Esaminiamo un caso relativo all'installazione di un videocitofono qualificato come videosorveglianza (VS), occupandoci di privacy, ma anche di pronunce in base ad equità del Giudice di Pace.
Videosorveglianza o videocitofono: la pronuncia
Tutto trae origine dall'apposizione, ad opera del condòmino Tizio, di telecamere di sua proprietà ed uso, posizionate sulla facciata comune del Condominio ed in corrispondenza dell'ingresso e sul pianerottolo del secondo piano dell'edificio, installazione non autorizzata dall'Assemblea del Condominio.
Altro condòmino, che chiameremo Caio, citava Tizio dinnanzi al Giudice di Pace di Barletta, chiedendo che, accertata l'illiceità dell'installazione e la lesione della privacy di condòmini ed estranei, Tizio fosse condannato alla rimozione.
Tizio, costituitosi, si difendeva osservando che non di telecamere per la VS, bensì di un videocitofono; detto impianto si attivava solamente in seguito alla 'chiamata' di chi voleva accedere all'abitazione di Tizio (tramite apposito pulsante); l'utilizzo della facciata, quale parte comune, per l'installazione delle telecamere collegata al videocitofono, era perfettamente legittimo, in quanto maggior uso delle parti comuni che non impediva il pari uso degli altri condòmini.
Il Giudice di Pace di Trani rigettava la domanda di Caio, osservando quanto segue:
- a fondamento della dedotta VS illegittima installata da Tizio, Caio aveva prodotto solamente una perizia di parte ove si affermava che il prodotto del genere di quello installato era generalmente utilizzato per la VS;
- l'uso di videocitofoni da parte dei singoli condòmini era lecito, anche a fronte del Provvedimento del Garante per la Protezione dei Dati Personali del 29 aprile 2004;
- nessuna autorizzazione condominiale era necessaria, né era conferente il richiamo a norma del Regolamento la quale prevedeva «è vietato ai condòmini fare qualunque lavoro non urgente sulle parti comuni senza preventiva delibera dell'assemblea».
Caio propone appello presso il Tribunale di Trani, giudice competente per territorio per il secondo grado rispetto alle pronunce del Giudice di Pace: in particolare, Caio critica la sentenza di I° perché:
- la sentenza del Giudice di Pace di Barletta sarebbe nulla per difetto di motivazione, avendo il giudice omesso o erroneamente considerato varie allegazioni dedotte da Caio, in particolare la rilevanza dell'art. 1122 ter c.c.
- ritiene Caio che il Giudice di Pace abbia erroneamente invertito l'onere della prova spettante allo stesso, imponendogli di dare la prova dell'assenza di autorizzazione all'installazione delle telecamere, mentre invece questo incombeva sul convenuto Tizio, a sua difesa
- quanto alle evidenze della perizia di parte sul videocitofono installato da Tizio, Caio sostiene sia assurda la motivazione adottata dal Giudice per cui, in mancanza di precisi riferimenti tecnici (marca, funzioni e caratteristiche), non si può dire che le telecamere installate possano essere potenzialmente atte alla registrazione, mentre invece era vero il contrario e la marca ed il kit del videocitofono, indicati da Tizio, non ricomprendono le telecamere esterne e quindi era pacifico che il detto videocitofono fosse stato modificato per supportare le telecamere esterne;
- ancora, avrebbe errato il Giudice di Pace qualificando la VS eseguita tramite videocitofono da Tizio come privata, quando costui esercita nel Condominio la propria attività professionale di ragioniere, il ché basterebbe per qualificare la VS eseguita come soggetta alle disposizioni in materia di privacy ed agli oneri conseguenti, tant'è che Tizio non aveva mai affisso, sino a poco prima della pubblicazione della sentenza del Giudice di Pace di Barletta, alcun cartello informativo circa la VS eseguita
- la citazione del Provvedimento del Garante Privacy del 29 aprile 2004 è errata o è stata male interpretata: infatti, secondo Caio, il Garante Privacy, nel Provvedimento citato, prevede la possibilità di installare un videocitofono solo se si riprende l'ingresso in un luogo privato e non quando si riprende l'ingresso nel portone condominiale.
In questo caso, occorre un'autorizzazione dei condomini e l'angolo di ripresa deve essere limitato agli spazi di esclusiva pertinenza dell'utilizzatore, escludendo ogni forma di ripresa di aree comuni.
Si prevede inoltre che, in caso di utilizzo di un sistema di ripresa di aree condominiali da parte di studi professionali, trovino applicazione tutte le norme del codice della privacy e quindi vada anche chiesto il consenso al trattamento dei dati a tutti i condomini.
