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Di chi è il sottotetto? Le caratteristiche strutturali sono determinanti per l'individuazione del proprietario

Quando il sottotetto è considerato di proprietà del titolare dell'unità immobiliare ubicata all'ultimo piano dell'edificio.
Avv. Alessandro Gallucci 

L’art. 1117 del codice civile, almeno quello che sarà efficace fino all’entrata in vigore della riforma, non menziona il sottotetto tra le parti dell’edificio che debbono considerarsi comuni.

Per capire di chi dev’essere considerata tale parte dell’edificio è necessario volgere lo sguardo alle risposte fornite dalla giurisprudenza.

Secondo il più recente e consolidato orientamento della Suprema Corte di Cassazione “ l'appartenenza del sottotetto di un edificio va determinata in base al titolo, in mancanza o nel silenzio del quale, non essendo esso compreso nei novero delle parti comuni dell'edificio essenziali per la sua esistenza o necessarie all'uso comune, la presunzione di comunione ex art. 1117 c.c. è applicabile solo nel caso in cui il vano, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, risulti oggettivamente destinato all'uso comune oppure all'esercizio di un servizio di interesse condominiale (condizione, questa, che la Corte territoriale ha escluso, essendo, invece, pervenuta, sulla scorta dei riscontri oggettivamente rilevati e valorizzati, alla conclusione dell'appartenenza all'immobile oggetto di aggiudicazione) (Cass. ord. 23 luglio 2012, n. 12840).

Fondamentali, quindi, sono le caratteristiche strutturali e funzionali di questa parte dell’edificio.

Si tratta, detta fuori da ogni tecnicismo, di una verifica tecnica con la quale si cerca di capire se questa parte dell’edificio può essere utile a tutti (es. per essere utilizzata come ripostiglio) o se, invece, è destinata sostanzialmente a riparare meglio dalle intemperie i proprietari dell’ultimo piano.

In una recente sentenza, sempre la Corte di Cassazione, ha avuto modo di specificare che un piccolo sottotetto, senza ingresso permanente dal pianerottolo comune, e comunque di altezza limitata e nella pratica mai usato da nessuno dei condomini, doveva essere considerato di proprietà del titolare dell’unità immobiliare ubicata all’ultimo piano dell’edificio, confermando così le decisioni di primo e secondo grado.

Si legge nella pronuncia di legittimità, che appunto rammenta, per poi confermarlo, ciò che era stato deciso nel corso dei gradi di merito, che “ correttamente, quindi, il Tribunale aveva incentrato la sua rigorosa verifica sulle condizioni strutturali del vano sottotetto de quo quali si presentavano prima dell’intervento effettuato dall’appellato.

Sotto tale profilo, la constatazione dell’assenza di aperture che dessero aria e luce, di un’altezza media pari a circa un metro e di un accesso difficoltoso, di una pavimentazione grezza, e dell’assenza di uno stabile collegamento della botola al pianerottolo apparivano idonee a far ritenere che il vano sottotetto in questione assolvesse esclusivamente la funzione di isolare e proteggere dal freddo, dal caldo e dall’umidità l’appartamento del (…).

D’altra parte, il riferimento della giurisprudenza dominante ad una “concreta” possibilità di utilizzo del sottotetto da parte del condominio, di natura oggettiva, oltre ad essere escluso, nel caso in esame, dalle suindicate caratteristiche, era comprovato dai fatti, nel senso che per decenni nessuno dei condomini, e neppure lo stesso F., aveva mai pensato di utilizzare come deposito quell’angusto vano, peraltro privo di collegamenti con il pianerottolo.

Andava evidenziata, in proposito, non solo l’assenza di strutture stabili, ma anche di qualsiasi strumento tale da consentire di raggiungere la botola” (Cass. 16 novembre 2012, n. 20206).

E dopo la riforma, che cosa cambierà in merito al sottotetto?

Qualcosa ma nessuno stravolgimento, come spieghiamo nel focus sulla riforma di recente pubblicazione:

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