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Perché le case popolari potrebbero non essere acquistate ad usucapione?

Usucapione: un'unità immobiliare ubicata in un edificio dell'istituto autonomo case popolari (IACP)
Avv. Alessandro Gallucci 

Tizio e la sua famiglia iniziano, in modo pacifico e non clandestino, ad abitare un'unità immobiliare ubicata in un edificio dell'istituto autonomo case popolari (IACP o ALER in alcune regioni).

Dopo molti anni, almeno venti, ritengono di averlo usucapito anche in considerazione del fatto che l'ente pubblico non si è mai interessato della manutenzione dello stabile o dell'unità immobiliare.

Insomma Tizio e la famiglia ritengono di essere oramai i proprietari. Tale convinzione se si scontra con la specifica destinazione del bene risulta essere vana. Detto diversamente: nessuna usucapione se il bene è destinato a soddisfare un pubblico interesse.

A questo punto vale la pena ricordare le norme e le sentenze che portano a tale affermazioni.

In primis c'è l'art. 828 c.c., rubricato Condizione giuridica dei beni patrimoniali, che recita:

I beni che costituiscono il patrimonio dello Stato, delle province e dei comuni sono soggetti alle regole particolari che li concernono e, in quanto non è diversamente disposto, alle regole del presente codice.

I beni che fanno parte del patrimonio indisponibile non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano.

Con specifico riferimento agli enti pubblici non territoriali, quali sono per l'appunto i vari istituti autonomi per le case popolari, un articolo seguente, esattamente l'830 recita:

=> Usucapione, cosa succede se il proprietario contesta il possesso?

I beni appartenenti agli enti pubblici non territoriali sono soggetti alle regole del presente codice, salve le disposizioni delle leggi speciali.

In un caso molto simile a quello descritto all'inizio la Suprema Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare che "risulta dalla complessiva vicenda processuale che l'immobile in questione era di proprietà dell'Istituto e da questo destinato ad alcune famiglie, che avevano necessità abitative del comune di (…), a seguito della frana verificatesi nell'abitato nel 1947 e, tra queste, anche quella del dante causa degli odierni intimati.

Si tratta, quindi, di un bene appartenente al patrimonio disponibile dell'Istituto, perché destinato fin dall'origine al fine di pubblico servizio, nel caso in questione, appunto, per fronteggiare l'emergenza abitativa conseguente alla frana.

Si tratta, quindi, di immobile non usucabile, secondo l'orientamento costante di questa Corte (Cass. 1998 n. 3667, Cass. 2002 n. 12608; Cass. 2012 n. 2962).

Un'eventuale diversa destinazione attribuita al bene successivamente doveva essere oggetto di specifica prova che è del tutto mancata" (Cass. 26 aprile 2013, n. 10084).

Come fornire questa prova? Sicuramente non bastano i così detti fatti concludenti.

Usucapione e interversione del possesso.

Secondo il Consiglio di Stato e la Cassazione, "per i beni patrimoniali indisponibili la cui destinazione all'uso pubblico derivi da una determinazione legislativa, la declassificazione deve avvenire in virtù di un atto di pari rango, e dunque non può trarsi da una condotta concludente dell'ente proprietario; e che la cessazione tacita della patrimonialità indisponibile, così come della demanialità, postula in ogni caso che il bene abbia subito un'immutazione irreversibile tale da non essere più idoneo all'uso della collettività, ed a tal fine non è sufficiente la semplice circostanza obbiettiva che questo sia stato sospeso per lunghissimo tempo" (C.d.S. n. 30/91 e Cass. n. 2962/2012).

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