Inoltre, va valutato anche il rispetto del principio di proporzionalità, cioè l'utilizzatore deve dimostrare il concreto pericolo al quale si vuol porre rimedio con l'effetto di deterrenza esplicitato dalle telecamere nella scelta su quali apparecchiature di ripresa installare.
Gli impianti di videosorveglianza possono essere attivati solo quando altre misure (meno invasive) siano state ponderatamente valutate insufficienti: nella specie, il convenuto Tizio avrebbe dovuto installare un normale impianto videocitofonico con telecamerina interna integrata.
Tali argomenti sono stati erroneamente ritenuti dal giudice di primo grado come ridondanti, mentre Tizio non ha mai dato prova delle situazioni di pericolo da cui intendeva difendersi tramite le telecamere, né ha dimostrato che l'angolo di visuale non riprendesse spazi comuni - anzi, la prova era chiara nel senso della ripresa di aree condominiali e della pubblica via
Il Tribunale di Trani ha respinto integralmente l'appello di Caio, sulla base di un unico argomento che racchiude, in punto di rito, tutte le argomentazioni svolte da Caio a critica della sentenza di I°: ovvero, che la sentenza del Giudice di Pace di Barletta era stata pronunciata secondo equità, ai sensi degli artt. 113, 2° comma e 339, 3° comma, c.p.c., poteva essere appellata esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, delle norme costituzionali o comunitarie o dei principi regolatori della materia - principio ribadito anche dalla Cassazione in pronuncia recente, l'ordinanza 19 gennaio 2021, n. 769 della Sezione II.
Insomma, Caio, per poter appellare la sentenza ottenuta ed a lui sfavorevole, avrebbe dovuto indicare quali erano le norme, procedimentali, costituzionali o comunitarie o i principi regolatori della materia che si ritenevano violati ed anche indicare, ove fosse questo il caso, in che modo la regola equitativa individuata dal Giudice di Pace si ponesse in contrasto con i principi regolatori della materia.
Sottolinea ancora il Tribunale che con l'appello avverso le sentenze di cui all'art. 113 c.p.c. è possibile denunziare la nullità per inesistenza della motivazione o motivazione apparente o contraddittoria; ma le specifiche censure in ordine alla nullità della sentenza di I° devono essere contenute nel primo atto difensivo, cioè nell'atto di appello, così che tutte le critiche mosse non in quella sede, ma nel prosieguo del giudizio, anche in comparsa conclusionale - come fatto da Caio - sono inammissibili.
L'art. 113, 2° comma, c.p.c. prevede che nelle cause di valore non superiore agli €. 1.100,00 il Giudice di Pace decida secondo equità; nel caso di specie, Caio, nel suo atto di citazione dinnanzi al Giudice di Pace, aveva dichiarato che il valore della controversia era inferiore ad €. 1.032,00, basandolo sulla spesa che sarebbe occorsa alla rimozione delle telecamere ed anzi espressamente affermando che, in virtù di tale dato, il giudizio rientrava nella fattispecie di cui agli artt. 7, 4° comma, n. 2) e 113, 2° comma, c.p.c., così auto - qualificando il giudizio come 'di equità' (o quantomeno dichiarandosi consapevole della tipologia di procedimento e di pronuncia finale che stava attivando e domandando).
Così, il Tribunale di Trani, quale giudice dell'appello, ritiene di non rinvenire, nell'impugnazione di Caio, norme procedimentali, costituzionali o comunitarie violate dalla pronuncia del Giudice di Pace.
Non è tale l'art. 1122 ter c.c., che è norma di dettaglio e che, inoltre, non era applicabile, ratione temporis, alla fattispecie, perché introdotta dalla Legge 11 dicembre 2012, n. 220, in vigore dal 18 giugno 2013, mentre le telecamere erano state installate prima di tale vigore.
Non è tale nemmeno l'art. 4 del Regolamento condominiale, che è invece norma contrattuale a valenza privatistica; peraltro, sottolinea il Tribunale, il Giudice di Pace non aveva omesso motivazione sul punto, ma aveva anzi sottolineato che non fosse necessaria alcuna autorizzazione assembleare in virtù dell'art. 4 del Regolamento citato.
Altrettanto, il Tribunale non ritiene di rinvenire, nell'appello di Caio, doglianze che esplicitino i principi informatori della materia che si ritengono violati dalla regola equitativa adottata dal Giudice di Pace per decidere.
Infatti, la denuncia da parte di Caio dell'erronea qualificazione dell'impianto installato da Tizio come videocitofono e non come VS non indicava quali fossero i principi informatori della materia, in questo caso la materia della tutela dei dati personali, violati dal Giudice di Pace, rammentando il Tribunale che anche le norme del Codice Privacy sono norme di dettaglio e non di rango costituzionale o comunitario.
