La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza d'appello che, invece, aveva condannato l'imputato per aver proferito, nei confronti della vicina, la frase “sta esaurita”, più volte, a distanza di alcuni minuti e in presenza di più persone.
Il caso. Tutto ha inizio per un banale litigio tra vicini. L'imputato aveva parcheggiato irregolarmente la propria auto davanti all'autorimessa della donna, impedendone il passaggio.
Quest'ultima aveva reagito richiedendo immediatamente l'intervento dei vigili urbani che, giunti sul posto, comminavano al trasgressore una sanzione pecuniaria. Da qui la reazione dell'uomo, che imprecava contro al donna in presenza di altre persone.
L'uomo ha proposto ricorso Cassazione sostenendo, tra l'altro, che il Tribunale aveva erroneamente trascurato il rapporto di confidenza esistente tra le parti e il contesto dell'accaduto.
Infatti, il contrasto era sorto nell'ambito di rapporti di vicinato improntati alla reciproca tolleranza, che consente, in caso di trasgressione delle regole di vita quotidiana, di risolvere pacificamente la questione senza invocare l'intervento della pubblica autorità. L'uomo aveva utilizzato un'espressione verbale non integrante un attacco diretto a colpire l'onore e il decoro altrui, rientrando questa nel linguaggio comune.
La decisione. La Cassazione, nell'accogliere il ricorso, ricorda che “in tema di ingiuria, il criterio cui fare riferimento ai fini della ravvisabilità del reato è il contenuto della frase pronunziata e il significato che le parole hanno nel linguaggio comune, prescindendo dalle intenzioni inespresse dell'offensore, come pure dalle sensazioni puramente soggettive che la frase può aver provocato nell'offeso”.
Inoltre, “in tema di tutela penale dell'onore, occorre fare anche riferimento ad un criterio di media convenzionale in rapporto alle personalità dell'offeso e dell'offensore, unitamente al contesto nel quale detta espressione sia stata pronunciata” (Cass. Civ., n. 21264/2010).
Nel caso in esame la frase “sta esaurita” non è riconducibile ad una critica nei confronti della stato di equilibrio psichico della donna, né all'attribuzione di una patologia mentale. L'uomo in realtà, ha voluto soltanto criticare l'eccessiva ansia vendicativa e l'eccessivo bisogno di punizione della stessa nei suoi confronti.
In sostanza, secondo la Suprema Corte, l'uomo non ha inteso mettere in discussione l'equilibrio mentale della donna, ma il suo scarso livello di tolleranza per una situazione che poteva essere risolta anche senza richiedere l'intervento della polizia municipale.
Gli Ermellini concludono osservando che “l'interpretazione che individua il significato dell'aggettivo malato di mente, oltre ad essere non necessariamente corrispondente al suo significato nel linguaggio comune, non corrisponde ad un criterio di media convenzionale in rapporto alle personalità dell'offeso e dell'offensore, nonché al contesto nel quale detta espressione è stata pronunciata”.
Da non perdere:
=> Dare della zingara alla tua vicina ti costa 5.700 euro.
=> “Sei uno scostumato di m…!”. Ma il vicino se ne va e non ascolta