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Anche i Santi “disturbano”. Il palco per la festa patronale è troppo vicino ad un'abitazione e lede il normale svolgimento della vita familiare

Il Comune risarcisce i danni per mancato esercizio dei poteri di vigilanza.
Dott.ssa Marta Jerovante - Consulente Giuridico 

I festeggiamenti del Santo Patrono possono turbare la tranquillità della vita domestica.

Il caso Una coppia di coniugi conveniva in giudizio l'Amministrazione comunale e il Comitato per i festeggiamenti del Santo patrono per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni patiti a causa di un palco che, posizionato a meno di un metro dalla loro abitazione, aveva loro ostacolato l'accesso e prodotto «immissioni sonore a turbativa della vita domestica»; al termine dei festeggiamenti, il palco non era poi stato rimosso tra uno spettacolo e l'altro durante tutto il periodo estivo e aveva finito per trasformarsi in «base per giochi e schiamazzi della gioventù locale».

Soccombenti in primo grado, i coniugi si erano visti riconoscere la lamentata lesione di diritti fondamentali davanti al giudice dell'appello.

Il ricorso del Comune: attività provvedimentale e fatto del privato Il Comune ha quindi affidato ad un ricorso di legittimità le proprie doglianze: rilevando, e questo già nei precedenti gradi di giudizio, di non avere alcun obbligo di vigilanza, dal momento che «il [suo] intervento istituzionale [si è limitato] al rilascio della concessione amministrativa per l'installazione della pedana sul suolo pubblico», l'ente territoriale ha in primo luogo escluso l'azionabilità, da parte dei cittadini, di una tutela risarcitoria, ammissibile solo in presenza di un'illegittimità provvedimentale della PA - peraltro mai invocata; ha poi contestato la correttezza della valutazione compiuta dalla Corte d'appello circa la configurabilità a suo carico di una responsabilità ex art. 2043 c.c. e, quindi, circa la sussistenza degli elementi essenziali di detta responsabilità: relativamente all'ingiustizia del danno, il giudice non avrebbe valutato che il provvedimento di autorizzazione all'installazione del palco non era stato impugnato; quanto al nesso di causalità tra potere esercitato ed evento lesivo - ossia l'ostacolo all'ingresso nell'abitazione -, non avrebbe considerato che, emesso il provvedimento autorizzatorio, il pregiudizio sarebbe derivato dal concreto posizionamento del palco, quindi dalle modalità esecutive di esclusiva spettanza del Comitato; quanto infine all'elemento soggettivo (del dolo o della colpa), il Comune ha ribadito l'assoluta legittimità del proprio operato.

La decisione delle Sezioni Unite La Suprema Corte, nel respingere il ricorso del Comune, ha evidenziato come gli originari attori-ora controricorrenti avessero in realtà contestato non l'autorizzazione concessa dal Comune medesimo, ma la successiva condotta tenuta dell'ente: essendo dunque oggetto della censura non l'esercizio del potere amministrativo-provvedimentale, ma il mancato esercizio dei poteri di vigilanza successiva sull'effettiva utilizzazione del palco, i controricorrenti hanno mostrato di agire a tutela di un diritto soggettivo che si assumeva leso dal perdurare di una situazione di inerzia da parte del Comune: perdono dunque rilievo sia le censure secondo le quali la controversia avrebbe dovuto essere instaurata davanti al giudice amministrativo, sia quelle attinenti la mancanza delle condizioni per un'azione risarcitoria nei confronti del Comune.

Inoltre, il giudice di merito aveva correttamente valutato che «entrambe le parti convenute [fossero] chiamate a risarcire i danni in quanto il Comitato aveva posto in essere le condizioni materiali della situazione dannosa e l'ente territoriale aveva omesso di intervenire per porvi rimedio»: ne consegue che la condotta censurata, ossia il mancato intervento, si sia configurata in un momento successivo all'emanazione del provvedimento e «da ciò deriva la sussistenza dell'elemento colposo che consente di addebitare al Comune le conseguenze della propria inerzia».

