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Il regolamento di condominio non può imporre una servitù di uso esclusivo sul cortile comune

Il cortile comune di un edificio in condominio non può essere gravato da una servitù d'uso esclusivo prevista dal regolamento di condominio.
Avv. Alessandro Gallucci 

Il cortile comune di un edificio in condominio non può essere gravato da una servitù d’uso esclusivo, prevista dal regolamento di condominio, a favore del proprietario dell’unità immobiliare posta al pian terreno.

Non può essere per la funzione del regolamento e perché la servitù prevede un’utilitas strettamente connessa al beneficio per il fondo dominante e non alla persone del suo proprietario.

Il fatto che, poi, l’esercizio spetti a quest’ultimo è cosa naturale: il fondo non vive di vita propria.

Questa, in sostanza, la decisione cui è giunta la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 6582 dello scorso 27 aprile. Si legge nella pronuncia che “ deve escludersi che un regolamento di condominio, per sua natura finalizzato a disciplinare l'uso dei beni comuni da parte dei condomini, possa costituire un diritto di servitù su di un bene comune in favore di un bene di proprietà esclusiva di uno dei condomini; se invero il regolamento di condominio, nel disciplinare l'utilizzazione delle cose comuni, può limitare il godimento su di esse da parte di uno o più condomini, non può peraltro restringere tale uso fino a svuotarlo di qualsiasi contenuto, come appunto pretenderebbe nella fattispecie il ricorrente con riferimento all'area cortilizia in questione; tale conclusione è confermata dal rilievo che l'invocato diritto di servitù d'uso a carico della corte comune ed in favore dell'appartamento al piano terreno del fabbricato (consistente nel divieto imposto agli altri condomini dell'uso del cortile antistante l'appartamento al piano terreno, uso riservato in via esclusiva al proprietario di tale immobile) comporterebbe inammissibilmente non già un semplice peso imposto al fondo servente (art. 1027 c.c.), ma un totale annullamento di ogni facoltà di suo godimento da parte del (…) e della (…), che pure ne sono comproprietari.

Del resto la possibilità di configurare l'uso esclusivo su di un bene comune da parte di un condomino proprietario di una unità immobiliare come una servitù comporta la necessità di accertare la sussistenza della "utilitas" di cui all'art. 1027 c.c., ovvero di un vantaggio diretto ed oggettivo del fondo dominante, a prescindere quindi dal fatto che tale diritto possa giovare al proprietario di tale fondo, posto che l’”utilitas" non deve riguardare l'attività che si svolge sul fondo, ma deve ricollegarsi alla utilizzazione del fondo stesso; in proposito peraltro il ricorrente non ha svolto alcuna apprezzabile deduzione” (Cass. 27 aprile 2012 n. 6582).

Insomma per quanto l’uso esclusivo di un bene comune non sia di per sé vietabile ed anzi, i regolamenti (contrattuali) e gli atti d’acquisto possono legittimamente contenerli, per ciò che riguarda la servitù il discorso è più complesso: questo diritto reale su cosa altrui ha requisiti ben precisi e per istituirlo non basta imporlo ma è necessario che ricorrano le condizioni previste dalla legge. L’utilitas è uno di questi.

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