La vicenda. Con atto di citazione, i coniugi, quali comproprietari di un appartamento acquistato nel 1996, convenivano in giudizio Tizio, proprietario dell'unità abitativa sita al piano terra dell'immobile, chiedendo che fosse condannato a demolire un manufatto e precisamente "la veranda tamponata con murature e vetrata", in quanto edificata in violazione delle distanze dal confine con l'area cortilizia degli attori nonché in violazione delle disposizioni sulle vedute.
Si costituiva in giudizio Tizio, contestando la domanda degli attori e deducendo che la "tettoia", poi tamponata con la vetrata, era stata realizzata anteriormente all'acquisto dell'immobile e con il consenso del precedente proprietario.
Il Tribunale, in accoglimento della domanda condannava Tizio alla demolizione del manufatto e al pagamento del 50% delle spese legali. L'appello proposto da Tizio veniva respinto dalla Corte territoriale.
Avverso tale decisione, il ricorrente ha proposto ricorso in Cassazione eccependo la violazione e falsa applicazione degli artt. 873 ss. c.c. nonché dell'art. 13, lettera c) del piano regolatore generale del Comune di Comacchio e delle relative norme tecniche di attuazione vigenti all'epoca della costruzione.
Inoltre, il medesimo contestava l'erronea interpretazione, da parte della Corte di appello, sia del consenso prestato alla realizzazione del primo intervento sia del rogito successivamente intercorso, essendosi trattato della costituzione negoziale di una servitù apparente, come tale opponibile all'acquirente del fondo servente.
Il ragionamento della Cassazione. Secondo la S.C., la nozione di «costruzione», ai fini della disciplina delle distanze legali, non va intesa soltanto come fabbrica in calce e mattoni, ma nel senso di includere qualsiasi opera che, sulla base di accertamento rimesso al giudice di merito, abbia i caratteri della solidità, della stabilità e della immobilizzazione rispetto al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fìsso ad un preesistente manufatto" (così da ultimo Cass. n. 14711/2019); pertanto, correttamente, i giudici del merito avevano accertato che il manufatto oggetto di causa era una costruzione, realizzata in tempi diversi (prima la realizzazione di una veranda e successivamente la chiusura della medesima "con infissi in alluminio), costruzione "comportante un aumento di superficie utile e di volumetria".
Tale costruzione è risultata non conforme alla "distanza di cinque metri prevista dalle norme tecniche di attuazione del piano regolatore" del Comune di Comacchio, nonché, con l'apertura di una veduta direttamente sul fondo confinante, in violazione dell'art. 905 c.c.
Inoltre, a parere della Cassazione, il ricorrente non considerava che per mantenere una costruzione a distanza minore di quella prescritta dalla legge, non era sufficiente una scrittura unilaterale del proprietario del fondo vicino che autorizzava la corrispondente servitù, ma era necessario un contratto - essendo inidoneo, per i diritti reali, un atto ricognitivo - che dava luogo alla costituzione di una servitù prediale, ex art. 1058 c.c., risolvendosi in una menomazione di carattere reale per l'immobile che alla distanza legale avrebbe diritto, a vantaggio del fondo contiguo che ne trae il corrispondente beneficio" (Cass. n. 14711/2019).
Del resto, a prescindere dai profili della mancanza di una data certa e della mancata trascrizione e dell'omessa menzione nell'atto di compravendita, l'atto che manifesti la volontà delle parti di derogare alle norme in tema di distanze dal confine dettate dagli strumenti urbanistici è convenzione senz'altro, trattandosi di norme inderogabili perché non si limitano a disciplinare i rapporti intersoggettivi di vicinato, ma mirano a tutelare anche interessi generali" (Cass. n. 14711/2019, Cass. n. 10734/2018).
In conclusione, il ricorso è stato rigettato.
TABELLA RIEPILOGATIVA | |
OGGETTO DELLA PRONUNCIA | VERANDA - RISPETTO DELLE DISTANZE |
RIFERIMENTI NORMATIVI | Art. 873, 905, 1058 c.c. |
PROBLEMA | I comproprietari di un appartamento convenivano in giudizio il proprietario dell'unità abitativa sita al piano terra dell'immobile, chiedendo che fosse condannato a demolire un manufatto e precisamente la veranda tamponata con murature e vetrata, in quanto edificata in violazione delle distanze dal confine con l'area cortilizia degli attori. Secondo il convenuto, la tettoia, poi tamponata con la vetrata, era stata realizzata anteriormente all'acquisto dell'immobile e con il consenso del precedente proprietario. |
LA SOLUZIONE | Secondo la Cassazione, ai fini della disciplina delle distanze legali, non va intesa soltanto come fabbrica in calce e mattoni, ma nel senso di includere qualsiasi opera che, sulla base di accertamento rimesso al giudice di merito, abbia i caratteri della solidità, della stabilità e della immobilizzazione rispetto al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fìsso ad un preesistente manufatto. |
RICHIAMI/PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI | Cass. n. 14711/2019; Cass. n. 10734/2018 |
LA MASSIMA | Per mantenere una costruzione a distanza minore di quella prescritta dalla legge, non è sufficiente una scrittura unilaterale del proprietario del fondo vicino che autorizza la corrispondente servitù, ma è necessario un contratto - essendo inidoneo, per i diritti reali, un atto ricognitivo - che dà luogo alla costituzione di una servitù prediale, ex art. 1058 c.c., risolvendosi in una menomazione di carattere reale per l'immobile che alla distanza legale avrebbe diritto, a vantaggio del fondo contiguo che ne trae il corrispondente beneficio. Cass. civ., sez. II, 27 gennaio 2020, n. 1731 |