Vendita di unità immobiliare e successivi abusi di diritto: la vicenda
Con citazione i sig.ri X e Y convengono in giudizio il sig. Z deducendo: che avevano acquistato un terreno e successivamente una seconda area dove avevano edificato un manufatto composta da piano terra, primo piano e secondo piano, poi sanato mediante condono.
Ad una certa data hanno venduto al sig. Z l'appartamento sito al primo piano del predetto immobile e che questi ha eseguito opere abusive, nello specifico: - ampliamento della colonna d'aria relativa ad una porzione del cortile, mediante realizzazione di un nuovo vano prima inesistente, - realizzazione di un balcone e due finestre con affaccio diretto sulla area di proprietà esclusiva di essi attori, - modifica della cassa scala, in comune con i venditori, consistita nella chiusura di una finestra e nell'apertura di un nuovo accesso da e per il loro appartamento.
Alla luce di ciò, chiedono la condanna del convenuto alla rimozione di queste opere abusive, con condanna al risarcimento del danno.
Il convenuto sig. Z si costituisce resistendo alle domande avverse. Successivamente spiega intervento la sig.ra A affermando di avere acquistato in data successiva l'appartamento di quest'ultimo: entrambi eccepiscono che i lavori contestati erano stati in realtà eseguiti dagli attori prima della vendita dell'appartamento al convenuto.
La causa veniva istruita con testimoni e CTU.
All'esito dell'istruttoria, il tribunale accoglie la domanda attorea inerente la riduzione in pristino, rigettando la domanda risarcitoria, condannando altresì in via solidale i convenuti alle spese di lite.
Il tribunale argomenta la propria decisione sulla scorta delle prove dichiarative, della documentazione fotografica e delle altre conclusioni del CTU, in ragione delle quali la data di realizzazione dei lavori contestati va effettivamente collocata in epoca successiva all'acquisto da parte del sig Z.
Avverso questa sentenza hanno proposto appello i soccombenti mentre gli appellati si sono costituiti chiedendo dichiararsi inammissibile e/o comunque infondato anche nel merito l'appello, con vittoria di spese. La Corte ha trattenuto la causa in decisione assegnando alle parti i termini di cui all'art.190 c.p.c. per memorie e repliche.
Sentenza della Corte di Appello su opere abusive e distanze legali
La decisione assunta è Corte di Appello di Napoli n. 2894 del 22 giugno 2022.
La Corte osserva che il CTU ha evidenziato che il terreno su cui si affacciano le vedute realizzate dagli appellati e quello su cui insiste l'edificio il cui primo piano è stato acquistato dagli appellanti sono due lotti assolutamente distinti, e che dal titolo non risulta alcun tipo di asservimento del primo in favore del secondo.
In mezzo vi è inoltre un muretto ed una sbarra di ferro, circostanza quest'ultima che costituisce ulteriore conferma della totale distinzione fra i due lotti e dell'inesistenza di alcun tipo di asservimento, con il conseguente obbligo di rispetto delle distanze stabilite dal codice civile.
La generica indicazione in atti che "La vendita avviene nello stato di fatto e di diritto in cui il cespite si trova… ed in particolare comprende i proporzionali diritti sulle parti comuni e condominiali" non fa alcun riferimento alle particelle in questione.
Modalità della riduzione in pristino e alternative
La Corte prende poi in esame la denuncia di vizio di ultrapetizione per avere il tribunale indicato in dispositivo le modalità con le quali provvedere alla riduzione in pristino dello stato dei luoghi.
Aggiungono inoltre che l'eliminazione delle vedute illegittime (due finestre e un balcone) potrebbe essere realizzata trasformando le vedute in luci, ed in applicazione di analogo criterio si potrebbe provvedere in modo diverso anche quanto al nuovo accesso della cassa scala, ad esempio murando dall'interno detta apertura.
Richiamano in tal senso l'orientamento di legittimità secondo il quale "l'eliminazione delle vedute abusive può essere realizzata non solo mediante la demolizione delle porzioni immobiliari per mezzo delle quali si realizza la violazione di legge lamentata, ma anche attraverso la predisposizione di idonei accorgimenti che impediscano di esercitare la veduta sul fondo altrui, come l'arretramento del parapetto o l'apposizione di idonei pannelli che rendano impossibile il prospicere e l'inspicere", e ciò alla sola condizione che la parte interessata, come nella fattispecie, abbia chiesto al giudice stesso l'esercizio di tale potere (ad esempio Cass. n. 23184/2020 che fa seguito a Cass. n. 11729/2012 e a Cass. n. 9640/2006).
Il Collegio ritiene di non dover condividere questa osservazione perché il richiamo è inconferente. Come afferma la stessa Suprema Corte "trattasi di giurisprudenza che appare essenzialmente maturata nell'ambito della violazione delle distanze delle vedute" (Cass. n. 4834/2019).
Nella fattispecie in esame, al contrario, le finestre ed il balcone sono stati realizzati su di un nuovo vano che costituisce un illecito ampliamento dell'appartamento preesistente, posto ad ingombro sulla colonna d'aria di pertinenza degli appellati.
Il principio di legittimità da applicare al caso concreto è quello stabilito dalla succitata Cass. n. 4834/2019, da cui si desume che la possibilità di ordinare rimedi alternativi alla demolizione è da privilegiare soltanto laddove si verta in tema di distanze delle vedute (trattandosi per l'appunto "... di giurisprudenza che appare essenzialmente maturata nell'ambito della violazione delle distanze delle vedute"), mentre al contrario nella fattispecie che qui interessa le finestre ed il balcone contestati sono stati realizzati su un manufatto che costituisce un ampliamento del tutto abusivo, con modifica ed avanzamento del corpo di fabbrica, invece che su una facciata coincidente con la sagoma originaria dell'appartamento.
A maggior ragione, non è invocabile alcun tipo di applicazione analogica delle massime citate dagli appellanti alle modifiche apportate al vano scala.
Esame della richiesta di rinnovazione della consulenza tecnica d'ufficio
Alla domanda di rinnovazione di CTU la Corte ha risposto ricordando che "L'omesso esame di elementi istruttori non integra di per se vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice ..." (SSUU 8054/2014) e che "... rientra nel potere discrezionale del giudice di merito accogliere o rigettare l'istanza di riconvocazione del consulente d'ufficio per chiarimenti o per un supplemento di consulenza, senza che l'eventuale provvedimento negativo possa essere censurato in sede di legittimità deducendo la carenza di motivazione espressa al riguardo, quando dal complesso delle ragioni svolte in sentenza, in base ad elementi di convincimento tratti dalle risultanze probatorie già acquisite e valutate con un giudizio immune da vizi logici e giuridici, risulti l'irrilevanza o la superfluità dell'indagine richiesta" (Cass. n. 5339/2015).
In conclusione, rigetta l'appello e conferma la decisione di primo grado.