Quanto, infine, alle doglianze circa l'errata valutazione degli elementi probatori, il Tribunale rigetta ogni doglianza in merito, affermando che tale critica non sia proponibile avverso le sentenze emesse secondo equità - come previsto dall'art. 339, 3° comma, c.p.c.
Analisi della legittimità dei videocitofoni e della privacy
Stando ai dati riportati dalla sentenza, la vicenda che ha coinvolto il videocitofono installato da Tizio dovrebbe essere iniziata qualche anno prima del 2014, in cui viene emessa la sentenza del Giudice di Pace poi impugnata.
Dobbiamo allora notare che il Giudice di Pace avrebbe potuto citare altri due Provvedimenti del Garante Privacy più recenti di quello del 2004, menzionato in sentenza; ad esempio, il Provvedimento generale sulla Videosorveglianza dell'08 aprile 2010 - che dichiaratamente sostituiva quello del 2004 - e il c.d. Vademecum del Palazzo del 2013, dedicato precipuamente al Condominio.
Il Provvedimento Generale dell'08 aprile 2010 riportava quanto segue in merito alla fattispecie in esame:
«6. PRIVATI ED ENTI PUBBLICI ECONOMICI
6.1. Trattamento di dati personali per fini esclusivamente personali
L'installazione di sistemi di videosorveglianza -come si rileva dall'esame di numerose istanze pervenute all'Autorità viene sovente effettuata da persone fisiche per fini esclusivamente personali. In tal caso va chiarito che LA DISCIPLINA DEL CODICE NON TROVA APPLICAZIONE QUALORA I DATI NON SIANO COMUNICATI SISTEMATICAMENTE A TERZI OVVERO DIFFUSI, risultando COMUNQUE NECESSARIA L'ADOZIONE DI CAUTELE A TUTELA DEI TERZI (art. 5, comma 3, del Codice, che fa salve le disposizioni in tema di responsabilità civile e di sicurezza dei dati).
In tali ipotesi possono rientrare, a titolo esemplificativo, strumenti di videosorveglianza idonei ad identificare coloro che si accingono ad entrare in luoghi privati (videocitofoni ovvero altre apparecchiature che rilevano immagini o suoni, anche tramite registrazione), oltre a sistemi di ripresa installati nei pressi di immobili privati ed all'interno di condomini e loro pertinenze (quali posti auto e box).
Benché non trovi applicazione la disciplina del Codice, al fine di evitare di incorrere nel reato di interferenze illecite nella vita privata (art. 615-bis c.p.), L'ANGOLO VISUALE DELLE RIPRESE DEVE ESSERE COMUNQUE LIMITATO ai soli spazi di propria esclusiva pertinenza (ad esempio antistanti l'accesso alla propria abitazione) ESCLUDENDO OGNI FORMA DI RIPRESA, ANCHE SENZA REGISTRAZIONE DI IMMAGINI, RELATIVA AD AREE COMUNI (cortili, pianerottoli, scale, garage comuni) ovvero ad ambiti antistanti l'abitazione di altri condomini».
Leggiamo dal Vademecum del Palazzo del 2013:
«UN CONDOMINO PUÒ INSTALLARE UNA TELECAMERA CHE RIPRENDE L'INGRESSO DEL SUO APPARTAMENTO O DEL SUO POSTO AUTO?
Quando l'installazione di sistemi di videosorveglianza viene effettuata da persone fisiche per fini esclusivamente personali - e le immagini non vengono né comunicate sistematicamente a terzi, né diffuse (ad esempio attraverso apparati tipo webcam) - non si applicano le norme previste dal Codice della privacy.
In questo specifico caso, ad esempio, non è necessario segnalare l'eventuale presenza del sistema di videosorveglianza con un apposito cartello.
Rimangono comunque valide le disposizioni in tema di responsabilità civile e di sicurezza dei dati.
È tra l'altro necessario - anche per non rischiare di incorrere nel reato di interferenze illecite nella vita privata - che il sistema di videosorveglianza sia installato in maniera tale che l'obiettivo della telecamera posta di fronte alla porta di casa RIPRENDA ESCLUSIVAMENTE LO SPAZIO PRIVATO E NON TUTTO IL PIANEROTTOLO O LA STRADA, ovvero il proprio posto auto e non tutto il garage».
Ed ancora:
«I VIDEOCITOFONI SONO CONSIDERATI UN SISTEMA DI VIDEOSORVEGLIANZA?
I moderni videocitofoni, così come altre apparecchiature che rilevano immagini o suoni, anche tramite registrazione, possono talvolta essere equiparati ai sistemi di videosorveglianza.
In questo caso valgono le stesse regole previste dal Codice della privacy e dal provvedimento generale del Garante in tema di videosorveglianza.