La Corte di legittimità ha infine ravvisato «un indice ulteriore e certo della colpa» del Comune nel fatto - messo in relazione alla contestata inerzia - che l'ente ben avrebbe potuto ordinare di riposizionare il palco sull'altro lato della piazza, come era stato peraltro disposto due anni dopo: in tal modo si sarebbero potute evitare anche le emissioni sonore e luminose - lamentate durante il solo periodo dei festeggiamenti».

Sconvolgimento dell'ordinario stile di vita e danno non patrimoniale Il Comune ha altresì contestato che, in sede di merito, si fosse compiuta un'interpretazione estremamente ampia del concetto di "dignità umana", indicato nel comma 2 dell'art. 41 Cost., in riferimento al procurato ostacolo all'accesso e al libero godimento del proprio domicilio; e che l'accertamento della lesione del "diritto alla salute" si fosse fondato su una «non provata intollerabilità delle emissioni luminose e sonore»: nella fattispecie sarebbe del tutto mancata la prova di effettive lesioni fisiche o psichiche.

La Cassazione ha invero giudicato infondato questo ulteriore motivo di ricorso: rammentando che, nel caso di specie, «non è stato richiesto il risarcimento del danno biologico determinato dalle immissioni sonore e luminose bensì si è fatto valere il pregiudizio non patrimoniale derivante dallo sconvolgimento dell'ordinario stile di vita», ha chiarito come si sia confermato l'indirizzo interpretativo espresso in sede di legittimità, in forza del quale «il danno non patrimoniale conseguente ad immissioni illecite è risarcibile indipendentemente dalla sussistenza di un danno biologico documentato, quando sia riferibile alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all'interno della propria abitazione e del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti, la cui tutela è ulteriormente rafforzata dall'art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, norma alla quale il giudice interno è tenuto ad uniformarsi (vedi Cass. Sez. 3, n. 20927/2015); ne consegue che la prova del pregiudizio subito può essere fornita anche mediante presunzioni, sulla base delle nozioni di comune esperienza (sul punto vedi Cass. Sez. 3 n. 26899/2014)».

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Rumori, abusi di strumenti sonori e musica ad alto volume.

Un precedente I giudici di legittimità, sempre a sezioni unite, hanno avuto modo di soffermarsi su un caso in qualche misura analogo, condannando nella fattispecie il Comune ad un risarcimento equitativo per la lesione del diritto alla quiete a favore delle famiglie che si erano ritrovate "assediate" dal parco giochi e dagli schiamazzi dei bambini (Cass., sez. un. civ., 27 febbraio 2013, n. 4848). Specificamente:

  • si attribuisce al giudice ordinario la competenza a conoscere della controversia, poiché la valutazione del giudice ha ad oggetto, anche in quell'ipotesi, non attività discrezionali della Pubblica Amministrazione, ma esclusivamente comportamenti della stessa soggetti al principio del neminem laedere.

    Si tratta, in particolare, di «una domanda diretta ad ottenere l'esecuzione di opere idonee ad eliminare le immissioni, in quanto la parte agisce a tutela dei diritti soggettivi lesi dalle immissioni stesse, senza investire alcun provvedimento amministrativo (cfr. Cass. S.U. 15-10-1998 n. 10186);

  • si afferma che nelle controversie che hanno ad oggetto la tutela del diritto alla salute garantito dall'art. 32 Cost., «la P.A. è priva di alcun potere di affievolimento della relativa posizione soggettiva (Cass. S.U. Ord. 8-3-2006 n. 4908)»;
  • si conferma il riconoscimento ai residenti vicini al parco giochi di un danno morale per l'ingiusta lesione di un valore inerente alla persona costituzionalmente garantito, dalla quale erano scaturiti pregiudizi non suscettibili di valutazione economica: questi avevano infatti sofferto un pregiudizio a causa delle immissioni acustiche sotto il profilo strettamente personale del diritto alla salute ed alla tranquillità e del diritto al normale svolgimento della vita familiare all'interno della casa di propria abitazione.
Sentenza
Scarica Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, 1 febbraio 2017, n. 2611
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