell'impianto di riscaldamento all'interno dei muri di un edificio condominiale, che non potrà mai essere compatibile con le prescrizioni dell'art. 889 c.c.
Il ragionamento della Cassazione. Per i giudici della Corte d'Appello, la decisione di confermare la pronuncia di primo grado si fonda soprattutto sul principio affermato dalla Corte di Cassazione, secondo cui, ai fini dell'osservanza delle norme sulle distanze legali, siano esse di origine codicistica o prescritte dai regolamenti locali, sono da intendersi inclusi, nella nozione di costruzione, tutti i manufatti non completamente interrati, che abbiano carattere di solidità, stabilità ed immobilizzazione al suolo, indipendentemente dal loro livello di posa e di elevazione (Cass. Civ., sentenza n. 13389 del 2011).
Allo stesso tempo, continua la Corte, è ovvio che, in ragione di una lettura estensiva dell'art. 889 c.c., la disciplina sulle distanze si dovrà applicare anche alle piscine, che altro non sono che costruzioni in muratura, almeno parzialmente affondate nel terreno e destinate alla raccolta di acqua, anche se per scopo prettamente ludico.
Tale applicazione estensiva, d'altronde, prescinde dall'accertamento dell'effettiva pericolosità e della concreta dannosità di queste strutture, che peraltro non è nemmeno richiesto dalla norma.
Particolarmente significativa, infine, appare la decisione della Corte d'Appello di modificare la sentenza di primo grado, nella parte in cui essa non aveva accolto la richiesta di risarcimento del danno per la violazione delle distanze legali, qualificando quest'ultimo come danno in re ipsa, la cui liquidazione può essere effettuata dal giudice anche in via equitativa, in considerazione delle circostanze del caso concreto, dello stato dei luoghi e dell'epoca della commissione dell'attività illecita (Cass. Civ., sentenza n. 21501 del 2018).
In conclusione, alla luce di tutto quanto innanzi esposto, la Corte d'Appello ha sostanzialmente confermato la sentenza di primo grado, modificandola nella sola parte relativa al riconoscimento del diritto ad ottenere il risarcimento del danno per la violazione delle distanze legali.
TABELLA RIEPILOGATIVA | |
OGGETTO DELLA PRONUNCIA | DISTANZE LEGALI - CONFINI |
RIFERIMENTI NORMATIVI | Art. 889 c.c. |
PROBLEMA | Nel caso di specie, il proprietario di un fondo, oltre a violare i confini del fondo adiacente, sottraendone limitate porzioni di terreno, aveva anche edificato una piscina, senza rispettare le distanze legali minime previste dalla vigente normativa codicistica, così ponendo in essere una condotta illecita, dalla quale scaturiva, in capo al proprietario danneggiato, il diritto a chiedere l'osservanza delle dette distanze, oltre al risarcimento del danno. |
RICHIAMI/PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI | Cass. Civ., sent. n. 1989 del 2016; Cass. Civ., sent. n. 13389 del 2011; Cass. Civ., sent. n. 21501 del 2018 |
LA MASSIMA | La disciplina sulle distanze, prevista dall'art. 889 c.c. si applica anche alle piscine, che sono costruzioni in muratura, almeno in parte affondate nel terreno, senza che si renda necessario l'accertamento dell'effettiva pericolosità e della concreta dannosità di tali strutture, che peraltro non è nemmeno richiesto dalla norma codicistica. Corte d'Appello di Catania, sez. II, 21 gennaio 2020, n. 179 |