Tali disposizioni non si applicano quando il sistema è installato da persone fisiche per fini esclusivamente personali e le immagini non sono destinate alla comunicazione sistematica o alla diffusione (ad esempio su Internet
Per le stesse ragioni, SE IL VIDEOCITOFONO È INSTALLATO DA UN SINGOLO O DA UNA FAMIGLIA PER FINALITÀ ESCLUSIVAMENTE PERSONALI, la presenza dell'apparecchio di ripresa non deve essere segnalata con un apposito cartello».
Oggi, sotto la vigenza del Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR), il Garante Privacy ha emanato nel dicembre 2020 le FAQs in materia di VS, nelle quali leggiamo:
«10) L'installazione di sistemi di videosorveglianza può essere effettuata da persone fisiche per fini esclusivamente personali, atti a monitorare la proprietà privata?
Sì. Nel caso di videosorveglianza privata, al fine di evitare di incorrere nel reato di interferenze illecite nella vita privata (art. 615-bis c.p.), l'angolo visuale delle riprese deve essere comunque limitato ai soli spazi di propria esclusiva pertinenza, escludendo ogni forma di ripresa, anche senza registrazione di immagini, relativa ad aree comuni (cortili, pianerottoli, scale, parti comuni delle autorimesse) ovvero a zone di pertinenza di soggetti terzi.
È vietato altresì riprendere aree pubbliche o di pubblico passaggio».
Insomma, già prima dell'emissione della sentenza impugnata dinnanzi al Tribunale di Trani, l'installazione di telecamere o videocitofoni da parte di privati doveva avere cura di riprendere unicamente la proprietà privata e non aree pubbliche o aree comuni o altre abitazioni private.
Nel caso di specie, peraltro, è proprio su questo elemento che manca un ragionamento logico - giuridico, in quanto, anche laddove si fosse trattato di videosorveglianza, come visto sopra nei provvedimenti del Garante Privacy del 2010 e del 2013, la stessa sarebbe stata lecita come VS privata, purché:
- mancasse la comunicazione a terzi o la diffusione delle immagini e
- l'angolo di visuale non comprendesse aree comuni o pubbliche,
e, siccome l'elemento di fatto che fosse ripresa la strada pubblica e l'area del pianerottolo e dell'ingresso non è contestato, sembrerebbe che l'ultimo dei requisiti non sussistesse.
Inoltre, è stata forse frettolosa - a meno che non ci manchino elementi, non potendo leggere gli interi atti e documenti dei due giudizi - la disamina della natura privata del videocitofono, a fronte dell'eccezione specifica di Caio circa la natura 'professionale' in quanto legata all'esercizio di attività professionale nell'unità cui il videocitofono si riferiva.
Non possiamo però non rammentare che il Tribunale di Trani ne fa una questione di rito, cioè di limiti al sindacato delle pronunce secondo equità, i quali sono posti dall'art. 339, 3° comma, c.p.c., già citato sopra e comprendono unicamente norme procedimentali, costituzionali e comunitarie o principi ispiratori della materia.
Su questo punto, abbiamo letto, è stata ritenuta carente la difesa di Caio, che, nell'atto di appello, ha omesso di specificare le norme ed i principi ispiratori che riteneva violati dal Giudice di Pace.
Ebbene, sotto la vigenza della Direttiva CE/95/46, dalla quale nacque la legislazione interna in materia, così come sotto il GDPR attualmente in vigore, è chiara la distinzione tra ambito di applicazione incluso ed escluso dalla disciplina del trattamento dei dati personali, nonché il principio di liceità del trattamento.
Quindi, la norma comunitaria ed il principio ispiratore della materia violati dal Giudice di Pace avrebbero potuto essere rintracciati proprio nella Direttiva CE/95/46 e nel principio di liceità: eliminando cioè la natura di VS privata, a causa dell'angolo di visuale accertato come esteso a parti comuni ed aree pubbliche, ci si sarebbe dovuti porre il quesito in ordine alla liceità di un simile trattamento.
Sarebbe necessario, tuttavia, un pronunciamento o un approfondimento giurisprudenziale circa la definizione di «norma comunitaria», dato che, nel caso di specie, ci domandiamo se non si è ritenuto di rinvenire una norma comunitaria violata perché Caio non ne ha dato indicazione e motivazione nell'appello, oppure, avendo Caio, così dice il Tribunale, citato sia la Direttiva che l'attuale Regolamento (GDPR), si è ritenuto che queste non fossero norme comunitarie ai fini dell'ammissibilità dell'appello… riteniamo infatti che le norme privacy sotto la vigenza della Direttiva fossero, al di là di ogni qualificazione, norme imperative delle quali il Giudice deve sempre sorvegliare il rispetto e l'assenza di violazione pur in mancanza di specifici rilievi delle parti in tal senso.